Il Mondiale del 1990 è stato un evento indimenticabile per gli appassionati di calcio. Un football all’epoca pieno zeppo di campioni, Maradona nell’Argentina, Roberto Baggio nell’Italia, l’Olanda di Van Basten e Gullit, i tedeschi, il Brasile dell’astro nascente Romario… insomma, un’epoca d’oro che andava a chiudere un decennio pieno di fantasia e di colori come gli anni ’80. E proprio al Pibe de Oro, in qualità di calciatore più forte del mondo e di campione iridato in carica, toccò aprire le danze del mondiale italiano nella partita inaugurale disputata al Meazza di Milano contro il Camerun.
Il calcio africano iniziava appena ad uscire dall’aspetto “pittoresco” che ne aveva contraddistinto la sua permanenza nelle competizioni internazionali dei precedenti vent’anni. Il Camerun era alla seconda partecipazione ai Mondiali e nel 1982 fece tremare gli azzurri poi Campioni del Mondo, uscendo imbattuto dal girone eliminatorio di Vigo dopo un 1-1 da batticuore contro l’Italia. Ma le prime vere squadre-sensazione del continente africano ai Mondiali furono l’Algeria nel 1982, trascinata dal “tacco di Allah” Madjer ed estromessa da un vero “biscotto” tra Austria e Germania ed il Marocco nel 1986, esaltato dai numeri degli estrosi Timoumi e Bouderbala nonché prima squadra del Continente Nero capace di superare il primo turno in un Campionato del Mondo. Il Camerun, sempre guidato in campo dall’ormai trentottenne Roger Milla, sembrava dunque la vittima sacrificale contro l’Argentina di Dieguito e Caniggia poi destinata ad arrivare di nuovo all‘atto finale della competizione.
Eppure proprio da quella partita gli sportivi di tutto il mondo inizieranno ad amare e sostenere i “Leoni Indomabili“, una generazione di calciatori che trovò le sue espressioni più talentuose nel portiere Tomas N’Kono, forgiato da anni passati nella Liga spagnola, e dallo stesso Milla, uno dei più forti attaccanti africani di tutti i tempi. Ma saranno anche tutti gli altri elementi in rosa a farsi conoscere e a conquistare le folle. A partire da quella di San Siro assolutamente incredula, dopo il fischio d’inizio, nel vedere Maradona e compagni stentare di fronte alla straripante forza atletica e alle accelerazioni devastanti del Camerun. Il tifo si schiera ben presto a favore dei “leoni indomabili”, ma la legge del più forte e del pronostico sembra compiersi inesorabilmente quando André Kana-Biyik si fa espellere lasciando il Camerun in inferiorità numerica.
Ma è a questo punto che si compie uno di quei miracoli che rendono unico il calcio: Makanaky scodella un pallone in area sul quale Francois Omam-Biyik si avventa saltando oltre le umane possibilità, come sembra evidente agli spettatori che in tutto il mondo seguono l’evento. Il portiere Pumpido, sorpreso quando ormai pensava che l’avversario non sarebbe mai arrivato all’impatto sul pallone, si lascia beffare ed il pallone si insacca in rete. E’ il gol che cambia il calcio internazionale e che apre una nuova frontiera nella quale il Camerun diverrà la prima squadra africana a piazzarsi tra le prime otto del mondo e che, soprattutto, rende la Coppa del Mondo un evento di massa anche in Africa. Nella capitale del Camerun, Yaoundè, il delirio provocato dal gol di Omam-Biyik proseguirà tutta la notte visto che i Leoni Indomabili, nonostante la chiusura del match in nove contro undici, portano a casa la vittoria contro i campioni del mondo in carica.
I soprannomi: a volte ti si appiccicano addosso, altre sei tu che fai di tutto per farti etichettare in un certo modo. Paul Breitner ha mosso i primi passi nel calcio internazionale con l’etichetta di “Der Afro” per i suoi capelli che, a prima vista, avrebbero indicato più un’appartenenza alla band Kool and the Gang piuttosto che alla nazionale teutonica. In men che non si dica però il terzino sinistro, capace di collezionare 48 “caps” nella nazionale della Germania Ovest tra il 1971 ed il 1982, è diventato “Il Maoista“. Questo per il suo feroce impegno politico che lo portò anche a farsi ritrarre in occasione di alcune interviste con il Libretto Rosso di Mao Tse Tung in bella vista e a offrire lo stesso in regalo ad alcuni avversari prima dell’inizio delle partite.
Nato nel cuore della Bavaria, Breitner è stato uno dei calciatori più vincenti della sua generazione. Ha fatto parte del Bayern Monaco Campione d’Europa nel 1974 prima di passare per tre anni tra le fila del Real Madrid. Un trasferimento aspramente criticato dall’opinione pubblica tedesca che contestava l’incoerenza nell’impegno politico a sinistra contrapposto alla militanza nella squadra del generalissimo Franco. Nel 1977 il ritorno in Germania dove l’unico club disposto ad ingaggiarlo è l’Eintracht Braunschweig, piccola società dalle grandi risorse finanziarie poichè sostenuta dall’allora patron della Jagermeister. Il ritorno in patria del Maoista è però… amaro di nome e di fatto, visto che Breitner predica equità sociale, ma sarà uno dei primi calciatori a strizzare l’occhio allo show business: produce film, fa l’attore, si concede alla pubblicità rinunciando per un aftershave alla barba da intellettuale rivoluzionario.
Gli atteggiamenti da primadonna mal sono digeriti nell’ambiente provinciale del piccolo Eintracht. A cavar d’impaccio Breitner arriva il suo club natale, il Bayern, che se la passa abbastanza male. L’alchimia si ripropone subito: “Der Afro” torna nel 1978 e nel 1981, dopo sei anni di digiuno. il Bayern riconquista il Meisterschale con Breitner votato calciatore tedesco dell’anno. Una seconda giovinezza che lo porterà a disputare con la maglia della nazionale la seconda finale mondiale della sua carriera: Breitner infatti è stato Campione del Mondo nel 1974 trasformando il rigore dell’1-1 contro l’Olanda di Crujyff, prima della zampata vincente di Gerd Muller. Due anni prima, a soli 21 anni, aveva conquistato il titolo Europeo. Il bis nel 1980, a Roma, non ci fu perchè Breitner, per gli atteggiamenti sopra descritti, era divenuto nemico giurato del CT Schoen. La frattura totale ci fu nel 1978, quando Breitner espresse il suo rifiuto all’idea di giocare i Mondiali del 1978 in Argentina, nazione all’epoca stritolata dalla dittatura del generale Videla. Scelta che, oltre ad attirare l’ostracismo di Schoen, gli costò forti critiche da parte dei tifosi tedeschi che rilevarono come le motivazioni politiche non gli impedirono di intascare il ricco ingaggio del Real Madrid. Il ritorno ci sarà solo nel 1981 con l’arrivo di Jupp Derwall in panchina, giusto in tempo per partecipare a Spagna’82 ed aggiungere un argento alla collezione delle medaglie.
Contro l’Italia infatti la Germania Ovest vivrà un destino opposto a quello del 1974 ma Breitner andrà a segno nella finale del Bernabeu proprio come aveva fatto otto anni prima all’Olympiastadion di Monaco contro l’Olanda. Diventa così uno dei quattro giocatori nella storia del calcio ad aver segnato in due differenti finalissime dei Mondiali di Calcio: gli altri sono i brasiliani Pelè e Vavà ed il francese Zidane. Sarà il canto del cigno per il maoista che si ritirerà l’anno successivo e resterà nel suo habitat naturale, la Baviera, dove attualmente lavora come osservatore per il Bayern.
Pierre il bello, il biondo, il rapido. Il 16 aprile 1960 l’edificazione del muro di Berlino era ancora un progetto in attesa di realizzazione, ma la divisione in blocchi contrapposti era già una realtà consolidata. Il ragazzino Littbarski assaggia l’ebbrezza del manto verde alle dipendenze del vivaio del Vfl Schöneberg. Il praticantato prosegue nell’Herta Zehlendorf.
Nel 1978 la freccia teutonica instaura un legame che segnerà per sempre la carriera da calciatore. Pierre è del Colonia. In Bundesliga passano in rassegna sette intense stagioni. 243 caps pedalando spedito sulla fascia destra con 89 reti ad impreziosire lo sfondo. Il palmares forse non rende merito al suo talento cristallino. La bacheca è occupata, nel complesso, da tre titoli. In biancorosso alza al cielo due Coppe di Germania, nelle finali contro Fortuna Düsseldorf (1977-1978) e nel derby contro il Fortuna Colonia (1982-1983). Il calcio totale di mister Rinus Michels esalta le sguscianti qualità di Pierre. Gli avversari, per lui, si trasformano in birilli. Sua la firma decisiva al minuto 68 ai danni del portiere Bernd Helmschrot.
La chance da mille e una notte arriva nel 1986. Il Colonia sbaraglia la concorrenza e punta dritto verso la finalissima di Coppa Uefa. C’è solo un problema: il Real Madrid. Al Bernabeu non c’è partita. Allofs illude. Sanchez, Gordillo, la doppietta di Valdano e Santillana ribaltano tutto. Il successo biancorosso nel ritorno (2-0) è una effimera consolazione.
L’annata trascorsa in Francia, con la maglia dell’RC Parigi, è una fermata quasi istantanea. La nostalgia per le origini è forte, anzi fortissima. Pierre allora ripercorre la strada di casa. Colonia punto e basta. Così sarà fino al 1993. Oltre 120 gettoni conditi da 27 marcature.
La vita, in fondo, è una continua sperimentazione. LIttbarski, per chiudere in bellezza una brillante carriera, opta per un lungo viaggio orientale. Vola in Giappone dove indosserà le casacche di JEF United e Vegalta Sendai. Si diverte e sforna giocate d’altissima scuola. Appende gli scarpini al chiodo nel ’97.
Manca il fulcro della storia: la Nazionale. Un decennio sulla cresta dell’onda con la Germania dell’Ovest. Soccombe nelle finali del 1982 (contro l’Italia) e del 1986 (con l’Argentina), ma gioisce nelle notti magiche del 1990 di nuovo al cospetto di Maradona. Prende parte inoltre ad un paio di Europei, nel 1984 e nel 1988. Derwall e Beckenbauer ringraziano.
Decisamente più movimentata la carriera da allenatore. Yokohama FC e Avispa Fukuoka le avventure giapponesi. Torna in Germania per il ruolo di assistente nel Bayer Leverkusen e nel Wolfsburg (tecnici Berti Vogts, Steve McClaren e Felix Magath), con un’esperienza come primo allenatore del Duisburg. Nel 2012 accetta la proposta di assumere le vesti di capo osservatore proprio del Wolfsburg. Nel mezzo tre incarichi certamente inusuali tra Australia, Iran e Liechtenstein. Guida appunto Sydney FC, Saipa e Vaduz.
Il biondo di Colonia non si è fermato mai, regalando tante emozioni con le sue ubriacanti incursioni. L’incubo delle difese: Pierre Littbarski.
E se la tragedia del Sarrià fosse frutto della nostra immaginazione? L’uomo è stato davvero sulla luna? Siamo proprio sicuri della morte di Elvis Presley e Michael Jackson? Paradossi che tolgono il sonno. Sì perché il Brasile del 1982 era il paradiso calcistico. Perfezione tecnica distillata da una solida guida: Telê Santana. Attaccare sempre, ovunque e senza limiti. La difesa? Ora chiediamo troppo.
Nato nel 1931 a Itabirito, Santana sposa il calcio da giovanissimo. Baricentro basso, dinamismo e piedi educati. Sbarca il lunario con la maglia della Fluminense. Nella veste di ala segna a valanga strabiliando la tifoseria. Il Brasile tra gli anni ’50 e ‘60’ è una facoltà a numero chiuso. Garrincha, Amarildo, Zagallo, Vavà e Pelè alzano un muro invalicabile. Dopo oltre 500 gettoni nel Tricolor Telê completa altre tre dignitose annate con Guarani e Vasco de Gama. Il fiato diventa corto e la carriera da trainer solletica la mente. La riflessione è prolungata e sofferta ma, alla fine, Santana sceglie la panchina.
In patria vince e costruisce il mito. Fluminense, Atletico Mineiro, San Paolo, nuovamente Atletico Mineiro e Gremio. La lista di titoli è ricca: due campionati brasiliani, un campionato Carioca, un campionato Gaucho. Il gioco spumeggiante, arioso e privo di eccessivi compiti tattici diverte e aguzza l’ingegno della federazione brasiliana. La gestione targata Coutinho aveva iniettato il virus dei dettami europei. Artifici scientificamente congeniati che, però, ingabbiavano la libertà della fantasia. Con Santana al timone la samba torna alla ribalta. Socrates, Cerezo, Junior, Falcao, Zico, Eder e Dirceu. Ai Mondiali spagnoli del 1982 la corazzata verdeoro ci arriva da unica favorita. Il primo girone è una passerella di velluto contro URSS, Scozia e Nuova Zelanda. La seconda fase parte con i migliori auspici, grazie al tris rifilato ai rivali dell’Argentina.
Il 5 luglio 1982 il Brasile, apparentemente proiettato verso la semifinale con la Polonia, sfida l’Italia di Bearzot. Gli azzurri vengono dal successo su Maradona e soci. Gentile prende in consegna Zico e non lo lascerà più. Bruno Conti e Cabrini sono sguscianti spine nel fianco. Tardelli è un motorino instancabile a centrocampo e poi c’è lui: Paolo Rossi. L’attaccante juventino, criticato al veleno dalla stampa fino a quel momento, prende per mano le sorti sportive della penisola. I Telê boys insaccano due gol (e che gol!) con Socrates e Falcao, ma con questa Italia non c’è nulla da fare. Il giocattolo si rompe.
Santana cerca allora di dimenticare la cocente delusione trasferendosi addirittura in Arabia Saudita. I soldi non fanno la felicità? Dipende dai puti di vista. Il mister si toglie comunque la soddisfazione di alzare la coppa del Re saudita e di trionfare nel locale campionato.
Nel 1985 la Nazionale brasiliana naviga in sabbie mobilissime, rischiando di non prender parte alla rassegna irridata dell’anno successivo in Messico. Il ct risponde presente e salva il salvabile. Il 21 giugno, a Guadalajara, i nodi vengono al pettine. Il Brasile di Careca, Branco e Almeao viene eliminato ai rigori nei quarti di finale dalla Francia. L’ennesimo sogno svanito convince Telê a dire addio alla panchina verdeoro.
Il calcio in patria, però, ha ancora bisogno di lui. Atletico Mineiro, Flamengo e San Paolo sono le sue ultime avventure. Il tempo di vincere ancora: due Coppe Libertadores, due Coppe Intercontinentali, due Recope Sudamericane, una Supercoppa Sudamericana, due campionati Paulisti, un campionato brasiliano e un campionato Mineiro. Una bacheca da mille e una notte che spedisce Telê Santana nel gotha del calcio universale.
102. Germania, parliamone: per la quarta volta consecutiva tra le prime quattro dei Mondiali, è dal 1954 che i tedeschi figurano ininterrottamente tra le prime otto del mondo. Esatto, da sessanta anni la Germania arriva immancabilmente ai quarti di finale (1962, 1978, 1994, 1998), in semifinale (1958, 1970, 2006, 2010), in finale (1966, 1982, 1986, 2002), oppure si laurea campione (1954, 1974, 1990). Restando alla striscia attuale, è anche vero che dopo un secondo e due terzi posti, a Berlino sognano di tornare ad alzare un trofeo, eventualità che manca paradossalmente da diciotto anni (Euro 1996) e da ventiquattro in Coppa del Mondo. Ma la scuola tedesca, anche più di quella brasiliana, è quella che ha mostrato maggiore continuità in assoluto all’appuntamento Mondiale. E’ affascinante che le porte del Maracanà si spalancheranno dopo un epico scontro diretto.
103. Brasile e Germania nella storia dei Mondiali si sono affrontate solo una volta, incredibile se si pensa che si tratta assieme all’Italia delle nazionali più presenti in assoluto nella competizione. Era la finale del 2002 a Yokohama, e di fronte c’erano Ronaldo e Miro Klose: un incrocio mitico, se si pensa che si sono scontrati i due migliori marcatori della storia dei Mondiali. Per Klose l’occasione del sorpasso, dopo l’aggancio avvenuto nel match contro il Ghana, si presenta proprio contro la Selecao. Ma allora i brasiliani vinsero imponendo un tasso tecnico superiore: di sicuro si scontreranno il meglio della scuola europea, tattica ed organizzata fino all’estremo, e quella sudamericana, avvolgente e un po’ incosciente nella ricerca del risultato. Lo si è visto in questi due quarti di finale: una partita a scacchi l’europea Francia-Germania, una carnevale di ripartenze, errori e giocate esotiche Brasile-Colombia.
104. Un pensiero in realtà se lo meriterebbero anche i francesi, che in questo Mondiale alla fine hanno fatto niente di più e niente di meno di ciò che ci si attendeva. Le figuracce del passato sono un ricordo, e la freschezza di Valbuena, Griezmann e la potenza di Benzema restano tra le note positive di questo Mondiale. Ma l’esame di maturità è stato fallito, visto che la squadra di Deschamps è uscita di scena, dopo aver sfruttato un calendario favorevole, al primo avversario di vero, grande spessore. L’eroe dei quarti è stato Mats Hummels: difensore del Borussia Dortmund, può entrare nella lista della spesa solo ed esclusivamente dei top club. Il suo stacco di testa è stato un pezzo di alta scuola, ma meglio ancora è stata la sua prestazione da manuale in difesa. E’ grazie a giocatori così, che spesso lavorano nell’ombra, che si vincono i Mondiali.
Brasile – Colombia 2-1
105. La squadra più bella di questo Mondiale, con la rivelazione più gustosa, esce di scena di fronte a un Brasile che ha dimostrato di meritare un posto tra le prime quattro come mai aveva fatto nelle partite precedenti. Chi ama il calcio avrebbe voluto che Brasile-Colombia non finisse mai, tanta è stata l’intensità del match, soprattutto nel primo tempo. E quando la cannonata di David Luiz sembrava aver chiuso i conti, il rigore di “Ames” ha tenuto tutti col fiato sospeso fino alla fine. Tanto che in molti hanno avuto una strana sensazione: cos’era quella roba sulla spalla del fenomeno colombiano, dopo il penalty trasformato. I fermo immagine, passata la trance agonistica, ha risolto un mistero: una locusta grande più o meno come un barboncino, il primo insetto ad andare in gol in un Mondiale. Da mettere agli atti.
106. Tornando all’aspetto tecnico, l’eredità lasciata dalla Colombia alla competizione è molto interessante. Pekerman ha messo in campo una squadra rapida, travolgente nei cambi di fronte, tradita solo da una difesa non all’altezza e, probabilmente, dall’assenza di Falcao, con Teofilo Gutierrez volenteroso, ma non all’altezza dell’asso del Monaco. Non è servito neppure avere quello che, Messi permettendo, è stato finora il miglior giocatore del Mondiale. “Ames” Rodriguez a fine partita si è sciolto in lacrime, abbracciato e consolato dal killer della Colombia, David Luiz, che lo ha indicato a tutto lo stadio di Fortaleza, traboccante d’entusiasmo, ricordando a tutti: “Ok, abbiamo vinto, ma questo qui… è un fenomeno.”
107. Solo nel 1994 si era visto un Brasile simile, più forte dalla cintola in giù, che in attacco. Allora le star si chiamavano Aldair, Cafu, Dunga, Branco. Stavolta, la “zaga” composta da Marcelo, David Luiz, Thiago Silva si è completata alla perfezione con l’esperto Maicon, più concreto rispetto alla svagato Dani Alves degli ultimi tempi. Le vere stelle in questo caso sono comunque i due centrali, ed è simbolico che i gol siano arrivati da loro. Su Thiago Silva si è detto tutto, e da tempo. La sua assenza per squalifica peserà come un macigno in semifinale. David Luiz ha forse meno classe nelle chiusure, ma si propone in maniera micidiale palla al piede, e la sua grinta l’ha reso un idolo assoluto della Torcida. La sua punizione del 2-1 è una gemma, ed i cinquanta milioni di euro pagati dal Paris Saint Germain al Chelsea per averlo, sembrano sempre più giustificati. Nel 1994, tanta solidità veniva bilanciata da Romario in attacco. Stavolta, c’era Neymar. C’era, perché…
108. … perché i corsi e ricorsi della storia spesso sono crudeli. Alla vigilia di Francia-Germania è tornato d’attualità il fallo-killer di Schumacher su Battiston nel 1982, neanche sanzionato dall’arbitro nella semifinale di quell’edizione. Rischia di costare altrettanto caro alla Selecao, e sempre in favore dei tedeschi, la ginocchiata che ha rotto una vertebra (!) a Neymar da parte del colombiano Zuniga. Il Mondiale perde un protagonista, con Neymar che a dispetto della giovane età era riuscito a prendere per mano una squadra come detto sopra equilibrata come non mai, ma senza quel pizzico di “magia” in avanti tipico della Selecao. E l’incubo che il Brasile si porta dietro dall’inizio della competizione, si trasferisce ora al Minerao di Belo Horizonte, martedì prossimo.
109. Eh sì, perché dal 2002 il Brasile non si piazzava tra le prime quattro del mondo, e come detto contro la Colombia la squadra di Scolari ha meritato solo applausi, giocando con classe e personalità, e non con la paura vista in precedenza di chi si sente “condannato” a vincere perché gioca in casa. Ma per il Brasile, la delusione del 1950 è un fantasma che si può quasi sentire e toccare per le strade. E non per niente, l’enorme passione popolare con cui la gente sta seguendo la squadra in questa avventura, trasuda sofferenza di stampo del tutto europeo. Della folle ed entusiastica, spesso un po’ troppo spaccona, atmosfera con cui di solito vengono vissuti i Mondiali in Brasile, è rimasta giusto qualche traccia. La gente “vuole” vincere non tanto per centrare l’Hexha, che prima o poi arriverà: ma l’occasione di vincere in casa e cancellare “quella” partita, il Maracanazo che nessuno neanche più neanche nomina mentre l’obiettivo si avvicina, è irripetibile. La folla radunatasi di fronte all’ospedale che ha sancito il ko definitivo di Neymar, è in questo senso emblematica. Un’ansia che i tifosi della Selecao sperano si trasformi in energia pura, come è già avvenuto negli stadi di tutto il paese nelle precedenti partite, anche nella semifinale contro la Germania da affrontare senza l’asso dell’attacco e Thiago Silva.
93. Chi era il più duro a morire? Tra Costa Rica e Grecia bisognava capire solo quello: per il resto tanti punti in comune, dall’incredibile entusiasmo popolare di due Nazioni relativamente piccole, alla storica prima volta ai quarti di finale, per qualunque squadra avesse superato l’ostacolo. Ce l’hanno fatta i Ticos, che in dieci e dopo aver incassato il gol di Papastathopoulos (diventato il giocatore col cognome più lungo ad aver segnato in un Mondiale) ed essere rimasti in dieci, hanno resistito fino ai calci di rigore, proprio quando la Grecia sembrava pronta a confezionare l’ennesimo miracolo. Ed è andata bene.
94. Il calcio riesce a regalare comunque impennate d’orgoglio incredibili: dopo anni di incubi legati alla crisi economica e all’instabilità politica, la Grecia ha accarezzato il sogno del 2004. La notte della vittoria contro la Costa D’Avorio resterà comunque negli annali, così come il tifo dello stadio Panathinaikon, punto di ritrovo per i tifosi ellenici, fermati nel loro sogno da altri piccoli giganti.
Francia – Nigeria 2-0
95. I francesi sono così: la “grandeur” appartiene loro per diritto divino, ma solo quando partono a fari spenti, fatta eccezione il Mondiale giocato in casa nel 1998 in cui c’era tutto un intero apparato a sostenerli, riescono a far bene. Contro la Nigeria però la partita è cambiata radicalmente al momento dell’ingresso di un giocatore che entra di diritto nella nostra ormai lunga lista della spesa dei sogni impossibili. Stiamo parlando di Antoine Griezmann, ala guizzante classe ’91 che alla Real Sociedad in Spagna va già per le duecento presenze. In una squadra orfana a sorpresa di Ribery proprio alla vigilia della partenza per il Brasile, la sua presenza ha acceso i tifosi, letteralmente innamorati delle sue invenzioni e accelerazioni. Un giocatore così o si ama o si ama (e già in moltissimi lo conoscevano e lo ammiravano prima del Mondiale), a parte struggersi in quegli inevitabili black out che fanno parte integrante del Talento. Se riuscirà ad irretire anche i tedeschi, sarà davvero nata una (altra) stella.
Germania – Algeria 2-1 dts
96. “E alla fine vincono i tedeschi” è una delle citazioni più utilizzate nel calcio. La paternità è di Gary Lineker, che l’ha rilanciata su Twitter anche dopo Germania-Algeria. Da tipico umorista inglese, oltre che da grande attaccante, nella frase di Lineker c’è tutta la verità su una squadra che alle fasi decisive dei Mondiali arriva immancabilmente, ma anche il veleno verso chi, a dispetto delle tante semifinali e finali giocate, ha alzato la Coppa meno volte di quanto sarebbe lecito aspettarsi. L’Algeria non si è vendicata del 1982, ma i tedeschi così in crisi non si vedevano da Euro 2004. Manca brillantezza e l’impressione è che diversi uomini chiave siano arrivati in Brasile con la lingua di fuori. Occhio però, perché i tedeschi si presentano tra le prime otto senza aver speso chissà quali energie: se si tratti di una squadra senza brio, o pronta ad esplodere la sua potenza, ce lo dirà la Francia.
97. Lineker in rete ha anche ironizzato sulla punizione alla fine dei tempi regolamentari che ha visto uno degli assi di questo Mondiale, Thomas Muller, ruzzolare a terra cercando di mettere in pratica un improbabile schema. L’ex attaccante della Nazionale inglese ha ironizzato parlando di “inefficienza tedesca”: di certo un momento divertente ma inusuale per la Germania: chi l’ha interpretato come un cattivo presagio, si è però immediatamente ricreduto dopo i gol nei supplementari di Schurrle e Ozil che hanno messo in cassaforte la qualificazione ai quarti di finale
Argentina – Svizzera 1-0 dts
98.“Hey brasilenos… Tenemos el cul del campeon!”: Alejandro Fantino di Radio La Red è una delle voci più amate in Argentina per ascoltare le imprese della Nazionale. Il suo delirio alla fine della partita contro la Svizzera è stato doppio. Al gol di Di Maria ovviamente, innescato dal solito incredibile Messi, che in silenzio sta scrivendo una leggenda in questo Mondiale, che come abbiamo detto potrà essere tramandata solo se verrà scritta fino all’ultima parola. Ma Fantino al palo da pochi centimetri colpito da Dzemaili, che avrebbe regalato agli elvetici i rigori, è andato in delirio: il pensiero è andato al palo di Pinilla in Brasile-Cile, e alla dea bendata che sembra voler pilotare quella che in Sudamerica sarebbe la finale delle finali, così come in Europa lo è Italia-Germania (d’altronde, sul piatto ci sono sette titoli mondiali da una parte e sette dall’altra). Per essere campioni, ci vuole testa, ci vuole cuore, ma Fantino docet, il culo non deve mancare mai.
99. Ovviamente una partita nella partita si è giocata in Vaticano, conoscendo la passione di Papa Francesco per il calcio, e considerando la presenza delle Guardie Svizzere. Le vignette hanno provato ad ironizzare sul clima nelle stanze papali, di certo si sa che Bergoglio è stato il primo a “stuzzicare” simpaticamente le Guardie sul grande match. Potere dei Mondiali, e sul già citato palo di Dzemaili, forse a proteggere l’argentina è calata per l’ennesima volta la “Mano de Dios”.
Belgio – Stati Uniti 2-1 dts
100. Gli Americani ormai hanno tutto per primeggiare nel calcio. Tranne una cosa: la squadra. Paradossale, ironica, amara verità per Jurgen Klinsmann, che contro il Belgio ha visto i suoi dare tutto, ma soccombere inevitabilmente quando Wilmots si è deciso ad inserire Lukaku, col CT belga che per l’ennesima volta si vede salvato da chi aveva lasciato in panchina. E’ anche vero che senza Howard in porta, l’epilogo sarebbe arrivato prima. Negli Stati Uniti ormai avvolti dal rito festoso dei Mondiali come mai era avvenuto finora per il soccer, si è arrivati a proporre il portiere dell’Everton come candidato alle prossime presidenziali, erede di padri della patria come Abraham Lincoln.
101. Avendo già citato l’appoggio delle star dello spettacolo a stelle e strisce alla Nazionale, non possiamo esimerci dal mostrare il tweet di un mostro sacro come Samuel L. Jackson. Agli USA è andata male anche stavolta, ma a vedere il Cowboys Stadium in Texas strapieno di gente per il soccer, l’impressione è che le cose si stiano davvero muovendo, dopo un’attesa quasi quarantennale, anche da quelle parti.
79. E’ forse meno appariscente degli altri, ma Thomas Müller come protagonista dei Mondiali calza alla perfezione. Archetipo del falso nueve, calciatore dalle grandi doti di duttilità, stella del Bayern Monaco, è già arrivato in giovane età a quote nove reti in nove partite disputate nella competizione iridata, segno che se tutto andrà come deve andare, il record Ronaldo-Klose forse non durerà a lungo. La Germania in Brasile vuole coronare un percorso che dal 2006 ad oggi, tra Mondiali ed Europei, l’ha sempre vista tra le prime quattro: terza nel 2006, seconda nel 2008, terza nel 2010, in semifinale nel 2012. E’ il simbolo di una generazione tedesca che dopo la doppia eurofiguraccia 2000-2004 (che fu comunque intervallata, tanto per gradire, da una finale Mondiale), vuole riassaporare cosa significhi vincere: perché avrà ragione Gary Lineker che tanto nel calcio “alla fine vincono i tedeschi”, ma è anche vero che è da Oliver Bierhoff e dal 1996 che una coppa non viene alzata da mani teutoniche.
80. A Barack Obama il calcio piace: gli Stati Uniti contro il Belgio affronteranno negli ottavi di finale un esame di maturità importante, ma questa Nazionale yankee è stata forse la più seguita della storia, anche di quella che nel 2002, piazzandosi tra le prime otto per la prima volta nell’era moderna, insegnò che si poteva sognare anche col soccer. Quando nel 2009 gli USA persero la finale di Confederations Cup contro il Brasile, rimontati da 2-0 a 3-2, Obama si scatenò con un derby a distanza col presidente brasiliano Lula, con tanto di scambio di maglie finale. Alla squadra di Klinsmann manca forse l’uomo in grado di fare la differenza, ma l’appoggio dei piani alti è senz’altro un’iniezione di popolarità supplementare ed utilissima per la Nazionale.
81. Abbiamo già parlato di volti noti del cinema e della televisione che hanno manifestato il loro appoggio alla Nazionale USA. Will Ferrell, “pizzicato” ad arringare i tifosi in un bar, si aggiunge ad una lista già molto lunga. Già, ma passata l’iniziale curiosità, che in un bar del Kentucky o in una steakhouse nell’Iowa può assomigliare a quella di un italiano per il curling in tempo di Olimpiadi, come si approcciano gli americani al soccer? L’analisi dei flussi della rete aiuta a capire meglio il tutto. Da una parte, Google ha registrato che durante il match contro il Ghana, la domanda più cercata sul celebre motore di ricerca è stata “How long is a soccer game?”, indicativa di un certo disorientamento. Su Twitter però, al momento del gol di Muller, i tweet con la parola “Nazi” o “Nazis” hanno avuto un’impennata vertiginosa. Segno evidente che il tipico campanilismo del tifo calcistico si sta affermando anche nella sua versione a stelle e strisce.
Portogallo – Ghana 2-1
82. Il Mondiale ha perso il Pallone d’Oro: verdetto prevedibile dopo la mancata vittoria portoghese contro gli Stati Uniti, ma difficile da digerire per una Nazionale storicamente ricchissima di talenti, ma che non riesce a risolvere il problema del centravanti dall’alba dei tempi, annoverando tra i miti di ogni epoca onesti ma modesti bomber come Nuno Gomes e Pauleta. La presenza di Helder Postiga è stata in questo senso indicativa. Cristiano Ronaldo è arrivato in Brasile con la pancia piena del suddetto Pallone d’Oro e della “Decima” conquistata con il Real Madrid. Le sue ultime due prestazioni, dopo quella incolore contro la Germania, sono state in crescendo, ma un uomo solo non fa la squadra. A meno che non si tratti di Messi, e questa probabilmente è la grande preoccupazione di CR7 da qui alla fine di Brasile 2014.
83. Il Mondiale ha detto che al calcio africano manca la necessaria maturità. Il caso del Ghana è stato eclatante. La furibonda lite tra Muntari e Kevin Prince Boateng, entrambi esclusi alla vigilia della decisiva partita contro i lusitani, e dei premi pretesi, consegnati e distribuiti in contanti, è la prova lampante di una polveriera presente in una squadra che contro Stati Uniti e Germania aveva dimostrato di essere competitiva nei piedi, ma non con la testa.
Corea del Sud – Belgio 0-1
84. L’esplosione della Fellaini-mania sugli spalti dimostra come il pubblico creda nel grande exploit dei Diavoli Rossi. Che mai avevano chiuso il girone eliminatorio ai Mondiali a punteggio pieno, e che anche contro i coreani sono rimasti fedeli alla cosiddetta zona-Belgio, con tutti i gol fin qui realizzati negli ultimi venti minuti.
Algeria – Russia 1-1
85. La storia dell’ex URSS ai Mondiali è affascinante, ricca di soprusi arbitrali (1962, 1970, 1986) e di grandi occasioni mancate (1966, 1982). Dallo scioglimento dell’impero sovietico, però, il fascino ha lasciato spazio all’approssimazione, e la sola scuola russa non è parsa in grado, nonostante l’abbondanza di mezzi economici (Fabio Capello si è presentato in Brasile come CT più pagato dei Mondiali) di mostrare qualcosa di significativo sul campo, l’unico luogo dove la storia si possa tramandare nel calcio. Il CT italiano ha recriminato molto per questa nuova eliminazione, ma restano impresse nella mente più le papere del portiere Akinfeev, ed una incapacità cronica nel fare gioco, che si è ripercossa nei due soli punti conquistati, al di là degli sprazzi dimostrati contro il Belgio.
86. La storia dell’Algeria invece si ritrova di fronte alla possibilità di un nodo gordiano, a 32 anni di distanza. Alla soddisfazione per la prima qualificazione tra le prime sedici del mondo nella storia, si aggiunge la formidabile possibilità di vendetta, quando nel 1982 la squadra di Madjer, dopo aver battuto la Germania Ovest, si ritrovò fuori a causa di una clamorosa “pastetta” tra i tedeschi e gli austriaci, che giocarono una partita col freno a mano tirato per approdare a braccetto alla seconda fase. Fantasiosa e veloce in attacco, forse un po’ approssimativa nelle chiusure difensive, la squadra algerina sogna la più clamorosa delle vendette: anche se sarà dura, contro una delle favorite del Mondiale, ma la vendetta, fredda così come deve essere, non è mai stata un piatto facile da cucinare.
57. I Diavoli Rossi stanno vincendo e rispettando il pronostico della vigilia, ma a modo loro. Quello tra Belgio e Olanda è uno dei derby più antichi d’Europa, ma le filosofie di gioco della due Nazionali sono sempre state (soprattutto dagli anni ’70 in poi) molto differenti. Cinico, pratico ed essenziale il Belgio, spesso travolgente, esaltante e un po’ sciupona l’Olanda. Il carico di talenti con cui la squadra di Wilmots si è presentata in Brasile quest’anno, non ha cambiato questa tendenza. Ciò che è diverso, e ne avevamo già parlato, è il carico di entusiasmo con cui i tifosi in patria stanno seguendo Fellaini e compagni. Gli ottavi sono conquistati, ma il sogno è emulare gli eroi di Messico ’86, quarti.
Corea del Sud – Algeria 2-4
58. Ci agganciamo perfettamente all’argomento “migliori prestazioni” e all’argomento “derby”. Nel primo caso, l’Algeria che si giocherà la qualificazione contro la Russia, se non avesse mostrato lacune in difesa piuttosto importanti, potrebbe pensare di superare la squadra del 1982, che stupì il mondo battendo la Germania Ovest poi finalista, per poi ritrovarsi esclusa a causa di un atteggiamento abbastanza “permissivo” degli austriaci nei confronti degli stessi tedeschi nell’ultimo match del girone. Nel secondo caso, la Corea del Sud ha attirato il tifo contrario dei cugini del Nord: ha fatto il giro del mondo la foto di Kim Jong Un con tanto di sciarpa dell’Algeria. Quella fra i dittatori e il calcio è una storia che dura da molti anni, e visto che la Corea del Nord non si è qualificata, Kim Jong Un si è lasciato andare ad una botta di “Schadenfreude”.
Stati Uniti – Portogallo 2-2
59. Una delle più belle partite di un Mondiale fin qui prodigo di spettacolo. Il “Team USA” di Klinsmann è andato ad un passo da una clamorosa qualificazione anticipata agli ottavi. Il gol di Varela di un Portogallo sovrastato nel secondo tempo ha rovinato tutto, ma complice anche il fuso orario finalmente favorevole (non succedeva dal Mondiale giocato in casa) il seguito verso Dempsey (ancora in gol!) e compagni sta raggiungendo livelli da record. Le star del cinema e delle serie televisive americane si accodano ad un sostegno fin qui riservato solo agli assi del football e del basket. Jim Parsons, alias Sheldon Cooper di Big Bang Theory, ha manifestato tutto il suo tifo per gli Stati Uniti ai Mondiali, e la CBS ha dedicato uno speciale a come le sue stelle stanno seguendo Brasile 2014.
60. Messi vs. Ronaldo 2-0. Il campo dice impietosamente questo, con l’Argentina già agli ottavi ed il Portogallo a rischio di una clamorosa eliminazione al primo turno. Questo nonostante il Pallone d’Oro contro gli USA abbia regalato magie che contro la Germania non si erano viste. L’assist finale per Varela, straordinario, ma soprattutto il numero nel primo tempo, forse la giocata individuale più bella del Mondiale fino a questo momento, escludendo i gol che meritano sempre un discorso a parte, e che CR7 finora non ha ancora trovato in Sudamerica.
Australia – Spagna 0-3
61. Nella formula dei Mondiali, arrivare alla terza della partita del girone con una sfida tra due squadre già eliminate è un evento raro ma possibile. Il fatto che in questa malinconica passerella siano coinvolti i Campioni del Mondo è decisamente più inusuale: la Spagna ha salvato la faccia, ma il biglietto di ritorno era già in tasca per Casillas e compagni. Analizzare il declino di una squadra che ha fatto epoca è ancora più difficile che individuarne le ragioni del successo. Sicuramente Casillas negli ultimi sei anni aveva salvato delle partite, piuttosto che comprometterle; sicuramente l’ascesa di Piqué si è arrestata, e la mancanza di un leader come Puyol in difesa è tangibile. Sicuramente un giocatore come Xavi, non per niente pronto alla partenza verso lande arabe, non nascerà di nuovo facilmente, e il fatto che la squadra che ha vinto tutto senza centravanti, si sia inceppata all’arrivo di Diego Costa, sicuramente non è un caso. Ma è sicura anche la gratitudine di un paese che ha visto le Furie Rosse superare un complesso secolare proprio grazie a questi eroi al crepuscolo. L’ironia, che in questi casi ci sta, è arrivata prevalentemente dall’estero…
Olanda – Cile 2-0
62. Arjen Robben è sempre stato uno strano tipo di calciatore: i mezzi per diventare il più forte li ha sempre avuti. Il magnetismo glamour di Ronaldo e la continuità di Messi no, né la cattiveria di un Ibrahimovic. Complici anche gli infortuni che raramente lo hanno lasciato in pace. Quando è stato bene, sia al Bayern Monaco che in Nazionale, ha dimostrato però di poter cambiare da solo il volto delle partite. Qualcuno gli ha sempre rimproverato un pizzico di egoismo, e di imprecisione sotto porta: conto il Cile, da assist-man, ha dimostrato che un’Olanda arrivata in sordina in Brasile, può sognare la vendetta, quando in Sudafrica proprio Robben vide il sogno di un’intera Nazione infrangersi di fronte a Casillas.
Camerun – Brasile 1-4
63. E se tra i due litiganti fosse il terzo a godere? Nella grande attesa Mondiale della sfida a distanza tra Messi e Ronaldo, nessuno ha forse considerato che Neymar può contare su una spinta popolare senza precedenti. Il mondo si emoziona nel sentire tutto lo stadio, prima delle partite della Selecao, cantare la seconda strofa dell’inno senza l’accompagnamento musicale. E Neymar è finora protagonista di una squadra non del tutto convincente, ma capace di mandare già quattro volte in gol l’asso del Barcellona, che sembra particolarmente forgiato dall’anno, duro, trascorso in Europa. Dagli ottavi e dal Cile, il gioco si farà duro: vedremo se Neymar sarà già in grado di giocare: l’occasione di un Mondiale da vincere da eroe, in casa, di sicuro non capiterà più.
64. Nel cuore di tifosi ed appassionati, il Camerun del 1990 resta la squadra africana più bella ed amata mai passata in un Campionato del Mondo. Roger Milla, Thomas N’Kono, e la cavalcata fino agli spettacolari quarti di finale perduti contro l’Inghilterra. Per questo, quanto messo in mostra dai “Leoni Indomabili” in Brasile è stato un qualcosa di malinconico. Dalla stucchevole lite sui premi, ironica per una squadra incapace di raccogliere anche solo un punto del girone, a Samuel Eto’o chiuso in una gabbia dorata, infortunato e incapace di lasciare un vero segno in un Mondiale. Della squadra di 24 anni fa capace di contagiare con allegria ed entusiasmo chiunque la guardasse, nemmeno l’ombra.
Croazia – Messico 1-3
65. Comunque vada a finire, questo è stato l’anno delle forte personalità in panchina, i “caudillos” capaci di portare outsider alla vittoria. Diego Simeone all’Atletico Madrid ne è l’esempio più lampante, ma anche il “Piojo” Hector Herrera, corpulento e sanguigno CT del Messico, non si sta rivelando da meno. Le sue sfrenate esultanze stanno diventando letteralmente di culto, e chissà se l’organizzazione trovata non possa portare il “Tri” (che ancora deve subire un solo gol) dove non è mai ancora arrivato finora.
46. Il sapore è quello di un’occasione perduta per entrambe le formazioni. Non sembrano però squadre in grado di lasciare un segno tangibile in un Mondiale dall’alto coefficiente di difficoltà. Soprattutto la Giappone di Zac ci si poteva attendere di più. Ora la qualificazione è appesa al filo della vittoria greca sulla Costa D’Avorio, e a quella dei “Blue Samurai” sulla forte Colombia. E il rito dei tifosi giapponesi che ripuliscono con zelo gli spalti alla fine di ogni partita, inizia a sembrare il simbolo della resa, oltre che un segno di indubbia civiltà.
Italia – Costa Rica 0-1
47. E veniamo alle nostre (dolenti) note. La sconfitta azzurra contro la Costa Rica brucia particolarmente considerando la sensazione di Deja Vu indotta dal gol di Bryan Ruiz. La maledizione del ’66, quando dopo aver definito una banda di “Ridolini” i ragazzi della Corea del Nord, l’Italia finì affondata dal gol di Pak Doo Ik (è sempre bene ricordarlo, un militare, non un dentista), si è perpetrata nel tempo, sia nei Mondiali felici che in quelli tristi. Nel ’70, nell’82, nel ’94 e nel 2006, in totale due vittorie e due finali, si scatenarono feroci polemiche dopo i pareggi nel girone eliminatorio contro Israele, Camerun, Stati Uniti, e nel 1994 addirittura perdemmo all’esordio contro l’Irlanda. Peggio è andata nel 2002, eliminati dalla Corea (sempre lei) del Sud, e soprattutto nel 2010, quando il pari contro la Nuova Zelanda ed il ko contro la Slovacchia sembrava aver segnato il punto più basso in assoluto. All’azzurro-tenebra si è aggiunto ora il ko contro un paese da meno di cinque milioni di abitanti. In attesa di Italia-Uruguay…
48. D’altronde i “Ticos” (così sono soprannominati i calciatori della Costa Rica) possono contare su tifosi scatenati, che venerano una Nazionale che solo nell’ultimo quarto di secolo è riuscita a raccogliere risultati significativi. Nel 1990, unica volta in cui raggiunsero gli ottavi di finale ai Mondiali, l’impresa fu talmente celebrata che venne girato un film, intitolato appunto 1990. E nella serata di venerdì a San José l’entusiasmo popolare è stato straripante.
49. Comunque, nel girone dell’Italia la situazione si fa intricata. Questa “diapositiva” illustra bene come stanno le cose prima dell’ultima giornata.
Svizzera – Francia 2-5
50. Il curioso caso di Karim Benzema: con un pizzico di fortuna in più sarebbe senza dubbio il capocannoniere di Brasile 2014. Dopo la “quasi tripletta” contro l’Honduras, il centravanti del Real Madrid ha segnato il 6-2 nella strabordante vittoria francese contro la Svizzera proprio in concomitanza con il triplice fischio finale dell’arbitro. Gol naturalmente non convalidato: ma la filosofia con cui Benzema sta prendendo queste piccole disavventure è quella di una Francia diversa, meno boriosa e più pratica, che nonostante l’assenza di Ribery e senza i favori del pronostico, ha destato una delle migliori impressioni della parte iniziale di Brasile 2014. E si è messa in tasca la qualificazione agli ottavi.
Honduras – Ecuador 1-2
51. Ed è proprio parlando di possibili capocannonieri che non ti aspetti, che chiudiamo il resoconto odierno. Enner Valencia entra nella nostra lista della spesa, anzi balza di prepotenza al primo posto, visto che l’età (25 anni) e la militanza con i messicani del Pachuca, suggeriscono un prossimo assalto delle squadre europee. I due gol con cui il brevilineo attaccante, cresciuto in patria nell’Emelec, ha “ribaltato” l’Honduras, si aggiungono a quello segnato contro la Svizzera e ad un repertorio che indica come le squadre a caccia di una punta scaltra e veloce, debbano fare in fretta a telefonare al suo procuratore.
52. Una delle nostre storie riguardanti le partite d’esordio si è rivelata profetica. Nel segno di “di padre in figlio”, Carlo Costly è tornato a fare gol per l’Honduras in un Mondiale dopo 32 anni. L’ultima volta, in Spagna, in squadra c’era il padre di Carlo, Anthony: la vera dinastia del calcio in Honduras.
16. La prima formazione dell’America centro-meridionale che non sfrutta il fattore campo “continentale” (l’Uruguay non conta essendo stato sconfitto dalla Costa Rica) è l’Ecuador, che perde in maniera a dir poco rocambolesca, per un gol di Seferovic, contro la Svizzera. Che nonostante la distanza, sfoggia in tribuna alcuni dei tifosi più colorati del Mondiale. Sull’eleganza stendiamo un velo pietoso… Il sogno per Behrami e compagni resta migliorare la performance di tutti i tempi, i quarti di finale raggiunti in casa nel ’54. In tempi recenti, per gli elvetici ottavi di finale nel 1994 e nel 2006.
Francia – Honduras 3-0
17. Partita ricchissima di particolarità, sebbene sul piano tecnico sia stata forse la più lineare di Brasile 2014: pronostico rispettato con la “quasi tripletta” di Benzema, ed Honduras a secco di gol nei Mondiali da Spagna ’82. In quella formazione c’era il padre di Carlos Costly, Anthony: il figliolo sogna di ripercorrere le orme paterne e tornare a fare punti in un Mondiale. Dicevamo delle particolarità: si è cominciato senza inni nazionali, quindi il secondo gol transalpino è stato utile per testare sul serio la “goal technology”: per la prima volta un pallone sulla linea è stato valutato con l’aiuto della tecnologia. Le polemiche, se possibile, sono addirittura aumentate… ma il gol (anzi, l’auto gol del portiere honduregno) è stato convalidato.
Rimasugli di Inghilterra – Italia 1-2
18. C’è bisogno di aggiungere altro?
Rimasugli di Spagna – Olanda 1-5
19. La stampa iberica ha enfatizzato il clamoroso risultato di venerdì, tra delusione (la prima pagina tutta nera di “Marca”) ed esortazioni al riscatto. Dopo due titoli europei e uno mondiale, c’è comunque anche voglia di ridere sulla prima vera debacle del calcio spagnolo da otto anni a questa parte. E così dal tanto celebrato tiki-taka, in molti ipotizzano si sia passati al “taca-taca”… ovvero, all’arrancare per sopraggiunti limiti di età.
Durante la lunga rassegna Mondiale con i racconti delle finali, abbiamo già parlato degli incroci del destino che spesso, davvero per un soffio, non hanno provocato sorprese epocali. Il binario della Coppa del Mondo è sempre sembrato predefinito, come guidato dalla mano invisibile della storia. Se il tiro di Hurst nel ’66 è finito dentro, e quello di Rensenbrink nel ’78fuori, dopo aver colpito un legno a portiere battuto, non sembra un casualità. La Francia nel ’98 prima della finale sarebbe potuta uscire di scena, per un nulla, nei tre turni precedenti ad eliminazione diretta. Eppure alla fine tutto è andato così come si pensava dovesse andare. Nel 2006 invece, la finale ha scritto un copione completamente diverso da quello che gli Dei del calcio sembravano aver preparato.
L’edizione tedesca, stavolta in una Germania unita, come non era accaduto nel ’74, sembrava essere diventata la passerella d’addio perfetta per un grande campione della storia del calcio: Zinedine Zidane. Che dopo il trionfo del ’98, aveva preannunciato il suo ritiro alla fine del suo terzo ed ultimo Mondiale. Giocato divinamente, non appena i ritmi si erano alzati. Partita super contro la Spagna negli ottavi, addirittura leggendaria nei quarti contro il Brasile, fuori dalla finale dopo sedici anni, perfetta contro il Portogallo, per la seconda volta nella sua storia tra le semifinaliste. Mai nell’ultimo quadriennio Zizou aveva giocato così: dopo la Champions League conquistata con il Real Madrid nel 2002, la sua carriera aveva preso un lento declino, ma nell’ultimo grande appuntamento si era ridestato dal suo sonno. E aveva svegliato tutta una squadra impigrita, che fino alla partita contro il Togo aveva rischiato di nuovo l’eliminazione al primoturno, come nel 2002.
Dall’altra parte, un’Italia che a sua volta sembrava seguire lo spartito del 1970 e del 1994: partenza in sordina (stavolta era stato il ciclone “Calciopoli“, costato addirittura la retrocessione in B alla Juventus, a sconvolgere la vigilia azzurra), e poi crescendo culminato con una grande impresa in semifinale. La vittoria in casa dei tedeschi a Dortmund: Germania che proprio dal 1970 sconta un complesso quarantennale verso gli azzurri, nel quale i gol di Grosso e Del Piero alla fine dei tempi supplementari ricoprono un ruolo di primo piano. L’Italia in realtà porta ai Mondiali una generazione che, dopo aver mancato clamorosamente i Mondiali di quattro anni prima, ha l’ultimaoccasione per lasciare un segno tangibile nella storia del calcio. I Buffon, Nesta, Cannavaro, Totti, Del Piero, Filippo Inzaghi, Toni, di cui per anni si è detto meraviglie, senza che ne conseguisse un trionfo tangibile per la Nazionale. Il materiale per vincere c’è, ma come spesso avviene per i colori azzurri, tra il dire e il fare le variabili sono molte.
Nesta infatti si infortuna per l’ennesima volta in Nazionale; Totti è reduce da un grave incidente che per un soffio non gliel’ha proprio fatto saltare il Mondiale. Del Piero e Inzaghi parono dalle retrovie, e Toni, dopo anni passati a segnare a valanga con Palermo e Fiorentina, nontrova il gol, un po’ alla Paolo Rossi. E la doppietta contro l’Ucraina resterà un pezzo unico. Attorno ad un FabioCannavaro da leggenda, che a fine stagione sarà anche insignito del Pallone d’Oro, emergono però dei protagonistiinattesi. Fabio Grosso, che con una discesa pazzesca rimedia il rigore-risolutore contro l’Australia negli ottavi, e segna il gol che fa crollare le certezze tedesche e zittisce gli 80.000 del Westfalenstadion di Dortmund. E Marco Materazzi, che di Nesta prende il posto contro la Repubblica Ceca, e che giocherà un Mondiale al di sopra di ogni previsione.
Complice anche la stanchezza per i supplementari contro i tedeschi, la finale è più a tinte “bleus” che azzurre. Zidane mette subito la sua firma trasformando alla “Panenka” un rigore che per poco non finisce però al di qua della linea. Nel primo tempo però l’Italia reagisce dimostrandosi squadra vera. Prima Marco Materazzi sale altissimo, e di testa pareggia. Quindi Toni timbra la traversa. La squadra di Domenech accorcia le distanze tra i reparti, e le secondo tempo, dopo la fiammata di un gol annullato a Toni, c’è un crescendo francese che culmina in una parata che ha dell’incredibile di Buffon su un’inzuccata formidabile di Zidane.
Sembra davvero tutto scritto: dopo la grande festa in semifinale, l’Italia sembra andare incontro verso l’ennesima delusione, soprattutto perché all’orizzonte ci sono quei rigori che hanno visto gli azzurri sempre sconfitti negli ultimi 26 anni, fatta eccezione per l’Europeo del 2000. E’ invece un colpo di testa di Zidane a cambiare la storia: ma non quello sventato miracolosamente da Buffon, ma quello rifilato a Materazzi, sempre lui, per un’offesa che porta improvvisamente la finale dei Mondiali in uno scenario di partitella tra ragazzini di 10 anni in periferia. Accade anche questo, e il re del calcio di quella fase storica del Football, esce di scena come non avrebbe fatto forse nemmeno con gli amichetti in Algeria nella prima infanzia.
La storia cambia in quelmomento, per un colpo di testa che non va a segno, ed un altro che colpisce un bersaglio illecito, il petto di Materazzi, in Mondovisione. Guai a stuzzicare il destino: senza il suo leader in campo, la spinta della Francia si spegne. Si va ai rigori, dove accade qualcosa di mai visto: gli azzurri ne segnano cinque su cinque (ovviamente tirano anche Materazzi e Grosso, gli uomini del destino), la Francia sbaglia con Trezeguet e gli Champs Élysées gremiti durante la partita si svuotano in un lampo. Un trauma, anche per il presidente della FIFA Blatter che preferisce restare a consolare Zidane nello spogliatoio, invece di premiare gli azzurri. Segno che il copione scritto era un altro: ma per fortuna delle milioni di persone che affollano le piazze italiane per tutta la notte, in un revival speciale ed inatteso di Spagna ’82, il calcio ogni tanto ama anche improvvisare.
Il Mondiale di Spagna 1982 è il Mondiale dell’urlo di Tardelli, del genio di Marazico, come fu soprannominato Bruno Conti per le sue magie sulla fascia, e dell’orgoglio di Bearzot, che riuscì a portare al trionfo gli azzurri creando un gruppo compatto, schermato dalla stampa e reduce dallo scandalo del calcio scommesse che aveva coinvolto tantissimi protagonisti di primo piano del calcio italiano.
Paradossalmente, l’Italia gioca peggio che nel 1978, ma porta a casa la Coppa. Qualificata solo per un gol in più rispetto al Camerun, nel gironcino per le finali la nazionale pesca Argentina e Brasile, il meglio che c’è in giro. Un finale che sembra già scritto, ma anziché firmare il proprio epitaffio, Zoff e compagni risorgono. Contro l’albiceleste Tardelli e Cabrini ci regalano la vittoria (2-1, Passarella); la partita rimane memorabile per la marcatura asfissiante di Gentile su Maradona. L’epopea azzurra è appena iniziata. A Barcellona contro il Brasile all’Italia serve una vittoria, mentre ai verdeoro, su cui si concentrano tutti i favori del pronostico, basta un pari. Pagheranno caro la loro ostinata presunzione di voler stravincere e condurre le danze anziché fare calcoli. Paolo Rossi, coinvolto nel calcio scommesse, difeso strenuamente da Bearzot nonostante prestazioni opache e due anni di inattività, come per magia si sblocca. Una sua tripletta vanifica i gol di Socrates e Falcao, Zoff sigilla l’impresa con un salvataggio sulla riga di porta al 90’. E’ delirio a Barcellona, ma anche in Italia, dove la gente si identifica sempre di più con una Nazionale vincente.
La Germania Ovest arriva in finale dopo aver superato ai rigori – è la prima volta in un Mondiale – la Francia di Platini, in vantaggio 3-1 fino ad una manciata di minuti dal termine dei supplementari. L’ingresso dell’infortunato Rummenigge sposta gli equilibri: prima accorcia con una botta da fuori, poi assiste la rovesciata di Fischer che pareggia i conti. Sulla partita pesa l’inervento criminale, è il termine adatto, del portiere tedesco Schumacher su Battiston, che rimane a terra con due denti rotti e due vertebre incrinate. Un’azione che avrebbe meritato rigore ed espulsione, e molto probabilmente indirizzato la partita verso un altro esito. Così non è stato e la Francia saluta. A Madrid ci aspettano i tedeschi.
Il Bernabeu straripa di tricolori: è tanta la gente arrivata dall’Italia per vivere una notte magica, con bandieroni dell’ultima ora. Si riscopre un’appartenenza snobbata dal dopoguerra, rimarcata nel lodevole tentativo di cantarel’inno nel prepartita, però la voce è incerta poiché tale rituale é stato trascurato per quarant’anni. L’euforia nell’ambiente azzurro è contagiosa, eppure nessuno dimentica gli articoli scritti nei giorni caldi di Vigo, e Bearzot conferma il silenzio stampa. Il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, dopo essersi autonominato primotifoso della nazionale, siede in tribuna insieme ai reali di Spagna. Come scritto da Montanelli, da buon ultimo è lì ad esprimere al meglio il peggio dell’indole nazionale.
Bearzot sorprende tutti. Un difensorepuro, il diciottenne Bergomi, per Antognoniinfortunato. E soprattutto tremarcature rigide: Gentile su Littbarski, Collovati su Fischer, e appunto Bergomi su Rummenigge. Centrocampo solido e ripartenze velocissime. I tedeschi commettono lo stesso errore del Brasile. Anziché lasciarci l’iniziativa, pretendono di dettare i ritmi della partita; per gli azzurri è un (altro) invito a nozze. Il primo tempo scorre senza sussulti, se non per il rigore sbagliato da Cabrini. Nella ripresa e’ l’apoteosi. Oriali si regala la più bella partita in carriera recuperando palloni su palloni, Conti, che l’anno successivo conquisterà con la Roma il secondo, storico tricolore, si conferma Marazico, Rossi, Tardelli e Altobelli firmano i tre gol azzurri, mentre quasi nessuno si accorge della rete di Breitner. Nando Martellini, storica voce della Rai, urla tre volte “Campioni del Mondo”, quasi una promessa per il futuro.
E’ l’inizio simbolico dell’età del benessere, dei soldi e delle tangenti facili. E’ una vittoria molto italiana: non premia i più forti in assoluto, ma chi si è meglio saputo adattare alle contingenze. Dopo un decennio di sangue e odio ci sentiamo tutti fratelli, come dimostra la storica immagine della partita a scopone sull’aereo presidenziale – Causio e Bearzot da un lato, Pertini e Zoff dall’altro, con beffa finale per questi ultimi battuti 15-14, e Zoff costretto a prendersi le colpe dell’errore fatale di Pertini per amor patrio. Magnifici rappresentanti dell’Italia fino in fondo: grazie al “passaggio” presidenziale, vengono aggirate le norme sull’importazione di valuta per il premio versato in Spagna dallo sponsor della Nazionale (Le coq sportif).