1958: Brasile-Svezia 5-2. E tutto il mondo cantò “Didì, Vavà, Pelé, Garrincha”

di Fabio Belli

La nascita di un mito spesso avviene in circostanze irriconoscibili sul momento. Il “Rasundastadion” di Stoccolma (anzi Solna, nella municipalità della capitale, ma un po’ fuori città) il 29 giugno del 1958 era gremito all’inverosimile, ma gli spettatori ebbero la sensazione di trovarsi di fronte ad un copione già scritto. Troppo forte il Brasile per la Svezia padrona di casa, già soddisfatta di essere arrivata a giocarsi il titolo di fronte al proprio pubblico. Eppure mai più gli svedesi arriveranno così in alto; mai più una squadra sudamericana vincerà il Mondiale in Europa, né una europea vincerà in Sudamerica (bisognerà aspettare i Mondiali in Asia e in Africa per altre affermazioni intercontinentali). Soprattutto, quella fu la vittoria per eccellenza di una squadra che si esauriva in una filastrocca che anche un bambino poteva declamare: Didì, Vavà, Pelé, Garrincha.

Dopo un'attesa iniziata nel 1930, il Brasile mette finalmente le mani nel 1958 sulla Coppa Rimet
Dopo un’attesa iniziata nel 1930, il Brasile mette finalmente le mani nel 1958 sulla Coppa Rimet

Il 1958 per il Brasile doveva essere l’anno della rivincita. La squadra del 1954 non era all’altezza di quella che nel 1950 diede vita al sanguinoso “Maracanazo”, la finale persa in casa, la più grande delusione calcistica di tutti i tempi. Stavolta i verdeoro sono forse ancora più forti, ma il più grande nemico dei brasiliani resta sempre… il Brasile. La Selecao in Svezia sente il peso dei favori del pronostico, e contro l’Inghilterra al primo turno, un pari 0-0 dice quello che il tecnico Vicente Feola in fondo sa già: i brasiliani non sono imbattibili neanche questa volta.

Pelé durante i mondiali in Svezia
Pelé durante i mondiali in Svezia

Serve un elemento di rottura, che nei quarti di finale si palesa in uno splendore fino ad allora sconosciuto. Un ragazzino di diciassette anni e otto mesi di nome Edson Arantes do Nascimiento, ma già chiamato da tutti Pelè. Che contro il Galles, quando l’atroce delusione era già in cottura, toglie le castagne dal fuoco a Feola e a tutta una Nazione. E’ nato il mito, Dìdì-Vavà-Pelé-Garrincha, un suono musicale che il popolo brasiliano ritma con gioia già dalla semifinale spumeggiante, vinta 5-2 contro la Francia del capocannoniere del Mondiale, Just Fontaine.

Ma a tutto questo, gli spettatori del Rasundastadion non pensano. Quante grandi squadre poi hanno mancato la trasformazione in mito. Oltre al “Maracanazo”, il naufragio dell’”Arancycsapat” di quattro anni prima è ancora freschissimo, e così quando Nils Liedholm dopo neanche 3’ buca i guanti di Gilmar, più di qualcuno inizia a pensare all’ennesimo scherzo del destino. Ma come detto, al Rasundastadion ancora non sanno chi sono Didì-Vavà-Pelé-Garrincha. Il primo è la mente della squadra, nel calcio di oggi sarebbe improponibile per lentezza, ma la sua lucidità nel guidare il gioco è forse tutt’ora ineguagliata. Il secondo non aveva qualcosa posseduta dagli altri tre, ovvero la tecnica sopraffina, ma possedeva qualcosa che gli altri non avevano, l’opportunismo fulmineo in area di rigore. Il terzo diventerà il più importante calciatore del mondo proprio quel giorno, ed il quarto era e resterà il più grande dribblatore della storia, che in Vavà aveva già il terminale perfetto per i suoi assist.

Ma tutto questo, gli spettatori del Rasundastadion ancora non lo sanno: e non lo sanno neppure quando al 9’ Vavà ha già pareggiato i conti. Cominciano ad intuirlo quando la solita asse Garrincha-Vavà poco dopo la mezz’ora firma il sorpasso. La certezza arriva quando in apertura di ripresa Pelé realizza uno dei più strabilianti gol della storia dei Mondiali. Stop di petto in anticipo su Gustavsson, rimbalzo e pallonetto a scavalcare Axbom e poi sfera scagliata in rete. La prima perla di assoluta purezza della “perla nera”. La partita finisce 5-2 con gol finale proprio di Pelè, e Didì-Vavà-Pelé-Garrincha passa da hit brasiliana a mondale nel giro dei cinque giorni trascorsi tra la semifinale e la finale. Oggi il Rasundastadion neanche esiste più: il mito invece, una volta nato, è destinato a durare per sempre.