Djalma Santos: il primo vero terzino moderno, celebrato da Eduardo Galeano

di Fabio Belli

Terzino o esterno di difesa: poco cambia nella definizione, forse, molto è mutato nell’interpretazione del ruolo, da come era nato, fino a come si è evoluto. Il terzino fino all’inizio degli anni settanta aveva compiti che spesso sfociavano nella vera e propria marcatura a uomo, e così mentre lo stopper si francobollava al centravanti avversario, dall’altra parte chi presidiava le fasce in difesa, stava attento a qui giocatori, solitamente con il sette e con l’undici sulle spalle, che avevano il compito di svariare su tutto il fronte offensivo.

djalmaQuando il Brasile vinse i Mondiali del 1958, in molti rimasero estasiati dal gioco, ma soprattutto dalla ventata di modernità che, nei rispettivi ruoli, gli interpreti più dotati di quella meravigliosa squadra sapevano proporre. E così Manè Garrincha diventò l’uomo dalla finta immutabile alla quale nessun difensore avversario sapeva resistere, Vavà un terminale offensivo implacabile, e Pelè nella finalissima contro la Svezia si consacrò per sempre come la Perla Nera. Ma sulla fascia destra c’era un giocatore, dal fisico compatto e dalla tecnica sopraffina, che divenne il vero prototipo del difensore esterno moderno, capace di controllare la fascia, ma al tempo stesso di sganciarsi in avanti facendo leva sulle sopra citate qualità tecniche, senz’altro fuori dal comune.


Eduardo Galeano, scrittore sudamericano che ha fatto un’arte del racconto letterario del futbòl, lo aveva ribatezzato “La Muralha“, ed in effetti Djalma Santos era freddo ed implacabile come un muro, qualunque avversario avesse di fronte, ma anche capace di esibirsi in dribbling mozzafiato nell’uno contro uno, trovando poi nella corsia opposta un suo perfetto doppione in Nilton Santos. Con loro, il Brasile poteva dire di possedere la coppia di esterni difensivi più forti del mondo, capaci però di trasformarsi all’occorrenza anche in ali aggiunte, il che spiegava la dirompente potenza offensiva della squadra allora allenata da Feola.

Djalma Santos arrivò a disputare quel Mondiale a ventinove anni, nel pieno della maturità calcistica. Era un periodo in cui il futbòl bailado era diventato anche concreto, e le leggendarie beffe degli anni passati, su tutte quelle del 1938 e del 1950, quando Italia ed Uruguay mortificarono le ambizioni di un Brasile lanciato verso il successo, vennero finalmente gettate alle spalle. I club brasiliani dominavano la scena: il Santos di Pelè era destinato ad entrare nella leggenda, così come il Botafogo di Garrincha e del superbo regista Didì. Ma chi portava a casa i titoli in patria era il Palmeiras, che dopo il Mondiale del 1958 strappò Djalma Santos alla Portoguesa, conquistando titoli in serie. Nel 1962, la generazione di fenomeni vinse in maniera ancora più convincente il suo secondo Mondiale, nonostante l’infortunio di Pelè, sostituito dalla rivelazione Amarildo. Ma la Muralha era sempre : scomparso di recente, resta l’esempio principale per tutte le generazioni di terzini moderni, ben prima dei Carlos Alberto e dei Cafu che ne hanno portato avanti la tradizione.