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#Contromondiali Fabio Belli

#Contromondiale 19: #Argentina, #Olanda, #Romero, #Mascherano, #Maschefacts, #GermaniaArgentina, #Robben, #SanPaolo, #Fellaini

di Fabio Belli

Argentina – Olanda 4-2 dcr

Entusiasmo popolare sfrenato in Argentina
Entusiasmo popolare sfrenato in Argentina

122. Dal “San Paolo” a… San Paolo: l’Argentina torna a giocarsi il titolo Mondiale a 24 anni di distanza da quello del 1990, e l’avversaria sarà la stessa, la Germania. Corsi e ricorsi continui della storia, visto che dopo quella volta, l’albiceleste non aveva più superato i quarti di finale, e soprattutto non aveva più vinto ai rigori dalla semifinale in Italia che rappresenta uno dei ricordi più amari della storia azzurra. Eliminata nel 2006 proprio dai tedeschi, che anche nel 2010 sono stati giustizieri della squadra allora allenata da Diego Armando Maradona. Germania-Argentina è una delle superclassiche dei Mondiali, e sarà per la terza volta l’atto conclusivo della competizione. Nel 1986 il gol di Burruchaga ha regalato il secondo titolo agli argentini, nel 1990 il rigore di Brehme il terzo ai tedeschi.

La Gazzetta riassume Argentina-Olanda in 5 parole
La Gazzetta riassume Argentina-Olanda in 5 parole

123. E allora come ora, ai rigori è stato decisivo un “underdog”, un portiere che di certo non era atteso tra i protagonisti del ventesimo Mondiale, e che di nome fa Sergio. Per la precisione, Sergio Romero, numero uno della Sampdoria che raccoglie ufficialmente l’eredità di Sergio Goycoechea, che ventiquattro anni fa salvò l’Argentina ai rigori prima nei quarti di finale contro la Jugoslavia, e poi nella sopra citata semifinale contro l’Italia. Stesso nome di battesimo, stesse prodezze dagli undici metri (la parata su Sneijder è stata a dir poco strepitosa), stessa scarsa considerazione alla vigilia: a Buenos Aires sperano solo che la storia dei Mondiali, così circolare e ricca di ricorsi, non nasconda il presagio di un’altra delusione finale.

Romero ripassa prima dell'interrogazione
Romero ripassa prima dell’interrogazione

124. Romero non deve comunque essersi dimenticato gli anni di scuola: durante i rigori è stato “pizzicato” a sbirciare un foglietto nel quale probabilmente c’erano appuntate le abitudini dei rigoristi olandesi. E chissà se le parate su Vlaar e Sneijder non siano state figlie dello studio, più che dell’istinto. Non è la prima volta che un portiere si aiuta con gli appunti: Jens Lehmann nel 2006 aveva ripassato lo stile dei tiratori argentini proprio nello stile di un compito in classe tra i banchi del liceo.

Ancora una delusione per l'Olanda
Ancora una delusione per l’Olanda

125. Dopo lo straordinario spettacolo di Belo Horizonte, a San Paolo si è assistito ad una partita bloccata come forse se ne videro, nella storia recente dei Mondiali, solo nel mondiale italiano, e a tratti in quello americano nel quale però il caldo recitò un ruolo ben più preponderante dei tatticismi di quattro anni prima nel frenare le squadre. Louis Van Gaal ha tagliato fuori Leo Messi, che dopo l’opaca prova contro il Belgio, si è giocato il secondo bonus nella strada verso la storia, mai pericoloso e soffocato dalle asfissianti marcature degli oranje. La partita si è rivelata però un paradossale scontro all’ok corral tra il tecnico olandese e Sabella, che ha rinunciato a sua volta ad esporsi al micidiale contropiede olandese. E il disappunto finale di Robben è quello di chi sapeva di poter in fondo fare di più: e invece la sua sarà l’ennesima generazione di fenomeni olandesi incompiuti.

Mascherano su Robben: una gemma di Brasile 2014
Mascherano su Robben: una gemma di Brasile 2014

126. Un filo conduttore tra le due finaliste è individuabile anche nell’anima delle rispettive zone di centrocampo. Nella storia vittoria della Germania, è riuscito a spiccare Sami Khedira, che ha giganteggiato dopo un inizio di Mondiale difficile. Nella bloccatissima sfida di San Paolo, a parte i balzi di Romero, l’unico gesto atletico da tramandare ai posteri sarà quello di Mascherano che ha salvato un gol fatto di Robben praticamente allo scadere. Un intervento strepitoso, per scelta di tempo e cuore, ciliegina sulla torta di una prestazione maiuscola.

Rimasugli di Argentina – Belgio 1-0

Fellaini come Sansone
Fellaini come Sansone

127. Basta la foto, non servono parole: Marouane Fellaini si è tagliato i capelli! Crolla in borsa l’industria delle parrucche per tifosi: migliaia e migliaia di capi ormai inutilizzabili tra Manchester e Bruxelles.

 

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#Contromondiali Fabio Belli

#Contromondiale 11: #Italia, #Morso, #Rimorso, #Suarez, #Dimissioni, #Grecia, #Samaras, #Mondragon, #Selfie

di Fabio Belli

Italia – Uruguay 0-1

Le nuove frontiere del cibo italiano
Le nuove frontiere del cibo italiano

66. Abbiamo già parlato di quanto i deja vu siano frequenti nei Mondiali. L’Italia si ritrova coinvolta in un’eliminazione tra grandi controversie arbitrali, come già avvenuto nel 1962 e nel 2002, quando un arbitro chiamato Moreno, così come in questo caso, scatenò l’ira dei tifosi azzurri. Il Moreno attuale è messicano e soprannominato Dracula, con il centravanti della squadra avversaria, Suarez, famoso per avere il “vizietto” di mordere gli avversari. Possibile che ci ricaschi con Dracula al fischietto? E soprattutto che Dracula non se ne accorga? Ovviamente sì: e il morso di Suarez a Chiellini rischia di diventare (anzi, forse già lo è) un cult alla pari della testata di Zidane a Materazzi nel 2006. In quel caso Horacio Elizondo non fece finta di non vedere, stavolta Dracula-Moreno sì: e questo è costato a lui le prossime partite del Mondiale, a Suarez una probabile, lunga squalifica, e all’Italia l’eliminazione. In una sorta di circolo inesauribile della storia mondiale azzurra.

Le eliminazioni dell'Italia ai Mondiali nel 1954 e nel 2014, trattate con enfasi differente dalla stampa
Le eliminazioni dell’Italia ai Mondiali nel 1954 e nel 2014, trattate con enfasi differente dalla stampa

 

67. Insomma, ce ne sarà di chi parlare a lungo, ma l’aspetto tecnico del match contro l’Uruguay non è scivolato in secondo piano. Anche e soprattutto perché l’espulsione (ingiustificabile errore, va detto) di Marchisio ha accelerato una deriva del match che, dopo un primo tempo di buon contenimento, aveva portato l’Italia ad arretrare paurosamente il baricentro dopo l’espulsione del nervoso, instabile ma probabilmente indispensabile (sì, qui andiamo controcorrente) Balotelli. Una scelta difensiva implosa quando qualcosa è andato storto, e non è un caso che invece di gridare all’ingiustizia (come avvenne nel 2002), i media italiani si siano scatenati contro il non-gioco espresso dagli azzurri dopo due anni di preparazione ed una finale europea. A parte qualche sprazzo contro l’Inghilterra peggiore dagli anni ’70, contro Costa Rica ed Uruguay i tiri in porta si sono contati sulle dita di una mano. A sessant’anni di distanza, si può comunque ammirare come sia cambiato il modo di reagire da parte dei giornali italiani ad un’eliminazione dell’Italia ai Mondiali.

"Prandelli, stai sereno".
“Prandelli, stai sereno”.

68. E parte la solita sequela del tutti contro tutti: Prandelli attacca la stampa, Abete se la prende col sistema, Marchisio con Suarez, Verratti con l’arbitro e tutti, ma proprio tutti, con Balotelli. Da Bearzot a Vicini a Sacchi, da Zoff a Trapattoni a Lippi, il rito delle dimissioni in Italia fa sempre scalpore, forse perché inusuale. Di sicuro ci troviamo ad un punto che ha riportato il calcio italiano indietro di circa 50 anni: dopo lo scandalo di Cile ’62, arrivò il diluvio Corea del Nord a svegliare un football azzurro addormentato (ma che allora già dominava con le milanesi a livello internazionale di club). Due eliminazioni al primo turno che tornano clamorosamente d’attualità, ora che dopo un’edizione del 2010 giocata colpevolmente (e lo si capisce ora) con la pancia piena e senza stimoli, si torna di nuovo a casa. Via Prandelli, via Abete, la Nazionale ha bisogno però di protagonisti veri anche in campo: perché il sistema-calcio italiano sarà in crisi profonda e non si può negare, ma paesi come la Costa Rica e lo stesso Uruguay, non si può dire che raggiungano risultati superiori ai nostri con investimenti finanziari maggiori e politiche più lungimiranti. Lavorare bene, alla lunga, paga più che lavorare tanto, al di là dei luoghi comuni.

Costa Rica – Inghilterra 0-0

I giornali inglesi i più severi nei confronti di Suarez
I giornali inglesi i più severi nei confronti di Suarez

69. Partita che aveva poco da dire: i “Ticos” hanno dimostrato una volta di più di meritare la qualificazione e il primo posto, gestendo il pari che serviva loro per chiudere in testa. Inghilterra senza stimoli, tanto che i giornali inglesi hanno preferito concentrarsi sul caso-Suarez, stella della Premier League. E in barba agli interessi del Liverpool, la stampa britannica c’è andata giù pesante, con titoli del tipo “squalificate questo mostro”. Con due morsi e una squalifica per razzismo già alle spalle, Suarez (che si era affidato anche a uno psicologo per evitare di cadere di nuovo in questo tipo di comportamenti) potrebbe andare incontro ad una squalifica a tempo che coinvolgerebbe anche i Reds.

Giappone – Colombia 1-4

Faryd (nelle figurine italianizzato in "Fabio") Camilo Mondragòn, recordman dei Mondiali a 43 anni, ai tempi di USA '94
Faryd Camilo Mondragòn, recordman dei Mondiali a 43 anni, ai tempi di USA ’94

70. Se non ci fosse Suarez, la storia del giorno sarebbe sicuramente la sua: Faryd Mondragòn, classe ’71, a fine partita si è piazzato tra i pali della Colombia ed è diventato il giocatore più anziano della storia dei Mondiali. A 43 anni, c’era già ad USA ’94, ed è allla sua terza Coppa del Mondo solo perché la Colombia era assente dalla rassegna dal ’98. Un momento emozionante, in parte rovinato dalla FIFA che non ha permesso al numero uno il giro di campo finale in compagnia dei figlioletti.

Grecia – Costa D’Avorio 2-1

71. Il collegamento tra Grecia ed Epica è sin troppo facile, ma da dieci anni a questa parte la Nazionale ellenica, a fronte di risorse decisamente limitate, sta riuscendo ad ottenere risultati incredibili. E soprattutto a sovvertire situazioni sulla carta irrimediabili. L’impresa di Euro 2004 è agli atti e nella storia, ma anche due anni fa negli Europei in Polonia e in Ucraina, si guadagnarono un quarto di finale contro la Germania quando l’eliminazione sembrava inevitabile. Stesso copione stavolta: dopo il rovescio iniziale contro la Colombia e lo scialbo pari contro i giapponesi, chi si aspettava la coppia Samaris-Samaras (a proposito: con il messicano Ochoa è il secondo svincolato decisivo a Brasile 2014, dov’è l’errore?) agli ottavi? E contro la Costa Rica, poi: comunque vada, tra le prime otto del Mondiale ci sarà una prima volta assoluta ed inaspettata.

Rimasugli di Croazia – Messico 1-3

72. Non ce ne vogliano Bradley Cooper, Ellen DeGeneres e le stelle degli Oscar, ma a nostro avviso il “selfie” dell’anno è questo. Que viva Mexico, Que viva Héctor Herrera!

Hector Herrera re dei "selfie"
Héctor Herrera re dei “selfie”
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#Contromondiali Fabio Belli

#Contromondiale 08: #Italia, #Corea, #Ticos, #Pulizia, #Japan, #Benzema, #CostaRica, #Valencia, #Costly

di Fabio Belli

Giappone – Grecia 0-0

A fine partita, ogni giapponese sa che dovrà ripulire tutto.
A fine partita, ogni giapponese sa che dovrà ripulire tutto.

46. Il sapore è quello di un’occasione perduta per entrambe le formazioni. Non sembrano però squadre in grado di lasciare un segno tangibile in un Mondiale dall’alto coefficiente di difficoltà. Soprattutto la Giappone di Zac ci si poteva attendere di più. Ora la qualificazione è appesa al filo della vittoria greca sulla Costa D’Avorio, e a quella dei “Blue Samurai” sulla forte Colombia. E il rito dei tifosi giapponesi che ripuliscono con zelo gli spalti alla fine di ogni partita, inizia a sembrare il simbolo della resa, oltre che un segno di indubbia civiltà.

Italia – Costa Rica 0-1

Dal gol di Pak Doo Ik, l'Italia ha ingoiato numerosi bocconi amari nei Mondiali contro le cosiddette "piccole"
Dal gol di Pak Doo Ik, l’Italia ha ingoiato numerosi bocconi amari nei Mondiali contro le cosiddette “piccole”

47. E veniamo alle nostre (dolenti) note. La sconfitta azzurra contro la Costa Rica brucia particolarmente considerando la sensazione di Deja Vu indotta dal gol di Bryan Ruiz. La maledizione del ’66, quando dopo aver definito una banda di “Ridolini” i ragazzi della Corea del Nord, l’Italia finì affondata dal gol di Pak Doo Ik (è sempre bene ricordarlo, un militare, non un dentista), si è perpetrata nel tempo, sia nei Mondiali felici che in quelli tristi. Nel ’70, nell’82, nel ’94 e nel 2006, in totale due vittorie e due finali, si scatenarono feroci polemiche dopo i pareggi nel girone eliminatorio contro Israele, Camerun, Stati Uniti, e nel 1994 addirittura perdemmo all’esordio contro l’Irlanda. Peggio è andata nel 2002, eliminati dalla Corea (sempre lei) del Sud, e soprattutto nel 2010, quando il pari contro la Nuova Zelanda ed il ko contro la Slovacchia sembrava aver segnato il punto più basso in assoluto. All’azzurro-tenebra si è aggiunto ora il ko contro un paese da meno di cinque milioni di abitanti. In attesa di Italia-Uruguay…

Entusiasmo popolare in Costa Rica
Entusiasmo popolare in Costa Rica

48. D’altronde i “Ticos” (così sono soprannominati i calciatori della Costa Rica) possono contare su tifosi scatenati, che venerano una Nazionale che solo nell’ultimo quarto di secolo è riuscita a raccogliere risultati significativi. Nel 1990, unica volta in cui raggiunsero gli ottavi di finale ai Mondiali, l’impresa fu talmente celebrata che venne girato un film, intitolato appunto 1990. E nella serata di venerdì a San José l’entusiasmo popolare è stato straripante.

Nel girone degli azzurri, la potenza è nulla senza controllo...
Nel girone degli azzurri, la potenza è nulla senza controllo…

 

49. Comunque, nel girone dell’Italia la situazione si fa intricata. Questa “diapositiva” illustra bene come stanno le cose prima dell’ultima giornata.

Svizzera – Francia 2-5

La nuova filosofia zen di Benzema e di tutta la Francia
La nuova filosofia zen di Benzema e di tutta la Francia

50. Il curioso caso di Karim Benzema: con un pizzico di fortuna in più sarebbe senza dubbio il capocannoniere di Brasile 2014. Dopo la “quasi tripletta” contro l’Honduras, il centravanti del Real Madrid ha segnato il 6-2 nella strabordante vittoria francese contro la Svizzera proprio in concomitanza con il triplice fischio finale dell’arbitro. Gol naturalmente non convalidato: ma la filosofia con cui Benzema sta prendendo queste piccole disavventure è quella di una Francia diversa, meno boriosa e più pratica, che nonostante l’assenza di Ribery e senza i favori del pronostico, ha destato una delle migliori impressioni della parte iniziale di Brasile 2014. E si è messa in tasca la qualificazione agli ottavi.

Honduras – Ecuador 1-2

Enner Valencia, bomber Mondiale
Enner Valencia, bomber Mondiale

51. Ed è proprio parlando di possibili capocannonieri che non ti aspetti, che chiudiamo il resoconto odierno. Enner Valencia entra nella nostra lista della spesa, anzi balza di prepotenza al primo posto, visto che l’età (25 anni) e la militanza con i messicani del Pachuca, suggeriscono un prossimo assalto delle squadre europee. I due gol con cui il brevilineo attaccante, cresciuto in patria nell’Emelec, ha “ribaltato” l’Honduras, si aggiungono a quello segnato contro la Svizzera e ad un repertorio che indica come le squadre a caccia di una punta scaltra e veloce, debbano fare in fretta a telefonare al suo procuratore.

Dopo Spagna '82, l'Honduras si è "sbloccato" in un Mondiale
Dopo Spagna ’82, l’Honduras si è “sbloccato” in un Mondiale

52. Una delle nostre storie riguardanti le partite d’esordio si è rivelata profetica. Nel segno di “di padre in figlio”, Carlo Costly è tornato a fare gol per l’Honduras in un Mondiale dopo 32 anni. L’ultima volta, in Spagna, in squadra c’era il padre di Carlo, Anthony: la vera dinastia del calcio in Honduras.

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#Contromondiali Fabio Belli

#Contromondiale 03: #Svizzera, #Formaggio, #Francia, #Honduras 82, #tikitaka, #SashaGrey, #Pirlo, #GoalLineTechnology

di Fabio Belli

Svizzera – Ecuador 2-1

I copricapi dei tifosi svizzeri hanno preso in contropiede anche i brasiliani, notoriamente pronti a tutti in fatto di kitsch
I cappelli dei tifosi svizzeri hanno preso in contropiede anche i brasiliani, notoriamente pronti a tutti in fatto di kitsch

16. La prima formazione dell’America centro-meridionale che non sfrutta il fattore campo “continentale” (l’Uruguay non conta essendo stato sconfitto dalla Costa Rica) è l’Ecuador, che perde in maniera a dir poco rocambolesca, per un gol di Seferovic, contro la Svizzera. Che nonostante la distanza, sfoggia in tribuna alcuni dei tifosi più colorati del Mondiale. Sull’eleganza stendiamo un velo pietoso… Il sogno per Behrami e compagni resta migliorare la performance di tutti i tempi, i quarti di finale raggiunti in casa nel ’54. In tempi recenti, per gli elvetici ottavi di finale nel 1994 e nel 2006.

Francia – Honduras 3-0

Anthony Costly: il suo Honduras è stato l'ultimo a fare punti in un Mondiale, il figlio vuole riprovarci
Anthony Costly: il suo Honduras è stato l’ultimo a fare punti in un Mondiale, il figlio Carlos vuole riprovarci

17. Partita ricchissima di particolarità, sebbene sul piano tecnico sia stata forse la più lineare di Brasile 2014: pronostico rispettato con la “quasi tripletta” di Benzema, ed Honduras a secco di gol nei Mondiali da Spagna ’82. In quella formazione c’era il padre di Carlos Costly, Anthony: il figliolo sogna di ripercorrere le orme paterne e tornare a fare punti in un Mondiale. Dicevamo delle particolarità: si è cominciato senza inni nazionali, quindi il secondo gol transalpino è stato utile per testare sul serio la “goal technology”: per la prima volta un pallone sulla linea è stato valutato con l’aiuto della tecnologia. Le polemiche, se possibile, sono addirittura aumentate… ma il gol (anzi, l’auto gol del portiere honduregno) è stato convalidato.

Rimasugli di Inghilterra – Italia 1-2

No words...
No words…

18. C’è bisogno di aggiungere altro?

Rimasugli di Spagna – Olanda 1-5

Gli eroi del tiki-taka stanno invecchiando...
Gli eroi del tiki-taka stanno invecchiando…

19. La stampa iberica ha enfatizzato il clamoroso risultato di venerdì, tra delusione (la prima pagina tutta nera di “Marca”) ed esortazioni al riscatto. Dopo due titoli europei e uno mondiale, c’è comunque anche voglia di ridere sulla prima vera debacle del calcio spagnolo da otto anni a questa parte. E così dal tanto celebrato tiki-taka, in molti ipotizzano si sia passati al “taca-taca”… ovvero, all’arrancare per sopraggiunti limiti di età.

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Fabio Belli Le Finali Mondiali

2006: Italia-Francia 6-4 dcr. Il colpo di testa che cambiò un copione già scritto

di Fabio Belli

Durante la lunga rassegna Mondiale con i racconti delle finali, abbiamo già parlato degli incroci del destino che spesso, davvero per un soffio, non hanno provocato sorprese epocali. Il binario della Coppa del Mondo è sempre sembrato predefinito, come guidato dalla mano invisibile della storia. Se il tiro di Hurst nel ’66 è finito dentro, e quello di Rensenbrink nel ’78 fuori, dopo aver colpito un legno a portiere battuto, non sembra un casualità. La Francia nel ’98 prima della finale sarebbe potuta uscire di scena, per un nulla, nei tre turni precedenti ad eliminazione diretta. Eppure alla fine tutto è andato così come si pensava dovesse andare. Nel 2006 invece, la finale ha scritto un copione completamente diverso da quello che gli Dei del calcio sembravano aver preparato.

Cannavaro alza la Coppa nella notte di Berlino
Cannavaro alza la Coppa nella notte di Berlino

L’edizione tedesca, stavolta in una Germania unita, come non era accaduto nel ’74, sembrava essere diventata la passerella d’addio perfetta per un grande campione della storia del calcio: Zinedine Zidane. Che dopo il trionfo del ’98, aveva preannunciato il suo ritiro alla fine del suo terzo ed ultimo Mondiale. Giocato divinamente, non appena i ritmi si erano alzati. Partita super contro la Spagna negli ottavi, addirittura leggendaria nei quarti contro il Brasile, fuori dalla finale dopo sedici anni, perfetta contro il Portogallo, per la seconda volta nella sua storia tra le semifinaliste. Mai nell’ultimo quadriennio Zizou aveva giocato così: dopo la Champions League conquistata con il Real Madrid nel 2002, la sua carriera aveva preso un lento declino, ma nell’ultimo grande appuntamento si era ridestato dal suo sonno. E aveva svegliato tutta una squadra impigrita, che fino alla partita contro il Togo aveva rischiato di nuovo l’eliminazione al primo turno, come nel 2002.

Dall’altra parte, un’Italia che a sua volta sembrava seguire lo spartito del 1970 e del 1994: partenza in sordina (stavolta era stato il ciclone “Calciopoli“, costato addirittura la retrocessione in B alla Juventus, a sconvolgere la vigilia azzurra), e poi crescendo culminato con una grande impresa in semifinale. La vittoria in casa dei tedeschi a Dortmund: Germania che proprio dal 1970 sconta un complesso quarantennale verso gli azzurri, nel quale i gol di Grosso e Del Piero alla fine dei tempi supplementari ricoprono un ruolo di primo piano. L’Italia in realtà porta ai Mondiali una generazione che, dopo aver mancato clamorosamente i Mondiali di quattro anni prima, ha l’ultima occasione per lasciare un segno tangibile nella storia del calcio. I Buffon, Nesta, CannavaroTotti, Del Piero, Filippo Inzaghi, Toni, di cui per anni si è detto meraviglie, senza che ne conseguisse un trionfo tangibile per la Nazionale. Il materiale per vincere c’è, ma come spesso avviene per i colori azzurri, tra il dire e il fare le variabili sono molte.

Nesta infatti si infortuna per l’ennesima volta in Nazionale; Totti è reduce da un grave incidente che per un soffio non gliel’ha proprio fatto saltare il Mondiale. Del Piero e Inzaghi parono dalle retrovie, e Toni, dopo anni passati a segnare a valanga con Palermo e Fiorentina, non trova il gol, un po’ alla Paolo Rossi. E la doppietta contro l’Ucraina resterà un pezzo unico. Attorno ad un Fabio Cannavaro da leggenda, che a fine stagione sarà anche insignito del Pallone d’Oro, emergono però dei protagonisti inattesi. Fabio Grosso, che con una discesa pazzesca rimedia il rigore-risolutore contro l’Australia negli ottavi, e segna il gol che fa crollare le certezze tedesche e zittisce gli 80.000 del Westfalenstadion di Dortmund. E Marco Materazzi, che di Nesta prende il posto contro la Repubblica Ceca, e che giocherà un Mondiale al di sopra di ogni previsione.

Complice anche la stanchezza per i supplementari contro i tedeschi, la finale è più a tintebleus” che azzurre. Zidane mette subito la sua firma trasformando alla “Panenka” un rigore che per poco non finisce però al di qua della linea. Nel primo tempo però l’Italia reagisce dimostrandosi squadra vera. Prima Marco Materazzi sale altissimo, e di testa pareggia. Quindi Toni timbra la traversa. La squadra di Domenech accorcia le distanze tra i reparti, e le secondo tempo, dopo la fiammata di un gol annullato a Toni, c’è un crescendo francese che culmina in una parata che ha dell’incredibile di Buffon su un’inzuccata formidabile di Zidane.

La testata di Zidane a Materazzi
La testata di Zidane a Materazzi

Sembra davvero tutto scritto: dopo la grande festa in semifinale, l’Italia sembra andare incontro verso l’ennesima delusione, soprattutto perché all’orizzonte ci sono quei rigori che hanno visto gli azzurri sempre sconfitti negli ultimi 26 anni, fatta eccezione per l’Europeo del 2000. E’ invece un colpo di testa di Zidane a cambiare la storia: ma non quello sventato miracolosamente da Buffon, ma quello rifilato a Materazzi, sempre lui, per un’offesa che porta improvvisamente la finale dei Mondiali in uno scenario di partitella tra ragazzini di 10 anni in periferia. Accade anche questo, e il re del calcio di quella fase storica del Football, esce di scena come non avrebbe fatto forse nemmeno con gli amichetti in Algeria nella prima infanzia.

La storia cambia in quel momento, per un colpo di testa che non va a segno, ed un altro che colpisce un bersaglio illecito, il petto di Materazzi, in Mondovisione. Guai a stuzzicare il destino: senza il suo leader in campo, la spinta della Francia si spegne. Si va ai rigori, dove accade qualcosa di mai visto: gli azzurri ne segnano cinque su cinque (ovviamente tirano anche Materazzi e Grosso, gli uomini del destino), la Francia sbaglia con Trezeguet e gli Champs Élysées gremiti durante la partita si svuotano in un lampo. Un trauma, anche per il presidente della FIFA Blatter che preferisce restare a consolare Zidane nello spogliatoio, invece di premiare gli azzurri. Segno che il copione scritto era un altro: ma per fortuna delle milioni di persone che affollano le piazze italiane per tutta la notte, in un revival speciale ed inatteso di Spagna ’82, il calcio ogni tanto ama anche improvvisare.

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Fabio Belli Le Finali Mondiali

1970: Brasile-Italia 4-1. Il giallo di quei sei minuti finali

di Fabio Belli

Una finale non necessariamente è la partita simbolo di un’edizione dei Mondiali. Ci sono match che prima dell’atto conclusivo diventano diventano comunque icone per una generazione. Pensi a Messico ’70, ad esempio, ed è sin troppo facile dire Italia-Germania Ovest 4-3. Quei supplementari, con i calciatori completamente impallati dalla stanchezza e dalla mancanza d’ossigeno dovuta all’altura, fecero scoprire un modo emozionante e diverso di vivere il calcio, e soprattutto di ritrovarsi intorno al tricolore, ad una Nazione che dopo la guerra si vergognava di certi sbotti di patriottismo. Ed il calcio non aiutava di certo ad invertire la tendenza, visto che dopo il tragico schianto del Grande Torino, la Nazionale azzurra rimediò quattro eliminazioni al primo turno e una mancata partecipazione in venti anni di Mondiali.

C’è persino una targa all’Azteca, a ricordare ad imperitura memoria che quella partita si giocò proprio , e che dopo un 1-1 non memorabile, Poletti deviò su Muller, Burgnich segnò (ed era già un avvenimento), Riva tornò Riva, Rivera fece segnare di nuovo i tedeschi perché si addormentò sulla linea di porta, e un minuto dopo a sua volta realizzò il gol che, con quello di Tardelli nel 1982 e quello di Grosso nel 2006, è sicuramente nella top 3 dei tifosi azzurri di tutti i tempi. Ma all’Azteca si giocò anche una delle finali tecnicamente e tatticamente più importanti della storia del calcio. Solo che il punteggio (eccessivamente sbilanciato) la fece erroneamente interpretare come una passerella dei più forti ai danni di chi aveva già dato tutto, in quella semifinale leggendaria.

Pelé in trionfo: nel 1970 la "Rimet" diventa proprietà del Brasile
Pelé in trionfo: nel 1970 la “Rimet” diventa proprietà del Brasile

Ma Brasile-Italia 4-1 fu il confronto tra due scuole di football che da un secolo ormai si fanno molto male quando si scontrano. L’Italia su sei finali Mondiali disputate, ne ha perse due, entrambe contro la Selecao; che a sua volta, nel 1938 e nel 1982, si è vista “bruciare” dagli azzurri quelle che sono considerate le due squadre più belle dell’epoca antica prima e moderna poi del calcio. Quella di Leonidas, lasciato inspiegabilmente a riposo dopo un 6-5 contro la Polonia negli ottavi e gli sforzi nei quarti, e quella di Socrates, Zico, Falcao, Junior, Cerezo… troppo, tutto insieme. Quella finale invece è stata perfetta solo per 45’: ci furono uno dei più bei gesti atletici della storia del calcio, il colpo di testa in sospensione di Pelé, che arrivò a far dire a Burgnich di trovarsi di fronte a un semidio (“pensavo fosse fatto di carne e ossa come tutti noi, ma non è così” fu la frase). E la conferma che l’Italia non era in finale per caso: una squadra perfettamente orchestrata, nella quale Rosato era diventato l’uomo della provvidenza in difesa, e nella quale si intendevano Riva e Boninsegna, che erano un po’ come cane e gatto, ma che in azzurro avevano trovato una complicità tale che, quando proprio “Bobo” pareggiò, tutti cominciarono a pensare che il miracolo fosse possibile.

Mazzola e Rivera, protagonisti della "staffetta" messicana
Mazzola e Rivera, protagonisti della “staffetta” messicana

Come detto però, l’Italia di Valcareggi, che a 30 anni esatti dal trionfo di Colombes era tornata ad assaggiare la gloria internazionale negli Europei vinti in casa nel 1968, era una macchina legata a meccanismi precisi. E se Rosato aveva preso bene il posto di Niccolai, infortunatosi nella prima partita contro la Svezia, e Boninsegna aveva sopperito all’assenza improvvisa di Anastasi (una storia nella storia: l’eroe di Euro ’68 dovette saltare la trasferta messicana per uno scherzo del massaggiatore Tresoldi, che lo colpì al basso ventre costringendolo ad un’operazione a un testicolo), la “staffetta” tra Mazzola e Rivera divenne a sua volta un ingrediente imprescindibile. Il problema era che Valcareggi era riuscita a interpretarla bene solo nei quarti di finale. Rivera era stato protagonista di una polemica infuocata con il capo-delegazione azzurro Mandelli, e aveva in pratica saltato in castigo tutta la prima fase. Quando l’Italia si ritrovò a giocare i quarti contro gli indiavolati padroni di casa messicani, il CT buttò dentro dopo l’intervallo il milanista in luogo di Mazzola, più centrocampista ma meno dedito alla manovra d’attacco. Fu un trionfo, tanto che si sbloccò pure Riva, che a quella squadra serviva come il pane come terminale offensivo, con una doppietta.

Contro la Germania Ovest, la Nazione era anestetizzata dal trionfo, e non capì che la “staffetta” fu un mezzo disastro. Dopo un primo tempo nel quale l’Italia trovò gol, contenimento e ripartenza, l’ingresso di Rivera alleggerì troppo il centrocampo, e la ripresa si risolse in un assedio teutonico culminato nel pari in extremis di Schnellinger. Poi lo spettacolo dei supplementari, ed il gol vittoria proprio di Rivera, zittirono ogni possibile critica. Ma Valcareggi si era accorto della metamorfosi della squadra, e proprio quando l’Italia intera pregustava il faccia a faccia Rivera-Pelé, nel secondo tempo della finalissima si ripresentò in campo con Mazzola. Il CT era soddisfatto della tenuta della squadra contro un avversario che in sostanza schierava cinque funamboli (Pelé, Jairzinho, Tostão, Rivelino e Gerson) sostenuti da un mediano che da qualunque altra parte avrebbe fatto il trequartista per qualità e vocazioni offensive, Clodoaldo.

A giochi fatti, viene facile da dire che fu una valutazione sbagliata. La fantasia di Rivera poteva rivelarsi utile negli spazi e nelle ripartenze, per innescare soprattutto Riva. Invece col passare dei minuti i supplementari coi tedeschi pesarono come macigni sulle gambe azzurre, e quando Gerson riportò avanti il Brasile, semplicemente si ruppero gli argini. Rivera, muto come un pesce in panchina, osservò i compagni di squadra soccombere, e dopo il 3-1 di Jairzinho non vide Valcareggi rivolgergli alcun gesto. Quando ormai pensava che la scelta era fatta, e che non avrebbe partecipato al match, a sei minuti dalla fine gli fu ordinato di entrare.

Resta uno dei grandi misteri della storia della Nazionale, mai chiarito da Valcareggi: cosa potesse fare Rivera in soli sei minuti è ignoto a tutti a oltre 40 anni di distanza, tanto che appena entrato, l’Italia subì da Carlos Alberto il 4-1, in un’azione splendida, una vera sinfonia con apertura di gioco di Pelé da restare a bocca aperta. E mentre “O’Rey” diventava il padrone della Coppa Rimet (assegnata definitivamente al Brasile, come prima squadra capace di vincerla per tre volte) e del calcio mondiale, tutti si chiesero se quei sei minuti finali avessero il sapore dell’umiliazione per Rivera, o se Valcareggi si fosse colpevolmente accorto di essersi “dimenticato” del suo asso nella manica sul 3-1, e avesse voluto comunque concedergli l’ebrezza di scendere in campo in una finale mondiale. Che fu un errore, in ogni caso, se ne accorse tutta la delegazione azzurra, salutata al ritorno in patria da un fitto lancio di ortaggi, quando il trionfo sui tedeschi lasciava pensare ad un’accoglienza da eroi, comunque fosse andata la finale. Tanto volubili sono però gli animi dei tifosi italiani, se ne accorsero i ragazzi del ’70 e se ne accorgeranno, dodici anni dopo, quelli dell’82, pur anche, per loro fortuna, in maniera del tutto inversa.

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Le Finali Mondiali Valerio Fabbri

1938: Italia-Ungheria 4-2. Il calcio come la guerra, la guerra come il calcio

di Valerio Fabbri

Nel 1938 l’Italia di Vittorio Pozzo conquista la seconda finale mondiale consecutiva, che porterà anche il terzo trofeo in bacheca, dopo il Mondiale del 1934 e l’oro olimpico del 1936 a Berlino. E’ un Mondiale atipico per la situazione politica in Europa che e’ in procinto di esplodere, rinviando al 1950 la successiva edizione. La Guerra civile in Spagna ha escluso una favorita del torneo. Lo stesso vale per l’Austria. L’invasione militare nazista di marzo e la conseguente annessione al Terzo Reich pongono la parola fine al Wunderteam di Hugo Meisl, maestro del calcio danubiano che aveva elaborato una sintesi fra il sistema di Herbert Chapman e il metodo del suo amico Pozzo. Il torneo si svolge in Francia, e questa scelta suscita irritazione tra i sudamericani, che volevano disputare il torneo nel loro continente. Il risultato e’ che anche Argentina e Uruguay non partecipano. Per la prima volta poi i padroni di casa e la squadra campione in carica accedono di diritto alla fase finale, che dura solo due settimane (4-19 giugno).

Il trionfo azzurro a Colombes
Il trionfo azzurro a Colombes

All’esordio nello stadio di Marsiglia gli azzurri sono contestati per il saluto romano, ma sui giornali italiani la notizia viene nascosta. Mai come in questa occasione la Nazionale e’ considerate l’emblema della dittatura fascista, e dagli esuli antifascisti presenti sulle gradinate piovono insulti in tutti i dialetti della penisola. Il commissario Pozzo, convinto patriota che aveva combattuto nella Grande Guerra sul fronte orientale, ha vita facile a giocare la carta del “soli contro tutti”, per ragioni calcistiche più che politiche. Una strategia che, mutatis mutandis, si ripeterà per i Mondiali del 1982 e del 2006, peraltro con simili risultati. Quell’episodio costituisce un mattone pesante sulla costruzione della vittoria finale.

Silvio Piola
Silvio Piola

E’ Peppino Meazza il capitano e la stella della formazione italiana – “una ragazza per Meazza”, si cantava a San Siro per esaltarlo, idolo dentro e fuori dal campo in un’Italia che era già ripiegata nelle curve dell’autarchia, pur essendo convinta di essere l’avanguardia di un nuovo modello politico. Nei fatti non è Meazza, campione anche di sregolatezza, a influire sulla vittoria finale. Sono il laziale Silvio Piola (5) ed il triestino Gino Colaussi (4) a realizzare i gol che portano al trionfo la formazione azzurra. schierata con il piu’ classico metodo pozziano, caratterizzato da una robusta difesa e rapidi contropiede, che trova la sua perfezione nella semifinale contro il Brasile (2-1).

Tuttavia l’esaltazione fascista della superiorità italica non trova riscontro nei fatti, che di lì a breve, collimeranno con la realtà. Gli italiani sono costretti a raggiungere Parigi per la finale con un treno notturno, dove le cuccette non sono sufficienti ad ospitare tutti gli azzurri. C’e’ quindi apprensione per la finale. La partita contro l’Ungheria, altra espressione del calcio danubiano che, a differenza dell’Austria, continuerà a sfornare grandi calciatori anche nel dopoguerra, costituisce uno dei grandi classici del calcio europeo di quegli anni. Dopo averli subiti ad inizio secolo, da una decina d’anni l’Italia supera con regolarità la formazione magiara. Guida in mezzo al campo e capitano degli ungheresi è György (Giorgio) Sárosi, di madre italiana, futuro allenatore in Italia nel dopoguerra, considerato al pari di Meazza e dell’austriaco Sindelar il miglior calciatore della sua epoca.

La partita però è a senso unico. Dinanzi ai sessantamila di Colombes, gli azzurri dominano dall’inizio alla fine, con doppiette di Colaussi e Piola e gol ungheresi di Titkos e Sárosi. Come disse Winston Churchill, gli italiani “vanno alla Guerra come se fosse una partita di calcio, e vanno a una partita di calcio come fosse la Guerra”. Per i tifosi italiani, nella penisola e non solo, è tripudio. Per la dittatura una boccata d’ossigeno, un vessillo da manipolare in nome della propaganda fascista, insieme alla vittoria di Gino Bartali pochi giorni dopo al Tour de France. Le rivincite sul fascismo andranno prese sul terreno dovuto, nel calcio non se ne parla.

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Calciatori Fabio Belli

David Odonkor: too fast to live

di Fabio Belli

Una carriera può consumarsi più veloce di una fuga sulla fascia: ma nel calcio minuti e centimetri sono tutto, e non c’è bisogno di scomodare il discorso di Al Pacino in “Ogni Maledetta Domenica”. David Odonkor, ghanese di nazionalità tedesca, ha vissuto la sua vita nel mondo del calcio all’insegna della velocità estrema, ed ha vissuto le due facce della medaglia della rapidità.

David-OdonkorTroppo veloce per gli avversari, troppo veloce nel consumare la sua esperienza nel mondo del pallone: Odonkor si è ritrovato a giocare una semifinale del campionato del mondo e pochi mesi dopo tra i dilettanti, cercando di recuperare una corsa che non era più quella dei tempi belli. Maledizione dei giocatori che fanno della rapidità il loro cavallo di battaglia, destinati ad un declino precoce una volta perso lo scatto dei vent’anni, che permetteva di rubare le frazioni di secondo decisive agli avversari.

Ma ritrovarsi in un campetto di periferia dopo aver avuto addosso gli occhi di una nazione intera, anzi due, anzi di buona parte del mondo conosciuto che il pallone lo segue con passione, è dura. E’ accaduto in quel luglio del 2006, nella tiepida estate tedesca nel quale gli azzurri restituirono lo sgarbo del Mondiale vinto in casa altrui. Dopo il 1990, arriva il momento dell’epopea dei Grosso, dei Materazzi, dei Pirlo e dei Cannavaro. Di Buffon che para tutto. E quando Fabio Grosso infila quel pallone alle spalle di Jens Lehmann a meno di due minuti dalla fine dei tempi supplementari, il Westfalenstadion di Dortmund e la Germania intera si sente venir meno.

Lo spirito indomito tedesco nel calcio è proverbiale, ma stavolta sembra davvero troppo tardi. L’Italia sfoggia una difesa imbattibile, con Fabio Cannavaro futuro Pallone d’Oro. Ma per una frazione di secondo, gli azzurri tornano a tremare, e i sogni tedeschi di rimaterializzano sulla fascia destra. Odonkor sfrutta la prestanza atletica, e si esibisce in un’accelerazione incredibile. E’ un attimo, simbolo della rapidità con cui si consuma una carriera intera. Poi proprio Cannavaro sbroglierà la situazione, e darà via al leggendario contropiede del 2-0 che spalancherà per l’Italia le porte della finale di Berlino.

“Too fast to live is the stupidest saying i’ve heard in my life”, recita una canzone. Vaglielo a dire ad Odonkor, ad una carriera fatta di attimi abbaglianti vissuti sempre troppo velocemente. Al Betis Siviglia, che da Denilson in poi sembra un palazzo dei sogni infranti, i problemi muscolari lo mettono definitivamente ko, dopo che tra Borussia Dortmund e Mondiali, a 22 anni sembrava in grado di iniziare finalmente la sua carriera, una volta per tutte. Si ritrova tra i dilettanti, poi prova a ripartire dall’Aachen, serie C tedesca. Ma i guai fisici non gli danno tregua, oltre ai muscoli troppo sollecitati dagli scatti, lo tradiscono anche entrambe le ginocchia. E a 29 anni arriva il ritiro, dopo essere finito a giocare in Ucraina, nell’Hoverla. Da una fine ingloriosa e troppo veloce almeno nasce un nuovo inizio, la carriera da allenatore: da vivere stavolta con la maggiore calma possibile.

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Club Fabio Belli

La “Fatal Verona”, da quarant’anni incubo rossonero

di Fabio Belli

Nereo Rocco, Arrigo Sacchi e Massimiliano Allegri. Tre nomi di tecnici accomunati da un destino: quello di essere entrati nella storia del Milan grazie agli scudetti conquistati (ed anzi il “paròn” e il mago della zona hanno anche vissuto la consacrazione della Champions League), ma anche di essersi ritrovati di fronte a quella che per i tifosi rossoneri, è la nemesi per eccellenza: la “Fatal Verona“. E dire che con gli scaligeri assenti dalla Serie A negli ultimi undici anni, l’ultimo precedente era stato felice: anno 2002, gol di Andrea Pirlo alla penultima giornata che garantisce di fatto al “diavolo” la partecipazione alla Champions League dell’anno successivo: che il Milan vincerà. Fine di un incubo dunque? Neanche per sogno

milanTutto iniziò il 20 maggio del 1973: quattro giorni prima a Salonicco il Milan battendo il leggendario Leeds di Don Revie si era assicurato il trionfo europeo in Coppa delle Coppe, in una durissima finale. Ma la doppietta era alla portata: all’ultima giornata di campionato, in un Bentegodi invaso dai tifosi rossoneri, il Milan si presenta primo in classifica, con un punto di vantaggio su Lazio e Juventus. Una vittoria significherebbe scudetto. Ma i rossoneri sono agonisticamente sfiancati dalla battaglia greca, ed il Verona, sfrontato e per nulla demotivato dal non avere più obiettivi di classifica, si scatena andando in gol tre volte in mezz’ora, grazie a Sirena, un’autorete di Sabadini e Luppi. Rosato accorcia prima dell’intervallo, mentre l’Olimpico di Roma ed il San Paolo di Napoli, dove Juventus e Lazio stanno giocando, fremono alla possibilità di strappare un tricolore che sembrava già cucito sulle maglie rossonere.

Alla fine sarà cinque a tre, con gli ultimi due gol milanisti, segnati negli ultimi dieci minuti, a giochi già fatti. Uno psicodramma a tinte rossonere, mentre la Roma si fa arrendevolmente rimontare da una Juventus che aveva chiuso il primo tempo in svantaggio, forse per evitare complicazioni per uno scudetto che i rivali cittadini avrebbero comunque perso a causa del gol di Damiani a due minuti dal termine del match del San Paolo. Ed è la Juventus a festeggiare, così come diciassette anni dopo, toccherà al Napoli raccogliere l’inaspettato regalo in arrivo da Verona. Nell’anno dei Mondiali del 1990 il calcio italiano è al massimo del suo splendore, e il campionato è acceso dal testa a testa tra Napoli e Milan per il titolo. Le due squadre si presentano alla penultima giornata a pari punti, ma mentre il Napoli va a far visita ad un Bologna tranquillo, e vincerà senza problemi, il Milan si ritrova di fronte l’incubo Bentegodi ed una squadra nell’occasione affamata di punti salvezza.

E’ il grande Milan di Sacchi e degli olandesi, ed il Verona ha un piede e mezzo in Serie B: quando nel primo tempo Marco Simone sblocca il risultato per i rossoneri, lo spareggio sembra messo in cassaforte. Ma al Milan saltano i nervi e le gambe, come diciassette anni prima. Sacchi protesta per un rigore non concesso a Van Basten e viene espulso, mentre nel secondo tempo Pellegrini e Sotomayor ribaltano clamorosamente il risultato, mentre il Milan in preda ad una crisi isterica finisce la partita in otto per le espulsioni di Rijkaard, Van Basten e Costacurta. Lo scudetto prende la via di Napoli, tra lo stupore generale. Il resto è storia dei giorni nostri, con Luca Toni capace di ritrovare lo smalto dei tempi del Mondiale 2006, ed affondare dopo oltre un decennio di assenza dal massimo campionato dell’Hellas la squadra di Allegri. A quarant’anni di distanza dal “peccato originale“, la Fatal Verona resta un’ossessione per la Milano rossonera.

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Calciatori Fabio Belli Nazionali

Zidane vs Brasile 2006: l’ultimo “one man show” in un mondiale, prima che le roi Zizou perdesse… la testa

di Fabio Belli

Dici: Mondiali del 2006. E se sei italiano non puoi non pensare al rigore di Grosso, ai supplementari contro la Germania, al quarto titolo mondiale. Ma volgendo un occhio più “globalizzato” a quella rassegna, non si può negare come sia stata l’ultima a fornire determinati spunti ai cosiddetti romantici del calcio. Sicuramente è stata l’ultima ad offrire un “one man show” degno delle leggende del passato. E come in Argentina nessuno dimenticherà mai la performance di Maradona contro l’Inghilterra, in Olanda le evoluzioni di Crujyff contro il Brasile nel ’74, ed in Inghilterra la parata di Banks su Pelè nel ’66, quello che Zinedine Zidane mise in scena contro i verdeoro nei quarti di finale del 2006 resterà sempre nei cuori dei nostri cugini d’oltralpe e dei veri amanti del football.

La notte del 1 Luglio a Francoforte sul Meno la Francia arrivava all’appuntamento da assoluta sfavorita: il Brasile col suo schieramento a tutta fantasia affascinava, nessuno poteva schierare giocatori del calibro di Kakà, Emerson, Adriano e soprattutto Ronaldinho. La Francia del pittoresco allenatore Domenech invece era riuscita a superare la prima fase per il rotto della cuffia, tamponando un’emorragia di risultati che affondava le radici a 4 anni prima. Dopo aver conquistato il titolo mondiale in casa nel ’98 e quello europeo nel 2000 con Zidane stella della squadra, infatti, i blues uscirono di scena al primo turno da detentori nel 2002, per poi disputare nel 2004 un campionato d’Europa assolutamente anonimo. Zidane stesso sembrava avviato ad un inesorabile tramonto: dopo i successi in nazionale, era arrivata la Champions League vinta da protagonista con il Real Madrid nel 2002, ma poi Zizou si era adagiato sui ritmi del carrozzone madrileno, e prese così la decisione di annunciare il suo ritiro alla fine del Mondiale 2006.

Dopo una prima fase come detto anonima, arrivarono i primi segnali di risveglio negli ottavi contro la Spagna: è proprio Zidane a trascinare i suoi alla rimonta dopo lo svantaggio iniziale e sigla il 3-1 finale per la Francia. Ma è contro il Brasile, nella notte di Francoforte, che si materializza il capolavoro. Dopo appena 35” dal fischio d’inizio, con un gioco di gambe spettacolare, Zidane scappa via a tre avversari, due due quali sono Emerson e Kakà: le roi dimostra di voler fare sul serio, e proprio il duello con Kakà, che spesso ripiega a centrocampo cercando di contenerlo, regalerà le emozioni più forti. Nessun dribbling è banale, ogni giocata è illuminante, ogni lancio per le frecce Ribery ed Henry può spaccare in due la difesa brasiliana. E proprio dal piede di Zidane partirà la punizione perfettamente calibrata che permetterà a Thierry Henry di realizzare il gol della vittoria.

Una performance incredibile, alla quale solo le immagini possono rendere giustizia, e che avrebbe senz’altro regalato il secondo pallone d’oro della carriera a Zidane, se non fosse stato per la testata rifilata nella finalissima a Materazzi. Ma questa è una ben nota altra storia.