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Calciatori Fabio Belli

Branco: tre punizioni nella storia

di Fabio BELLI

Claudio Ibrahim Vaz Leal: un nome che i ragazzini appassionati di calcio leggono per la prima volta all’interno dell’album delle figurine Panini dedicato alla stagione 1986/87. Scritto in piccolo, ad indicare la vera identità di un nuovo talento brasiliano importato da una provinciale, il Brescia, che mancherà in quell’annata la salvezza in Serie A nonostante i gol di un bomber generoso, Tullio Gritti. E, come per molti talenti brasiliani, il nome “d’arte” di quel calciatore è breve e d’impatto: Branco. Quando arriva a Brescia, Branco ha ventidue anni ed è ancora acerbo per una ribalta come quella italiana che, in quegli anni, si afferma come la più rilevante a livello mondiale. Resta in Lombardia due anni, compreso uno in Serie B, poi viene ingaggiato dal Porto dove esplode il suo talento.

brancoSchierato inizialmente come interno di centrocampo, Branco in realtà eccelle come terzino sinistro, sfruttando un buon dinamismo e, soprattutto, un piede capace di calibrare lanci e cross perfetti. Soprattutto ai tempi del Porto emerge un suo particolare talento: quello sui calci di punizione. Branco è infatti in possesso di un tiro micidiale, potentissimo, forse il più violento della sua generazione. A questa potenza si abbina negli anni un affinarsi della tecnica: Branco colpisce il pallone sulla valvola applicando un effetto particolarissimo. La maggior parte degli specialisti imprime l’effetto a rientrare per aggirare la barriera e centrare l’incrocio dei pali, Branco tira staffilate centrali che si allargano verso l’estremità della porta, ed il portiere avversario vede sfuggire il pallone verso il quale è proteso in tuffo.

Questo talento si rivela nel Porto e nella nazionale brasiliana: ai Mondiali del 1990 in Italia, nel girone eliminatorio Murdo MacLeod, centrocampista della Scozia e del Borussia Dortmund, finisce in ospedale con un trauma cranico dopo essere stato colpito da una pallonata scagliata da Branco su punizione. Il malcapitato MacLeod era in barriera. L’Italia è però un conto aperto per Branco, considerando che i Mondiali finiscono nel peggiore dei modi per il Brasile, eliminato negli ottavi di finale dall’Argentina. Alla fine della competizione iridata si concretizza il trasferimento in un Genoa ambizioso, ricco di giocatori di qualità. Sono gli anni d’oro del calcio genovese, nella stagione del ritorno di Branco in Italia la Sampdoria vincerà lo scudetto ed il Genoa, quarto, si qualificherà per la prima volta nella sua storia in Coppa UEFA. Gioiello nella stagione dei grifoni, la micidiale punizione con la quale Branco regala il derby d’andata ai rossoblu contro i cugini futuri Campioni d’Italia. Una vittoria che sarà celebrata dai tifosi della Gradinata Nord con l’invio di una cartolina di Natale che raffigura la prodezza del centrale brasiliano.

La cavalcata in Coppa UEFA dell’anno successivo si rivelerà memorabile per il Genoa che sarà la prima squadra italiana capace di vincere ad Anfield, nella tana del Liverpool. Prima dell’impresa, i rossoblu avevano già ipotecato la qualificazione in semifinale nella gara d’andata. Il gol del fondamentale due a zero è a firma di Branco: una punizione da distanza incredibile, un capolavoro di potenza col pallone che disegna l’effetto sopra citato, caratteristico dei suoi calci piazzati. Marassi piange di gioia di fronte ad una delle più gloriose pagine della storia del Genoa.

Nel 1993 Branco torna in Brasile, tra Gremio e Corinthians, per preparare al meglio il Mondiale americano del 1994. E dopo la delusione del 1990, per il Brasile arriverà un titolo atteso 24 anni, dai tempi di Pelè. Tappa decisiva per la conquista del Mondiale, la vittoria nei quarti di finale contro l’Olanda: i tulipani rimontano due gol alla squadra di Romario e Bebeto, ma devono arrendersi al gol del 3-2. Firmato, neanche a dirlo, da una bomba di Branco che manda in delirio il Paese. Degna consacrazione per un campione abituato a chiudere in attivo i conti in sospeso.

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Calciatori Fabio Belli Nazionali

Francois Omam-Biyik, il salto del calcio africano oltre la propria storia

di Fabio BELLI

Il Mondiale del 1990 è stato un evento indimenticabile per gli appassionati di calcio. Un football all’epoca pieno zeppo di campioni, Maradona nell’Argentina, Roberto Baggio nell’Italia, l’Olanda di Van Basten e Gullit, i tedeschi, il Brasile dell’astro nascente Romario… insomma, un’epoca d’oro che andava a chiudere un decennio pieno di fantasia e di colori come gli anni ’80. E proprio al Pibe de Oro, in qualità di calciatore più forte del mondo e di campione iridato in carica, toccò aprire le danze del mondiale italiano nella partita inaugurale disputata al Meazza di Milano contro il Camerun.

Il calcio africano iniziava appena ad uscire dall’aspetto “pittoresco” che ne aveva contraddistinto la sua permanenza nelle competizioni internazionali dei precedenti vent’anni. Il Camerun era alla seconda partecipazione ai Mondiali e nel 1982 fece tremare gli azzurri poi Campioni del Mondo, uscendo imbattuto dal girone eliminatorio di Vigo dopo un 1-1 da batticuore contro l’Italia. Ma le prime vere squadre-sensazione del continente africano ai Mondiali furono l’Algeria nel 1982, trascinata dal “tacco di Allah” Madjer ed estromessa da un vero “biscotto” tra Austria e Germania ed il Marocco nel 1986, esaltato dai numeri degli estrosi Timoumi e Bouderbala nonché prima squadra del Continente Nero capace di superare il primo turno in un Campionato del Mondo. Il Camerun, sempre guidato in campo dall’ormai trentottenne Roger Milla, sembrava dunque la vittima sacrificale contro l’Argentina di Dieguito e Caniggia poi destinata ad arrivare di nuovo all‘atto finale della competizione.

Eppure proprio da quella partita gli sportivi di tutto il mondo inizieranno ad amare e sostenere i “Leoni Indomabili“, una generazione di calciatori che trovò le sue espressioni più talentuose nel portiere Tomas N’Kono, forgiato da anni passati nella Liga spagnola, e dallo stesso Milla, uno dei più forti attaccanti africani di tutti i tempi. Ma saranno anche tutti gli altri elementi in rosa a farsi conoscere e a conquistare le folle. A partire da quella di San Siro assolutamente incredula, dopo il fischio d’inizio, nel vedere Maradona e compagni stentare di fronte alla straripante forza atletica e alle accelerazioni devastanti del Camerun. Il tifo si schiera ben presto a favore dei “leoni indomabili”, ma la legge del più forte e del pronostico sembra compiersi inesorabilmente quando André Kana-Biyik si fa espellere lasciando il Camerun in inferiorità numerica.

Ma è a questo punto che si compie uno di quei miracoli che rendono unico il calcio: Makanaky scodella un pallone in area sul quale Francois Omam-Biyik si avventa saltando oltre le umane possibilità, come sembra evidente agli spettatori che in tutto il mondo seguono l’evento. Il portiere Pumpido, sorpreso quando ormai pensava che l’avversario non sarebbe mai arrivato all’impatto sul pallone, si lascia beffare ed il pallone si insacca in rete. E’ il gol che cambia il calcio internazionale e che apre una nuova frontiera nella quale il Camerun diverrà la prima squadra africana a piazzarsi tra le prime otto del mondo e che, soprattutto, rende la Coppa del Mondo un evento di massa anche in Africa. Nella capitale del Camerun, Yaoundè, il delirio provocato dal gol di Omam-Biyik proseguirà tutta la notte visto che i Leoni Indomabili, nonostante la chiusura del match in nove contro undici, portano a casa la vittoria contro i campioni del mondo in carica.

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Fabio Belli Football Mystery: la webserie

Football Mystery 3×02: Roipnol ’90

di Fabio BELLI

Il secondo episodio della terza serie dei nostri approfondimenti sui misteri del calcio si concentra su una storia che ha preso vita, volume e particolari col passare degli anni, con i protagonisti che si sono progressivamente sbottonati su un episodio che ha dell’incredibile. Stiamo parlando di fatti avvenuti in quello che non per niente viene considerato l’ultimo Mondiale di un calcio d’altri tempi, Italia 90: o forse in questo caso sarebbe più opportuno chiamarlo Roipnol ’90.

I FATTI
Negli ottavi di finale del Mondiale italiano del 1990 c’è in cartello una sfida classica, anzi superclassica, dal sapore della finale anticipata. Brasile e Argentina si sfidano nella cornice del nuovissimo stadio Delle Alpi di Torino, un prematuro incrocio a sorpresa tra due favoritissime figlio degli eventi dei gironi eliminatori. Mentre i brasiliani hanno fatto il loro dovere vincendo 3 partite su 3 in un raggruppamento abbastanza abbordabile con Svezia, Costa Rica e Scozia, l’Argentina ha pagato una delle più grosse sorprese della storia del calcio. Nella partita inaugurale dei Mondiali i campioni del mondo in carica vengono sconfitti dal Camerun, con uno straordinario gol di testa di Omam-Biyik. L’Argentina di Maradona ha dovuto rincorrere il ripescaggio contro Romania e Unione Sovietica ed è ora opposta ad un Brasile che sembra andare molto più forte e che effettivamente gioca la partita molto meglio dell’Albiceleste.

IL PERSONAGGIO
L’Argentina è sotto pressione, ma può vantare in rosa “Il” personaggio del Mondiale. Diego Armando Maradona quattro anni prima ha vinto, a detta di molti da solo, la Coppa del Mondo e medita di fare il bis con una squadra che continua ad essere abbastanza modesta, ma che rispetto a quattro anni prima ha qualche freccia in più nel suo arco. Come il sodale d’attacco di Diego, il rapidissimo Claudio Paul Caniggia, che come lui gioca in Italia. L’Argentina difende a ondate sugli attacchi dei brasiliani, si fa vedere raramente dalle parti della porta avversaria ma nel finale il Brasile sembra non averne più. Maradona capisce che il momento è quello giusto, danza tra gli avversari imbambolati nello stile del gol che aveva steso gli inglesi nel 1986 e serve in diagonale a Caniggia l’assist perfetto: Taffarel dribblato, Argentina ai quarti di finale, brasiliani attoniti. Già: perché “così” attoniti?

LE ACCUSE
Si parlerà della classica partita vinta dalla squadra che ha saputo subire e colpire in contropiede, non è la prima volta e non sarà l’ultima. Ma proprio Diego Maradona col tempo racconterà un retroscena incredibile, per giunta in diretta televisiva: “Molti dei calciatori in campo giocavano in Italia e anche i brasiliani – ha ricordato Diego – venivano a bere alla nostra panchina. E, quando è venuto Branco, gli ho detto “Valdito bevi pure”, lui si è scolato tutta l’acqua». «Poi – ha continuato Maradona – è venuto anche Olarticoechea e allora gli ho gridato: “no, no, da quella borraccia no. Fatto sta – ha proseguito Maradona – che a partire da quel momento, Branco, stralunato, tirava le punizioni e stramazzava a terra. Dopo la partita, quando i due pullmaìn si sono incrociati, m’ha fatto segno che era colpa mia. Ma gli ho risposto di no. C’era un buon rapporto tra noi, e non ne abbiamo più parlato». Qualcuno ha messo nell’acqua un Roipnol (un sedativo utilizzato dagli psichiatri – ndr), ed è finito tutto in vacca.” La testimonianza dello stesso Branco conferma le accuse: “C’ era Maradona a terra e accanto a lui il massaggiatore con le borracce. Chiesi a Diego il permesso di bere e loro, non ricordo se Diego o il massaggiatore, mi porsero un contenitore. Quell’ acqua aveva un sapore amaro, però non ci badai. In pochi minuti avvertii un malessere. Mi girava la testa, le gambe erano strane: a tratti mi sentivo un leone, a tratti ero sul punto di svenire. All’ intervallo domandai la sostituzione, ma il C.T. Lazaroni mi intimò di tenere duro”.

LE CONCLUSIONI
Storie di calcio d’altri tempi, ma già trasmesse in mondovisione. Non si pensava fosse possibile, ma le accuse vennero confermate, con Branco che raccontò: Un giorno, mi pare che fossimo nel ‘ 92, all’ aeroporto di Rio incontrai per caso Oscar Ruggeri che mi disse ridendo, “Ehi, Claudio, che bello scherzetto ti abbiamo combinato in Italia”, e racconta che quella borraccia aveva un tappo di colore diverso dalle altre perché dentro c’ era un sedativo. Ruggeri mi confidò che quella era l’ acqua per gli avversari. Non so quale veleno mettessero dentro l’ acqua, ma so che lo mettevano e questa è una cosa inaccettabile, antisportiva, per niente etica. Se quel giorno a Torino fossi stato sorteggiato per l’ antidoping, avrei fatto la figura del drogato e la mia carriera sarebbe stata rovinata.” A chiudere la polemica ci pensò un attaccante di quel Brasile che giocava per il Napoli con Maradona, Careca, che confermò però l’incredibile episodio: “A Branco girava la testa. Lui pensava che fosse il caldo. Magari gli è mancata la lucidità di dire “non sto bene resto fuori”. Poi tra di noi c’erano almeno quindici giocatori che giocavano in Italia, ci si conosceva tutti… ma non ce l’ho con Diego.
Alla fine sbagliò Lazaroni. Io e Alemão gli dicevamo che bisognava marcarlo a uomo, ma lui niente, voleva marcare a zona. Aveva appena firmato per la Fiorentina e doveva dimostrare qualcosa o fare degli esperimenti. Fatto sta che ci faceva giocare con la difesa a tre.” Secondo Careca, non fu colpa del sonnifero.

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Alessandro Iacobelli Calciatori

Pierre Littbarski: il Rapido di Colonia

di Alessandro IACOBELLI

Pierre il bello, il biondo, il rapido. Il 16 aprile 1960 l’edificazione del muro di Berlino era ancora un progetto in attesa di realizzazione, ma la divisione in blocchi contrapposti era già una realtà consolidata. Il ragazzino Littbarski assaggia l’ebbrezza del manto verde alle dipendenze del vivaio del Vfl Schöneberg. Il praticantato prosegue nell’Herta Zehlendorf.

Nel 1978 la freccia teutonica instaura un legame che segnerà per sempre la carriera da calciatore. Pierre è del Colonia. In Bundesliga passano in rassegna sette intense stagioni. 243 caps pedalando spedito sulla fascia destra con 89 reti ad impreziosire lo sfondo. Il palmares forse non rende merito al suo talento cristallino. La bacheca è occupata, nel complesso, da tre titoli. In biancorosso alza al cielo due Coppe di Germania, nelle finali contro Fortuna Düsseldorf (1977-1978) e nel derby contro il Fortuna Colonia (1982-1983). Il calcio totale di mister Rinus Michels esalta le sguscianti qualità di Pierre. Gli avversari, per lui, si trasformano in birilli. Sua la firma decisiva al minuto 68 ai danni del portiere Bernd Helmschrot.

La chance da mille e una notte arriva nel 1986. Il Colonia sbaraglia la concorrenza e punta dritto verso la finalissima di Coppa Uefa. C’è solo un problema: il Real Madrid. Al Bernabeu non c’è partita. Allofs illude. Sanchez, Gordillo, la doppietta di Valdano e Santillana ribaltano tutto. Il successo biancorosso nel ritorno (2-0) è una effimera consolazione.

L’annata trascorsa in Francia, con la maglia dell’RC Parigi, è una fermata quasi istantanea. La nostalgia per le origini è forte, anzi fortissima. Pierre allora ripercorre la strada di casa. Colonia punto e basta. Così sarà fino al 1993. Oltre 120 gettoni conditi da 27 marcature.
La vita, in fondo, è una continua sperimentazione. LIttbarski, per chiudere in bellezza una brillante carriera, opta per un lungo viaggio orientale. Vola in Giappone dove indosserà le casacche di JEF United e Vegalta Sendai. Si diverte e sforna giocate d’altissima scuola. Appende gli scarpini al chiodo nel ’97.

Manca il fulcro della storia: la Nazionale. Un decennio sulla cresta dell’onda con la Germania dell’Ovest. Soccombe nelle finali del 1982 (contro l’Italia) e del 1986 (con l’Argentina), ma gioisce nelle notti magiche del 1990 di nuovo al cospetto di Maradona. Prende parte inoltre ad un paio di Europei, nel 1984 e nel 1988. Derwall e Beckenbauer ringraziano.

Decisamente più movimentata la carriera da allenatore. Yokohama FC e Avispa Fukuoka le avventure giapponesi. Torna in Germania per il ruolo di assistente nel Bayer Leverkusen e nel Wolfsburg (tecnici Berti Vogts, Steve McClaren e Felix Magath), con un’esperienza come primo allenatore del Duisburg. Nel 2012 accetta la proposta di assumere le vesti di capo osservatore proprio del Wolfsburg. Nel mezzo tre incarichi certamente inusuali tra Australia, Iran e Liechtenstein. Guida appunto Sydney FC, Saipa e Vaduz.

Il biondo di Colonia non si è fermato mai, regalando tante emozioni con le sue ubriacanti incursioni. L’incubo delle difese: Pierre Littbarski.

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Calciatori Fabio Belli

Nicola Berti e il tramonto della Milano da Bere

di Fabio BELLI

A guardarlo adesso, imbolsito e con lo sguardo sin troppo rilassato, viene quasi da non credere che sia stato una delle più astute e guizzanti mezze ali (una volta si diceva mediano di spinta, diciamo che oggi sarebbe un De Rossi un pizzico più offensivo) degli anni ’80 e dei primi anni ’90. Eppure Nicola Berti ai tempi da giocatore ad un innato estro abbinava una cattiveria agonistica ed una concentrazione che gli hanno permesso di calcare i campi più prestigiosi del mondo, senza sosta, con tanto di due Mondiali disputati in maglia azzurra.

Nicola Berti che per anni è stato uno dei simboli dell'”ultimo scudetto dell’Inter”, quello del 1989 con Trapattoni in panchina, prima che 17 anni dopo Calciopoli cambiasse gerarchie del calcio italiano che parevano scolpite ormai nel marmo. Nicola Berti che si beve non tutta la difesa ma tutto il Bayern Monaco, nella sua interezza, in una memorabile notte di Coppa UEFA. Ed, essendo lui un contro-cliché, in quell’occasione non saranno le bizze del suo talento a sprecare il lavoro di squadra bensì sarà la squadra intera nel match di ritorno a sprecare le sue prodezze. Nicola Berti che ama la birra e la notte con le luci di una Milano da Bere anni ’80 che andavano via via spegnendosi e di cui lui era forse uno degli ultimi esempi concreti. Un calciatore però che riesce ad andare d’accordo in Nazionale anche con Sacchi, simbolo di un Milan odiatissimo in maglia nerazzurra e di un calcio totalmente diverso da quello giocato in quegli anni con l’Inter e con la nazionale di Vicini.

In un’intervista, di quei mondiali del 1994 immerso nell’integralismo sacchiano del 4-4-2, raccontò: “Si giocava negli Stati Uniti dove del calcio non fregava niente a nessuno. Oltretutto, si doveva scendere in campo in orari assurdi per le tv europee, con un caldo incredibile. Dopo ogni primo tempo c’erano 7-8 giocatori che chiedevano di non tornare in campo: pazzesco. Io giocavo fuori ruolo, sulla fascia, ma non me ne importava nulla: l’importante era esserci e mi sono divertito lo stesso.

Non si impuntava per una posizione in campo, Berti, l’importante era divertirsi e lui la vita l’ha sempre presa con una certa filosofia, senza perdere la testa neanche quando l’Inter di Pellegrini andò a pescarlo nel 1988 nella Fiorentina. Era già una stella dell’Under 21 grazie ad una sua tripletta storica rifilata al Portogallo. Fu subito scudetto, sembrava un’era pronta ad iniziare, l’Inter dei tedeschi subito dopo il Milan degli olandesi ed invece la sua era la Milano da bere che appunto si stava spegnendo. L’altra, invece, quella del Berlusconismo che stava appena nascendo. Ed anche di giocatori come Berti iniziavano ad uscirne fuori sempre meno.

Perso lo scatto dei bei tempi non ci ha messo molto a tagliare la corda: a 31 anni si è tolto lo sfizio di una stagione al Tottenham, in Premier League, poi dieci anni ai Caraibi a godersi la vita prima di tornare in Italia per fare il punto sul nostro calcio e sull’Inter, sempre senza peli sulla lingua. Ma a sentire lui l’importante è sempre divertirsi e, più che il calcio, ora sono i viaggi la sua vera passione: “Il posto più bello che ho visto? Ne dico due: lo Yemen e il Kazakhstan. Al largo dello Yemen c’è un’isoletta, si chiama Socotra. È bella almeno come quelle dei Caraibi. Nessuno mi impedirà mai di viaggiare, continuerò a farlo e sempre di più.” Tanto la Milano dei suoi anni d’oro non c’è più da un pezzo.

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Allenatori

Bora Milutinovic, il mister esploratore

di Alessandro IACOBELLI

“Si, viaggiare evitando le buche più dure senza per questo cadere nelle tue paure”

Le parole di Lucio Battisti sembrano cucite a pennello su ‘Bora’ Milutinuvic. La valigia ha sempre accompagnato la suggestiva ed affascinante esistenza del personaggio odierno. ‘Bora’ Nasce il 7 settembre 1944 a Bajina Basta, nell’allora Jugoslavia. Le origini subiscono inevitabilmente le ripercussioni dettate dal regime del Maresciallo Tito. Il cocktail di etnie, dopo la morte del dittatore, si sfalda in modo irrimediabile. La terribile guerra civile scuote la polveriera.

La carriera da calciatore è tutt’altro che disprezzabile. Nella veste di centrocampista il buon ‘Bora’ fa il suo dovere con un pizzico di tecnica che non guasta mai. Dal Partizan di Belgrado al Monaco, transitando per il Nizza ed il Rouen. Il tramonto agonistico si materializza addirittura in Messico nei Pumas. Nel Centro America ‘Bora’, uomo a dir poco perspicace, conquista il cuore di una donna benestante figlia di un ricco proprietario terriero. Il seguente aforisma spiega il personaggio: “Nascere poveri è una sfortuna, ma sposarsi una povera è da sciocchi”.

Passa dal campo alla panchina dei Pumas in un batter d’occhio. I risultati sono invidiabili e la Federazione locale gli affida la guida della Nazionale maggiore. Tre lunghi anni per preparare la troupe ai mondiali casalinghi del 1986. Larios e soci, inseriti nel gruppo B, piegano il Belgio per poi pareggiare con il Paraguay ed infine sbancare di misura con l’Iraq. Agli Ottavi di Finale lo stadio ‘Azteca’ pullula di euforia nel successo sulla Bulgaria firmato da Negrete e Servin. Soltanto la Germania Ovest ai rigori sarà in grado di fermare l’allegra compagnia Tricolor. Le susseguenti avventure nel San Lorenzo e nell’Udinese cadono nel dimenticatoio per il magro bottino. Il tecnico serbo opta allora per una sfida ai limiti del paradossale. Diventa quindi il CT della Costa Rica. Le notti magiche esaltano un’autentica rivelazione. Cade la Scozia in principio. Poi giunge la sconfitta di misura con i marziani del Brasile. Al terzo ostacolo i Ticos si scatenano battendo la Svezia di rimonta per 2-1. Capitan Flores e gli altri si inchinano poi al ciclone della Cecoslovacchia negli Ottavi.
Milutinovic2

Il nome di Milutinovic ingolosisce i sodalizi di mezza Europa. Lui però snobba comodi lidi per sposare senza indugi avventure suggestive. Negli Stati Uniti d’America il calcio non costituisce proprio la disciplina che muove le masse. In realtà nella patria del capitalismo non esiste una Lega Nazionale e conseguentemente latita un torneo professionistico. L’assegnazione dei Mondiali del 1994 è quindi un treno da prendere al volo. La Federazione chiama; ‘Bora’ risponde all’istante. I college divengono un pozzo infinito di giovani promesse. La squadra americana passa come migliore terza dopo il pari con la Svizzera, il colpo inflitto alla Colombia ed il marchio di Daniel Petrescu. La favola a stelle e strisce va in archivio il 4 luglio quando Bebeto al ’73 trafigge Tony Meola.

Il profumo dell’America Latina diviene impellente ed il vagabondo serbo rievoca il passato e torna al timone del Messico cogliendo un ottimo bronzo nella Copa América del 1997. Nel dicembre dello stesso anno ‘Bora’ parte per l’ennesimo viaggio, destinazione Nigeria. Nel continente africano la compagine bianco-verde abbonda in classe e funambolismo. Dal difensore ex Inter Taribo West alle ali Finidi e Babangida, passando per la punta Kanu. Jay-Jay Okocha è la ciliegina sulla torta. Il match inaugurale con la Spagna è un miscuglio di sensazionali emozioni. Sblocca Hierro su punizione. Adepoju firma l’1-1. Raddoppia Raul. Lawal ristabilisce l’equilibrio con la complicità di un distratto Zubizarreta. Allo scoccare del ’79 Oliseh lascia esplodere un bolide destro imparabile. Ipkeba piega poi la Bulgaria per il bis. La Nigeria si aggiudica il raggruppamento D, nonostante lo scivolone patito ad opera del Paraguay. I bookmakers del globo sono fiduciosi nelle potenzialità della banda traghettata da Milutinovic. Ochechukwu e compagni crollano verticalmente negli Ottavi di Finale. La Danimarca di Schmeichel e Helveg gioca a poker senza alcun patema d’animo. ‘Bora’ è frastornato. L’annata ai New York Metrostars è un fiasco.

All’alba del nuovo millennio l’inossidabile ‘Bora’ si rimette in pista. Questa volta però la vetta appare insormontabile. La Federazione cinese mira alla partecipazione ai Mondiali del 2002 in Giappone e Corea. Il regno degli involtini primavera non si distingue certo per la qualità dei calciatori, non troppo distanti dal dilettantismo. Il trainer di Bajina Basta mischia nuovamente le sue carte mettendosi in discussione. Il miracolo è presto esaudito. La truppa asiatica si qualifica contro ogni più rosea attesa alla fase finale. Nel girone C Brasile, Turchia e Costa Rica non fanno sconti. Il fanalino di coda, forse per la prima volta in assoluto, può essere fiero dell’impegno profuso. La gita di Milutinovic, alla ricerca di stimoli e culture ignote, propone ulteriori tappe. Honduras, Giamaica e Iraq gustano i suoi sagaci dettami. Siamo sicuri che la mente di ‘Bora’ girerà vorticosamente in qualche altra zona dell’universo. Il mister esploratore continuerà di certo a scrivere il suo libro.

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#Contromondiali Fabio Belli

#Contromondiale 19: #Argentina, #Olanda, #Romero, #Mascherano, #Maschefacts, #GermaniaArgentina, #Robben, #SanPaolo, #Fellaini

di Fabio Belli

Argentina – Olanda 4-2 dcr

Entusiasmo popolare sfrenato in Argentina
Entusiasmo popolare sfrenato in Argentina

122. Dal “San Paolo” a… San Paolo: l’Argentina torna a giocarsi il titolo Mondiale a 24 anni di distanza da quello del 1990, e l’avversaria sarà la stessa, la Germania. Corsi e ricorsi continui della storia, visto che dopo quella volta, l’albiceleste non aveva più superato i quarti di finale, e soprattutto non aveva più vinto ai rigori dalla semifinale in Italia che rappresenta uno dei ricordi più amari della storia azzurra. Eliminata nel 2006 proprio dai tedeschi, che anche nel 2010 sono stati giustizieri della squadra allora allenata da Diego Armando Maradona. Germania-Argentina è una delle superclassiche dei Mondiali, e sarà per la terza volta l’atto conclusivo della competizione. Nel 1986 il gol di Burruchaga ha regalato il secondo titolo agli argentini, nel 1990 il rigore di Brehme il terzo ai tedeschi.

La Gazzetta riassume Argentina-Olanda in 5 parole
La Gazzetta riassume Argentina-Olanda in 5 parole

123. E allora come ora, ai rigori è stato decisivo un “underdog”, un portiere che di certo non era atteso tra i protagonisti del ventesimo Mondiale, e che di nome fa Sergio. Per la precisione, Sergio Romero, numero uno della Sampdoria che raccoglie ufficialmente l’eredità di Sergio Goycoechea, che ventiquattro anni fa salvò l’Argentina ai rigori prima nei quarti di finale contro la Jugoslavia, e poi nella sopra citata semifinale contro l’Italia. Stesso nome di battesimo, stesse prodezze dagli undici metri (la parata su Sneijder è stata a dir poco strepitosa), stessa scarsa considerazione alla vigilia: a Buenos Aires sperano solo che la storia dei Mondiali, così circolare e ricca di ricorsi, non nasconda il presagio di un’altra delusione finale.

Romero ripassa prima dell'interrogazione
Romero ripassa prima dell’interrogazione

124. Romero non deve comunque essersi dimenticato gli anni di scuola: durante i rigori è stato “pizzicato” a sbirciare un foglietto nel quale probabilmente c’erano appuntate le abitudini dei rigoristi olandesi. E chissà se le parate su Vlaar e Sneijder non siano state figlie dello studio, più che dell’istinto. Non è la prima volta che un portiere si aiuta con gli appunti: Jens Lehmann nel 2006 aveva ripassato lo stile dei tiratori argentini proprio nello stile di un compito in classe tra i banchi del liceo.

Ancora una delusione per l'Olanda
Ancora una delusione per l’Olanda

125. Dopo lo straordinario spettacolo di Belo Horizonte, a San Paolo si è assistito ad una partita bloccata come forse se ne videro, nella storia recente dei Mondiali, solo nel mondiale italiano, e a tratti in quello americano nel quale però il caldo recitò un ruolo ben più preponderante dei tatticismi di quattro anni prima nel frenare le squadre. Louis Van Gaal ha tagliato fuori Leo Messi, che dopo l’opaca prova contro il Belgio, si è giocato il secondo bonus nella strada verso la storia, mai pericoloso e soffocato dalle asfissianti marcature degli oranje. La partita si è rivelata però un paradossale scontro all’ok corral tra il tecnico olandese e Sabella, che ha rinunciato a sua volta ad esporsi al micidiale contropiede olandese. E il disappunto finale di Robben è quello di chi sapeva di poter in fondo fare di più: e invece la sua sarà l’ennesima generazione di fenomeni olandesi incompiuti.

Mascherano su Robben: una gemma di Brasile 2014
Mascherano su Robben: una gemma di Brasile 2014

126. Un filo conduttore tra le due finaliste è individuabile anche nell’anima delle rispettive zone di centrocampo. Nella storia vittoria della Germania, è riuscito a spiccare Sami Khedira, che ha giganteggiato dopo un inizio di Mondiale difficile. Nella bloccatissima sfida di San Paolo, a parte i balzi di Romero, l’unico gesto atletico da tramandare ai posteri sarà quello di Mascherano che ha salvato un gol fatto di Robben praticamente allo scadere. Un intervento strepitoso, per scelta di tempo e cuore, ciliegina sulla torta di una prestazione maiuscola.

Rimasugli di Argentina – Belgio 1-0

Fellaini come Sansone
Fellaini come Sansone

127. Basta la foto, non servono parole: Marouane Fellaini si è tagliato i capelli! Crolla in borsa l’industria delle parrucche per tifosi: migliaia e migliaia di capi ormai inutilizzabili tra Manchester e Bruxelles.

 

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#Contromondiali Fabio Belli

#Contromondiale 17: #Messi, #Argentina, #Belgio, #Krul, #VanGaal, #Olanda, #Navas, #CostaRica, #Tacconi, #EdWarner, #Colombia

di Fabio Belli

Argentina – Belgio 1-0

Ci sono cose che non cambiano mai...
Ci sono cose che non cambiano mai…

110. Se l’Argentina sta provando a ricalcare Messico ’86, uno scontro con il Belgio non poteva mancare. Allora come ora, Maradona e Messi si sono ritrovati circondati da frotte di Diavoli Rossi, ma la vittoria dell’albiceleste è stata limpida. Per la prima volta però la “pulga” perde il confronto diretto con il mito di riferimento, che dopo aver eliminato da solo gli inglesi, fece il bis con i belgi in semifinale. La giocata che ha innescato il gol decisivo di Higuain è stata pregevole, ma stavolta il fenomeno del Barcellona è apparso un po’ affaticato dallo strapotere fisico degli avversari. L’Argentina torna comunque tra le prime quattro di un Mondiale dopo 24 anni: dopo Italia ’90, i quarti di finale si erano sempre rivelati un tabù.

Olanda – Costa Rica 4-3 dcr

La Mossa di Van Gaal
La Mossa di Van Gaal

111. Parlando di maledizioni, l’Olanda ha sudato freddo pensando a cosa era accaduto a tutte le squadre che nelle ultime quattro edizioni avevano eliminato il Messico negli ottavi di finale. Germania nel ’98, Stati Uniti nel 2002 e Argentina nel 2006 e nel 2010 erano sempre finite fuori ai quarti. Con tre legni, due dei quali al termine dei tempi regolamentari e supplementari, gli orange hanno iniziato a temere il peggio. A risolvere le cose ci ha pensato un’incredibile mossa di Louis Van Gaal…

Il Bullo Krul in azione
Il Bullo Krul in azione

112. … che prima dei penalty, ha sostituito Cillessen con Tim Krul, portiere del Newcastle, due soli rigori parati in carriera, nessuno nell’ultima stagione in Premier League su cinque tiri dal dischetto subiti. Mossa dunque psicologica? Forse, anche se Cillessen ha uno score in carriera anche peggiore sui rigori rispetto a Krul. Mai un portiere nella storia dei Mondiali era stato inserito appositamente per i rigori, mai l’Olanda aveva passato il turno non solo ai penalty, ma neanche dopo essere andata ai supplementari. Tutte “maledizioni” sfatate (compresa quella messicana di cui sopra…) dalla sfrontatezza di Van Gaal e del suo portiere di riserva, che assai poco elegantemente ha redarguito gli avversari prima di ogni tiro. Alla fine il “bullo” Krul ne ha neutralizzati due, garantendo un posto all’Olanda in semifinale, e a sé stesso nella storia.

Oltre a Krul, anche Tacconi poteva essere come Ed Warner
Oltre a Krul, anche Tacconi poteva essere come Ed Warner

113. A memoria d’uomo, l’unico portiere mai inserito appositamente per parare rigori in una partita di fase finale è stato Ed Warner nella semifinale con la Flynet. Peccato si trattasse del cartone animato “Holly e Benji”, ma spesso la realtà supera la fantasia. A molti però sarà anche venuta in mente una calda serata italiana al San Paolo di Napoli, quando gli azzurri non riuscirono a piegare le resistenze dell’Argentina. Ai rigori, in quella semifinale Mondiale, mezza Italia invocò l’ingresso di Stefano Tacconi al posto di Walter Zenga, all’epoca miglior portiere del mondo, ma che non godeva di fama di para-rigori. Scelta troppo anticonvenzionale per Azeglio Vicini, e le cose andarono come sappiamo. Chissà, se anche allora ci fosse stato Van Gaal…

Nonostante l'eliminazione, Keylor Navas è stato una stella di Brasile 2014
Nonostante l’eliminazione, Keylor Navas è stato una stella di Brasile 2014

114. Di sicuro i portieri a Brasile 2014 hanno recitato la parte del leone. Krul ha rubato la scena, ma nella serata dell’Arena Fonte Nova di Salvador di Bahia, Keylor Navas si è confermato un gigante. Al pari dello statunitense Howard, il numero uno della Costa Rica e del Levante (dove è stato segnalato come miglior portiere della Liga Spagnola) si è esibito in una serie di salvataggi al limite del possibile. A ventisette anni, potrebbe avere la maturità e l’esperienza giusta per giocarsi una carta importante nella sua carriera: vedremo se il mercato risponderà alle sue acrobazie tra i pali.

Rihanna tifa Olanda e si vede
Rihanna tifa Olanda e si vede

115. Abbiamo già segnalato come l’Olanda sia stata accompagnata da tanta bellezza nella sua avventura Mondiale finora. Al bullo Krul si aggiungono le pupe locali, ma non solo: prima della partita contro la Costa Rica si è schierata anche la popstar Rihanna, in uno scatto apprezzatissimo nella posa e nel soggetto come testimoniato dalle reazioni dei tifosi su Twitter, ma che non passerà certo alla storia tra i capolavori di photoshop…

 

Rimasugli di Brasile – Colombia 2-1

I media colombiani invitano alla moderazione
I media colombiani invitano alla moderazione

116. Spesso in Italia ci lamentiamo dell’immaturità e del vittimismo dell’ambiente calcio. Anche dopo l’ultima eliminazione, ancora fresca nei cuori e nelle menti dei tifosi azzurri, nonostante l’espulsione di Marchisio che appare ancora ingiustificabile, e il morso di Suàrez a Chiellini non visto, la stampa ha esortato a non scaricare, o almeno non farlo del tutto, la responsabilità delle scadenti prestazioni dell’Italia sull’arbitro. Bisogna ricordarsi però che tutto il mondo è paese, e nel leggere come i giornali colombiani hanno reagito all’arbitraggio dello spagnolo Carlos Velasco Carballo nel quarto di finale contro il Brasile, allora sembra evidente che c’è sempre chi prende le brutte notizie in maniera peggiore di qualcun altro.

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#Contromondiali Fabio Belli

#Contromondiale 10: #Belgio, #Neymar, #CR7, #USA, #Herrera, #Eto’o, #NorthKorea, #Sheldon, #HupHolland, #Spagna

di Fabio Belli

Belgio – Russia 1-0

Il Belgio è bello perché è vario
Il Belgio è bello perché è vario

57. I Diavoli Rossi stanno vincendo e rispettando il pronostico della vigilia, ma a modo loro. Quello tra Belgio e Olanda è uno dei derby più antichi d’Europa, ma le filosofie di gioco della due Nazionali sono sempre state (soprattutto dagli anni ’70 in poi) molto differenti. Cinico, pratico ed essenziale il Belgio, spesso travolgente, esaltante e un po’ sciupona l’Olanda. Il carico di talenti con cui la squadra di Wilmots si è presentata in Brasile quest’anno, non ha cambiato questa tendenza. Ciò che è diverso, e ne avevamo già parlato, è il carico di entusiasmo con cui i tifosi in patria stanno seguendo Fellaini e compagni. Gli ottavi sono conquistati, ma il sogno è emulare gli eroi di Messico ’86, quarti.

Corea del Sud – Algeria 2-4

Tutti tifano Algeria!
Tutti tifano Algeria!

58. Ci agganciamo perfettamente all’argomento “migliori prestazioni” e all’argomento “derby”. Nel primo caso, l’Algeria che si giocherà la qualificazione contro la Russia, se non avesse mostrato lacune in difesa piuttosto importanti, potrebbe pensare di superare la squadra del 1982, che stupì il mondo battendo la Germania Ovest poi finalista, per poi ritrovarsi esclusa a causa di un atteggiamento abbastanza “permissivo” degli austriaci nei confronti degli stessi tedeschi nell’ultimo match del girone. Nel secondo caso, la Corea del Sud ha attirato il tifo contrario dei cugini del Nord: ha fatto il giro del mondo la foto di Kim Jong Un con tanto di sciarpa dell’Algeria. Quella fra i dittatori e il calcio è una storia che dura da molti anni, e visto che la Corea del Nord non si è qualificata, Kim Jong Un si è lasciato andare ad una botta di “Schadenfreude”.

Stati Uniti – Portogallo 2-2

Anche Sheldon dice "U-S-A!"
Anche Sheldon dice “U-S-A!”

59. Una delle più belle partite di un Mondiale fin qui prodigo di spettacolo. Il “Team USA” di Klinsmann è andato ad un passo da una clamorosa qualificazione anticipata agli ottavi. Il gol di Varela di un Portogallo sovrastato nel secondo tempo ha rovinato tutto, ma complice anche il fuso orario finalmente favorevole (non succedeva dal Mondiale giocato in casa) il seguito verso Dempsey (ancora in gol!) e compagni sta raggiungendo livelli da record. Le star del cinema e delle serie televisive americane si accodano ad un sostegno fin qui riservato solo agli assi del football e del basket. Jim Parsons, alias Sheldon Cooper di Big Bang Theory, ha manifestato tutto il suo tifo per gli Stati Uniti ai Mondiali, e la CBS ha dedicato uno speciale a come le sue stelle stanno seguendo Brasile 2014.

60. Messi vs. Ronaldo 2-0. Il campo dice impietosamente questo, con l’Argentina già agli ottavi ed il Portogallo a rischio di una clamorosa eliminazione al primo turno. Questo nonostante il Pallone d’Oro contro gli USA abbia regalato magie che contro la Germania non si erano viste. L’assist finale per Varela, straordinario, ma soprattutto il numero nel primo tempo, forse la giocata individuale più bella del Mondiale fino a questo momento, escludendo i gol che meritano sempre un discorso a parte, e che CR7 finora non ha ancora trovato in Sudamerica.

Australia – Spagna 0-3

Bacheca spagnola
Bacheca spagnola

61. Nella formula dei Mondiali, arrivare alla terza della partita del girone con una sfida tra due squadre già eliminate è un evento raro ma possibile. Il fatto che in questa malinconica passerella siano coinvolti i Campioni del Mondo è decisamente più inusuale: la Spagna ha salvato la faccia, ma il biglietto di ritorno era già in tasca per Casillas e compagni. Analizzare il declino di una squadra che ha fatto epoca è ancora più difficile che individuarne le ragioni del successo. Sicuramente Casillas negli ultimi sei anni aveva salvato delle partite, piuttosto che comprometterle; sicuramente l’ascesa di Piqué si è arrestata, e la mancanza di un leader come Puyol in difesa è tangibile. Sicuramente un giocatore come Xavi, non per niente pronto alla partenza verso lande arabe, non nascerà di nuovo facilmente, e il fatto che la squadra che ha vinto tutto senza centravanti, si sia inceppata all’arrivo di Diego Costa, sicuramente non è un caso. Ma è sicura anche la gratitudine di un paese che ha visto le Furie Rosse superare un complesso secolare proprio grazie a questi eroi al crepuscolo. L’ironia, che in questi casi ci sta, è arrivata prevalentemente dall’estero…

Olanda – Cile 2-0

Ricette espresse olandesi
Ricette espresse olandesi

62. Arjen Robben è sempre stato uno strano tipo di calciatore: i mezzi per diventare il più forte li ha sempre avuti. Il magnetismo glamour di Ronaldo e la continuità di Messi no, né la cattiveria di un Ibrahimovic. Complici anche gli infortuni che raramente lo hanno lasciato in pace. Quando è stato bene, sia al Bayern Monaco che in Nazionale, ha dimostrato però di poter cambiare da solo il volto delle partite. Qualcuno gli ha sempre rimproverato un pizzico di egoismo, e di imprecisione sotto porta: conto il Cile, da assist-man, ha dimostrato che un’Olanda arrivata in sordina in Brasile, può sognare la vendetta, quando in Sudafrica proprio Robben vide il sogno di un’intera Nazione infrangersi di fronte a Casillas.

Camerun – Brasile 1-4

Neymar, uomo in più del Brasile nella fase a gironi
Neymar, uomo in più del Brasile nella fase a gironi

63. E se tra i due litiganti fosse il terzo a godere? Nella grande attesa Mondiale della sfida a distanza tra Messi e Ronaldo, nessuno ha forse considerato che Neymar può contare su una spinta popolare senza precedenti. Il mondo si emoziona nel sentire tutto lo stadio, prima delle partite della Selecao, cantare la seconda strofa dell’inno senza l’accompagnamento musicale. E Neymar è finora protagonista di una squadra non del tutto convincente, ma capace di mandare già quattro volte in gol l’asso del Barcellona, che sembra particolarmente forgiato dall’anno, duro, trascorso in Europa. Dagli ottavi e dal Cile, il gioco si farà duro: vedremo se Neymar sarà già in grado di giocare: l’occasione di un Mondiale da vincere da eroe, in casa, di sicuro non capiterà più.

Eto'o: il peso degli anni, della responsabilità, e forse della ricchezza
Eto’o: il peso degli anni, della responsabilità, e forse della ricchezza

64. Nel cuore di tifosi ed appassionati, il Camerun del 1990 resta la squadra africana più bella ed amata mai passata in un Campionato del Mondo. Roger Milla, Thomas N’Kono, e la cavalcata fino agli spettacolari quarti di finale perduti contro l’Inghilterra. Per questo, quanto messo in mostra dai “Leoni Indomabili” in Brasile è stato un qualcosa di malinconico. Dalla stucchevole lite sui premi, ironica per una squadra incapace di raccogliere anche solo un punto del girone, a Samuel Eto’o chiuso in una gabbia dorata, infortunato e incapace di lasciare un vero segno in un Mondiale. Della squadra di 24 anni fa capace di contagiare con allegria ed entusiasmo chiunque la guardasse, nemmeno l’ombra.

Croazia – Messico 1-3

Hector Herrera, il caudillo messicano
Hector Herrera, il caudillo messicano

65. Comunque vada a finire, questo è stato l’anno delle forte personalità in panchina, i “caudillos” capaci di portare outsider alla vittoria. Diego Simeone all’Atletico Madrid ne è l’esempio più lampante, ma anche il “Piojo” Hector Herrera, corpulento e sanguigno CT del Messico, non si sta rivelando da meno. Le sue sfrenate esultanze stanno diventando letteralmente di culto, e chissà se l’organizzazione trovata non possa portare il “Tri” (che ancora deve subire un solo gol) dove non è mai ancora arrivato finora.

 

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#Contromondiali Fabio Belli

#Contromondiale 09: #Klose, #Record, #Ronaldo, #Argentina, #Messi, #Maradona, #Genio, #Nigeria, #Africa, #Bosnia, #Zico

di Fabio Belli

Argentina – Iran 1-0

Quello che per gli altri è impossibile, per Messi è...
Quello che per gli altri è impossibile, per Messi è…

53. Una montagna va scalata un passo alla volta, e Leo Messi stavolta sembra fare davvero sul serio. Già il gol contro la Bosnia aveva fatto pensare a un approccio diverso della “pulga” all’unica competizione che davvero può dargli l’immortalità calcistica, cioè il Mondiale. Contro l’Iran, la sua magia è stata per giunta risolutrice, in un match che l’albiceleste ha rischiato a più riprese di perdere. Di sicuro, la preoccupazione per quanto espresso dalla squadra c’è, l’Argentina sembra troppo sbilanciata in avanti, tanta qualità in alcuni reparti, ma poca in altri. ci sono però anche tante analogie con Messico ’86 e con Maradona, soprattutto relativamente al fatto che un solo giocatore, quello considerato il più forte al mondo, possa cambiare le sorti di tutta la squadra. E risolvendo facilmente situazioni apparentemente impossibili.

Germania – Ghana 2-2

Klose nella storia dei Mondiali e del calcio
Klose nella storia dei Mondiali e del calcio

 

I quattro Mondiali del Mito
I quattro Mondiali del Mito

54. La storia del giorno, e non può essere altrimenti, è quella relativa a Miroslav Klose, a segno e capace di salvare i tedeschi da una inaspettata sconfitta, contro un Ghana sovrastante atleticamente, ma troppo ingenuo in difesa. 15 gol in quattro diversi Mondiali, che gli valgono per ora la palma, a braccetto con Ronaldo, di miglior marcatore della storia dei Campionati del Mondo. Per il centravanti della Lazio, più che un onore si tratta di un logico epilogo in una carriere in ci il feeling con i Mondiali è sempre stato massimo. A partire da Giappone-Corea 2002, quando si rivelò al mondo a suon di gol, trascinando una Germania rinnovata dopo il fiasco di Euro 2000 alla finalissima. Con un secondo e due terzi posti, ed una carriera da 303 reti tra club e Nazionale, il ragazzino partito da Opole, in Polonia, è diventato una leggenda per la Germania, per la quale resta il miglior marcatore di tutti i tempi, dopo il sorpasso a sua volta storico su Gerd Muller. Tra i miti del Mondiale, ora è nell’Olimpo.

Nigeria – Bosnia 1-0

Nigeria, speranza africana
Nigeria, speranza africana

55. La prima volta può essere indimenticabile, ma in altri casi tradisce. A dispetto di una squadra ricca di talenti ed individualità (Dzeko, Lulic, Pjanic, Ibisevic) ed il grande cammino nelle qualificazioni, la Bosnia saluta anticipatamente la compagnia. Può sperare nella qualificazione, con grandi aspettative a questo punto, una Nigeria che negli ultimi due anni viene sistematicamente snobbata dagli addetti ai lavori, ma che dalla vittoria in Coppa d’Africa, difficilmente ha sbagliato colpi. Concreta, quadrata e soprattutto difensivamente organizzata, la squadra di Keshi ora deve capitalizzare contro l’Argentina quanto seminato nelle prime due partite. Il calcio africano aspetta ancora la squadra capace di piazzare un vero exploit: i quarti di finale raggiunti dal Camerun nel 1990, dal Senegal nel 2002 e dal Ghana nel 2010 non rappresentano più un risultato in linea con l’enorme popolarità del football nel continente nero.

Rimasugli di Svizzera – Francia 2-5

56. Sul gol annullato a fil di sirena di Benzema: una situazione più simile alla pallanuoto e al basket che al calcio, ma che proprio ai Mondiali trova un illustre precedente. Nel 1978, Brasile-Svezia 1-1, Zico segna all’ultimo secondo il gol della vittoria per la Selecao, ma l’arbitro fischia mentre viene battuto il calcio d’angolo.  E senza concedere il recupero: al contrario del gol francese però, quello avrebbe regalato la vittoria ai verdeoro: una beffa mica male…

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#Contromondiali Fabio Belli

#Contromondiale 08: #Italia, #Corea, #Ticos, #Pulizia, #Japan, #Benzema, #CostaRica, #Valencia, #Costly

di Fabio Belli

Giappone – Grecia 0-0

A fine partita, ogni giapponese sa che dovrà ripulire tutto.
A fine partita, ogni giapponese sa che dovrà ripulire tutto.

46. Il sapore è quello di un’occasione perduta per entrambe le formazioni. Non sembrano però squadre in grado di lasciare un segno tangibile in un Mondiale dall’alto coefficiente di difficoltà. Soprattutto la Giappone di Zac ci si poteva attendere di più. Ora la qualificazione è appesa al filo della vittoria greca sulla Costa D’Avorio, e a quella dei “Blue Samurai” sulla forte Colombia. E il rito dei tifosi giapponesi che ripuliscono con zelo gli spalti alla fine di ogni partita, inizia a sembrare il simbolo della resa, oltre che un segno di indubbia civiltà.

Italia – Costa Rica 0-1

Dal gol di Pak Doo Ik, l'Italia ha ingoiato numerosi bocconi amari nei Mondiali contro le cosiddette "piccole"
Dal gol di Pak Doo Ik, l’Italia ha ingoiato numerosi bocconi amari nei Mondiali contro le cosiddette “piccole”

47. E veniamo alle nostre (dolenti) note. La sconfitta azzurra contro la Costa Rica brucia particolarmente considerando la sensazione di Deja Vu indotta dal gol di Bryan Ruiz. La maledizione del ’66, quando dopo aver definito una banda di “Ridolini” i ragazzi della Corea del Nord, l’Italia finì affondata dal gol di Pak Doo Ik (è sempre bene ricordarlo, un militare, non un dentista), si è perpetrata nel tempo, sia nei Mondiali felici che in quelli tristi. Nel ’70, nell’82, nel ’94 e nel 2006, in totale due vittorie e due finali, si scatenarono feroci polemiche dopo i pareggi nel girone eliminatorio contro Israele, Camerun, Stati Uniti, e nel 1994 addirittura perdemmo all’esordio contro l’Irlanda. Peggio è andata nel 2002, eliminati dalla Corea (sempre lei) del Sud, e soprattutto nel 2010, quando il pari contro la Nuova Zelanda ed il ko contro la Slovacchia sembrava aver segnato il punto più basso in assoluto. All’azzurro-tenebra si è aggiunto ora il ko contro un paese da meno di cinque milioni di abitanti. In attesa di Italia-Uruguay…

Entusiasmo popolare in Costa Rica
Entusiasmo popolare in Costa Rica

48. D’altronde i “Ticos” (così sono soprannominati i calciatori della Costa Rica) possono contare su tifosi scatenati, che venerano una Nazionale che solo nell’ultimo quarto di secolo è riuscita a raccogliere risultati significativi. Nel 1990, unica volta in cui raggiunsero gli ottavi di finale ai Mondiali, l’impresa fu talmente celebrata che venne girato un film, intitolato appunto 1990. E nella serata di venerdì a San José l’entusiasmo popolare è stato straripante.

Nel girone degli azzurri, la potenza è nulla senza controllo...
Nel girone degli azzurri, la potenza è nulla senza controllo…

 

49. Comunque, nel girone dell’Italia la situazione si fa intricata. Questa “diapositiva” illustra bene come stanno le cose prima dell’ultima giornata.

Svizzera – Francia 2-5

La nuova filosofia zen di Benzema e di tutta la Francia
La nuova filosofia zen di Benzema e di tutta la Francia

50. Il curioso caso di Karim Benzema: con un pizzico di fortuna in più sarebbe senza dubbio il capocannoniere di Brasile 2014. Dopo la “quasi tripletta” contro l’Honduras, il centravanti del Real Madrid ha segnato il 6-2 nella strabordante vittoria francese contro la Svizzera proprio in concomitanza con il triplice fischio finale dell’arbitro. Gol naturalmente non convalidato: ma la filosofia con cui Benzema sta prendendo queste piccole disavventure è quella di una Francia diversa, meno boriosa e più pratica, che nonostante l’assenza di Ribery e senza i favori del pronostico, ha destato una delle migliori impressioni della parte iniziale di Brasile 2014. E si è messa in tasca la qualificazione agli ottavi.

Honduras – Ecuador 1-2

Enner Valencia, bomber Mondiale
Enner Valencia, bomber Mondiale

51. Ed è proprio parlando di possibili capocannonieri che non ti aspetti, che chiudiamo il resoconto odierno. Enner Valencia entra nella nostra lista della spesa, anzi balza di prepotenza al primo posto, visto che l’età (25 anni) e la militanza con i messicani del Pachuca, suggeriscono un prossimo assalto delle squadre europee. I due gol con cui il brevilineo attaccante, cresciuto in patria nell’Emelec, ha “ribaltato” l’Honduras, si aggiungono a quello segnato contro la Svizzera e ad un repertorio che indica come le squadre a caccia di una punta scaltra e veloce, debbano fare in fretta a telefonare al suo procuratore.

Dopo Spagna '82, l'Honduras si è "sbloccato" in un Mondiale
Dopo Spagna ’82, l’Honduras si è “sbloccato” in un Mondiale

52. Una delle nostre storie riguardanti le partite d’esordio si è rivelata profetica. Nel segno di “di padre in figlio”, Carlo Costly è tornato a fare gol per l’Honduras in un Mondiale dopo 32 anni. L’ultima volta, in Spagna, in squadra c’era il padre di Carlo, Anthony: la vera dinastia del calcio in Honduras.

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Fabio Belli Le Finali Mondiali

1998: Francia-Brasile 3-0. Le “sliding doors” di Ronaldo e Zinedine Zidane

di Fabio Belli

A sedici anni di distanza da quello che è stato l’ultimo Mondiale vinto da chi giocava in casa, si può dire che quello della Francia nel 1998 è stato davvero il delitto perfetto. E’ vero, il Brasile ha ottime chance per riprovarci nell’edizione ormai prossima, e la globalizzazione del calcio negli ultimi 28 anni ha portato il Mondiale in nazioni (Messico, Stati Uniti, Corea del Sud, Giappone, Sudafrica) senza squadre in grado di capitalizzare il fattore campo. Ma restando ai tempi moderni, tedeschi e italiani possono guardare con invidia a quanto costruito attorno ai “bleus” dai francesi in quell’estate di fine anni novanta.

L'Equipe de France per la prima volta Campione del Mondo
L’Equipe de France per la prima volta Campione del Mondo

E’ stato il delitto perfetto perché prima di loro c’erano riusciti anche inglesi ed argentini, ma facendo leva molto di più sul fattore ambientale. L’albiceleste del ’78 andò ai limiti del regolamento ed oltre, se ricordiamo la “marmelada peruana“, senza scomodare le pressioni del regime di Videla. L’Equipe de France ’98 si avvalse di una macchina organizzativa d’efficienza al pari solo di quella teutonica di Monaco ’74, quando tutto andò come doveva andare senza scomodare arbitri o strane manovre, fatta eccezione per una robusta inzuppata nel campo nella partita che di fatto valeva come una semifinale, contro la Polonia. La Francia fu impeccabile: squadra sempre protetta dal tifo incessante dello stadio nuovo di zecca, lo “Stade de France” di Saint Denis, buon sorteggio sfruttato al meglio col primo posto nel girone, nessuna nevrotica deviazione da Parigi, alla stregua dell’Italia nel ’90.

Certo, sportivamente parlando, un paio di sbandate ci furono. Innanzitutto Zinedine Zidane, chiamato ad arrivare dove neppure Le Roi Michel Platini era riuscito ad arrampicarsi, che si fa cacciare per un fallo di reazione contro l’Arabia Saudita, non esattamente una partita in grado di produrre chissà quali pressioni. Quindi, le sofferenze negli ottavi contro il Paraguay del monumento Chilavert, vittoria al golden goal, e contro l’Italia nei quarti, quando gli azzurri giocarono troppo tardi la carta Roberto Baggio, e dopo un assedio lungo un’ora e mezza e dei supplementari coraggiosi, videro infrangersi i loro sogni sulla traversa di Gigi Di Biagio. Ancora i rigori condannarono gli azzurri, per la terza volta consecutiva: passato lo “spaghetto”, i francesi ribaltarono una semifinale pazza contro la Croazia. Pazza perché Suker e compagni si fecero beffe della pressione di Saint Denis passando in vantaggio, ma si ritrovarono battuti da una doppietta di Lilian Thuram, uno che col gol, di mestiere, confidenza non doveva proprio averne.

Così, quando a Saint Denis si deve giocare la finalissima, qualcuno nell’Equipe de France comincia ad avere un po’ paura. Il super-Brasile di Ronaldo, Denilson, Cafu, Edmundo, Bebeto (ma non Romario), ha giocato solo un ottavo di finale degno della sua fama. Il Fenomeno viene da una stagione in cui l’Inter ne ha potuto toccare con mano la forza d’urto, accontentandosi però solo di una Coppa UEFA. Stellare la prova di Ronaldo contro la Lazio, ma i rimpianti per la sfida con la Juventus per lo scudetto restano, e riguardano soprattutto gli arbitri. Alla vigilia della finale però, una certezza sembra farsi strada: Ronaldo e Zidane devono riscattare in finale un Mondiale fino a quel momento non all’altezza.

Zidane in cima al mondo il 12 luglio del 1998
Zidane in cima al mondo il 12 luglio del 1998

Un film molto in voga di quegli anni era “Sliding Doors“: Gwyneth Paltrow si ritrova in una storia improntata sui bivi infiniti del destino. E come quella sera le vite di quei due straordinari campioni divergano nettamente, è sbalorditivo. Tanto si apre una stagione di successi, vittorie e prodezze per Zidane, tanto una di amarezze, dolore, infortuni e obiettivi mancati per Ronaldo. In quella che è la stranissima, ancestrale simbologia dei Mondiali, la storia cambierà quattro anni dopo, quando dopo la Champions League vinta con lo storico gol al Leverkusen da Zidane con la maglia del Real Madrid, il francese sarà costretto a una mesta passerella da infortunato in Asia, mentre Ronaldo, dopo quattro stagioni amarissime, passate quasi tutte in infermeria, tornerà il Fenomeno.

Ma a Saint Denis il 12 luglio del 1998 le “sliding doors” del destino sono tutte per Zizou. Ronaldo, lo si saprà poi in uno scandalo di proporzioni planetarie, sta in piedi per miracolo. Vuoi lo stress, vuoi le infiltrazioni per le fragilissime ginocchia, prima della partita è stato colto da convulsioni violentissime in albergo: qualche compagno di squadra pensava fosse morto. Schierarlo in campo in quelle condizioni, di fronte agli occhi del mondo intero, resta un’offesa eterna a quello che è stato il suo straordinario talento. Zidane invece arriva nelle migliori condizioni psicofisiche possibili: la squalifica paradossalmente lo ha fatto arrivare fresco e riposato alle partite chiave, e arrivati all’intervallo ha già bucato due volte di testa un incredulo Taffarel. E’ il delitto perfetto, nemmeno l’assenza in difesa di Blanc, che ha baciato nel suo rituale immancabile la “pelata” del portiere Barthez in borghese perché squalificato, intacca le sicurezze transalpine. La cavalcata finale di Emmanuel Petit per il gol del 3-0 è quella di una Nazione intera verso una gloria rincorsa vanamente per 68 anni. Zidane finisce in cima al mondo, Ronaldo in fondo alla scaletta di un aereo: per rialzarsi, al Fenomeno serviranno i quattro anni più lunghi della sua vita.