La storia del primo trasferimento milionario del calcio italiano, che portò per la prima volta una trattativa calcistica ad assumere tutti i contorni dello show business
105 milioni di lire per infiammare un popolo. Achille Lauro tanti ne sborsa nella calda estate del 1952 per portare a Napoli Hasse Jeppson. Una trattativa dai contorni cinematografici condita da aneddoti e leggende metropolitane tramandate nei decenni. Si è parlato di una valigia piena di banconote consegnate da ‘O Comandante al patron dell’Atalanta Turani nelle segrete stanze di un albergo in via Veneto a Roma, o precedentemente della medesima cifra scritta dall’armatore su un tovagliolo, dinanzi ad una tavola imbandita, per convincere il numero uno dei bergamaschi a cedere alle lusinghe partenopee.
A Lauro serviva un’operazione tecnico-mediatica strabiliante per consolidare la compagine azzurra nei piani nobili del calcio italiano e, soprattutto, per mettere in ghiaccio un potere politico sul territorio campano e meridionale corroborato da percentuali bulgare registrate nei vari appuntamenti elettorali. Achille, d’altronde, era pure un sagace editore e non poteva certo ignorare la rilevanza dei messaggi letti dalla popolazione su carta.
Jeppson era la punta che mancava al Napoli dell’epoca. Svedese di nascita, 1 metro e 80 di altezza, corre e segna in patria con la casacca del Djurgården (58 reti in 51 apparizioni). Atterra poi in Inghilterra, per motivi di studio e lavoro, dove viene ingaggiato dal Charlton Athletic. Tocca la doppia cifra di gol in sole 8 gare disputate, con la ciliegina di una pregevole tripletta all’Arsenal, e viene segnalato agli osservatori dell’Atalanta che non ci pensano su due volte assicurandosi le prestazioni di Hasse per la stagione ’51-’52. Il centravanti scandinavo è una macchina da guerra anche in Serie A dove trafigge i portieri avversari 27 volte in 22 presenze. A questo punto i tempi sono maturi all’ombra del Vesuvio.
E’ il momento. Achille fa carte false, smuove acque, ragiona, disegna mentalmente le mosse da compiere, infine agisce. Jeppson firma per un valore monstre paragonabile al bilancio del Banco di Napoli. Da qui la celebre frase ancora oggi scolpita nel mare e nel cielo del capoluogo campano. Lo svedese rimane a Napoli fino al 1956 tra alti e bassi, accese discussioni con Presidente e allenatori (in particolare non facile il rapporto con Monzeglio), mondanità e un rapporto di viscerale affetto intrecciato con il popolo partenopeo. Nel caratteristico e mai dimenticato stadio del Vomero “Arturo Collana” la tifoseria esulta e impreca nel giro di pochi istanti. Il folclore si mescola con i bollenti spiriti tipici della passione calcistica. “Uanema ‘e Jeppson” e “Mannaggia ‘a Jeppson!” sono affermazioni che spiegano meglio di ogni altra cosa il contesto misto tra teatro e sport di quel tempo.
Ottimo quarto posto comunque il primo anno con 14 gol messi a segno. Quinta piazza nel secondo con altri 20 centri a referto. Sesta posizione nel 1954-1955 con un rendimento meno roboante (10 marcature realizzate). Nell’ultima annata in azzurro, quella ’55-’56 Jeppson condivide il reparto offensivo con il talento brasiliano Luis Vinicio, appena arrivato dal Botafogo. ‘O Lione si scatena siglando 16 gol, mentre Hasse esulta in 8 circostanze. La squadra però, guidata in panchina prima da Monzeglio e poi da Amadei, archivia un difficile campionato al quattordicesimo posto. Un gruppo, impreziosito da due pedine di livello come Bruno “Petisso” Pesaola e Vitali, più che discreto ma evidentemente ancora non in grado di spiccare il volo.
La carriera agonistica dell’attaccante svedese dura solo un’altra stagione, 1956-1957, con la maglia del Torino. In granata torna ad assaporare la doppia cifra di reti strappando sovente standing ovation da parte del pubblico. Senza dimenticare ovviamente le valide prove con i colori della propria Nazionale (12 gol complessivi) e la partecipazione al Mondiale del 1950 chiuso al terzo gradino del podio.