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Club Fabio Belli

Storia della Coppa dell’Europa Centrale, la “nonna” della Champions League (seconda parte)

di Fabio Belli

La finale del Prater del 1933 segna un periodo di massimo splendore per la Coppa dell’Europa Centrale. La competizione viene vista come un vero e proprio campionato d’Europa per club, e dal 1935 al 1938 le analogie con la Champions League di oggi aumenteranno. La formula si allarga a 16 squadre (addirittura 20 nel 1936) e partecipano non solo le squadre campioni nazionali, ma anche le migliori piazzate dei campionati d’Italia, Austria, Svizzera, Cecoslovacchia, Ungheria, Jugoslavia e nel 1937, anno di massima espansione del torneo, Romania. Il calcio italiano di pari passo vive un boom di popolarità con l’esplosione definitiva segnata dalla disputa in casa, con annessa vittoria, del Mondiale del 1934. La Juventus domina la scena nazionale, con 5 scudetti consecutivi (primato che sarà eguagliato in seguito solo dal Grande Torino) tra il 1931 e il 1935.

La Juventus del quinquennio d'oro
La Juventus del quinquennio d’oro

Ma la Coppa dell’Europa Centrale sembra profeticamente anticipare quello che sarà lo squilibrio tra i successi nazionali e quelli continentali della Vecchia Signora nella sua storia. La Juventus non supererà mai la semifinale della competizione: accadrà anche nel 1934 e nel 1935, con i bianconeri che in patria dominano, ma si vedono sbarrata la strada della semifinale da Admira e Sparta Praga, poi vincitrice nel 1935.

La "prima" europea del Napoli
La “prima” europea del Napoli

In queste edizioni e in quelle del 1936 e del 1938 l’Italia presenta quattro formazioni ai nastri di partenza. Nel 1934 e nel 1935 l’Ambrosiana Inter si ferma sempre agli ottavi, così come il Napoli (all’unica apparizione) e la Roma. All’esordio dei partenopei nel 1934, si aggiunge quello della Fiorentina nel 1935, che si arrenderà proprio allo Sparta Praga nei quarti dopo aver eliminato l’Ujpest. L’edizione che passa alla storia è quella del 1934 per l’Italia, perché sarà l’unica volta in cui una squadra trionferà in finale.

Quadro celebrativo del Bologna campione nel 1934
Quadro celebrativo del Bologna campione nel 1934

L’onore spetta al Bologna, che dopo la vittorie “d’ufficio” del 1932, fa il bis sul campo in un tiratissimo doppio confronto con l’Admira di Vienna. L’andata si gioca al Prater, con 50.000 austriaci che si esaltano per la clamorosa rimonta dei padroni di casa. Spivach e Reguzzoni portano i rossoblu sul 2-0, ma nel secondo tempo Stoiber, Vogl e Schall ribaltano clamorosamente il risultato. Il ritorno si gioca a quattro giorni di distanza, il 9 settembre del 1934 allo stadio del Littoriale, che poi diventerà il Renato Dall’Ara, dove il Bologna si è trasferito dopo aver lasciato il leggendario “Sterlino”, casa dei felsinei dal 1913 al 1927. E nascerà una leggenda: il 5-1 con cui gli emiliani conquistano la coppa (con tripletta di Reguzzoni) è il primo atto ufficiale della squadra “Che Tremare il Mondo Fa”, Campione d’Italia nel 1936, nel 1937, nel 1939 e nel 1941.

Meazza capocannoniere d'Europa
Meazza capocannoniere d’Europa

Nel 1936 (unica edizione a ben 20 squadre) la prima europea del Torino si risolve in un ko agli ottavi contro l’Ujpest dopo aver superato nel turno preliminare gli svizzeri del FC Bern. Subito fuori anche il Bologna, mentre la Roma, alla sua terza e ultima partecipazione, uscirà ai quarti contro lo Sparta Praga. I ceki supereranno anche l’Ambrosiana Inter in semifinale, nell’anno in cui Giuseppe Meazza si laureerà capocannoniere d’Europa con 10 gol. La vittoria finale andrà però per la seconda volta all’Austria Vienna.

Per rivedere una squadra italiana in finale bisognerà attendere l’anno successivo. Le partecipanti scendono di nuovo a 16, ma le nazioni partecipanti sono 7: massimo storico, con la popolarità del torneo che sfiora quelle delle attuali coppe europee. Cade subito il Bologna negli ottavi, avanza ai quarti il Genoa, iscritto in quanto vincitore della Coppa Italia, ma nei quarti di finale il Ministro degli Interni di Mussolini rifiuta di ospitare l’Admira a Genova, dopo l’andata terminata 2-2, per le proteste anti-italiane avvenute a margine della partita di andata. Come avvenne nel 1932, doppia squalifica: a beneficiarne allora fu il Bologna proclamato campione, stavolta fu la Lazio a ritrovarsi qualificata direttamente alla finalissima.

Polemiche dopo la partita d'andata tra Ferencvaros e Lazio nel 1937
Polemiche dopo la partita d’andata tra Ferencvaros e Lazio nel 1937

La squadra costruita dall’ingegner Eugenio Gualdi aveva conteso lo scudetto al Bologna la stagione precedente: Silvio Piola è il fiore all’occhiello di una formazione fortissima, la cui caratura internazionale viene confermata dalle vittorie contro Hungaria FC (che poi divenne MTK Budapest, la squadra del grande Hidegkuti) e Grasshopper. Di fronte però c’è un’altra squadra-mito degli anni ’30: il Ferencvaros di Gyorgy Sarosi, che a fine carriera conterà 351 gol in 382 apparizioni in maglia biancoverde, oltre a 42 centri in 62 gettoni in nazionale. L’Europa attende la sfida Piola contro Sarosi, e così sarà. Nell’andata a Budapest, il 12 settembre 1937, l’ungherese ruba la scena con una tripletta. Piola va a segno, ma finisce 4-2 per il Ferencvaros. La prima finale europea di club a Roma richiama comunque allo Stadio Nazionale molto pubblico, circa 20.000 spettatori nonostante il tempo inclemente, il 24 settembre del 1937. La Lazio subito in vantaggio con Costa, si vede gelata da una doppietta di Sarosi, anche se il pubblico si inferocisce per il rigore del momentaneo 1-1. L’impresa sembra impossibile, ma mezz’ora dopo la Lazio conduce 4-2! Sale in cattedra Piola con una magnifica doppietta, poi segna Camolese al 35′. 2′ dopo però Geza Toldi rimette la sfida in vantaggio per i magiari.

La finale Lazio-Ferencvaros celebrata dalla stampa ungherese
La finale Lazio-Ferencvaros celebrata dalla stampa ungherese

Si gioca sotto una pioggia battente: la Lazio sente vicina la realizzazione di un’impresa, ma il terreno pesante favorisce il calcio atletico degli ungheresi: nella ripresa vanno a segno Lazar e di nuovo Sarosi negli ultimi 20′, Piola sbaglia un calcio di rigore e il pubblico romano applaude uno spettacolo che si era visto solo con i Mondiali. Nelle stagioni successive, i venti di guerra iniziano a minare la regolarità del calcio. L’edizione del 1938 è l’ultimo vero Campionato d’Europa per club d’altri tempi: lo vince per la prima volta lo Slavia Praga in finale col Ferencvaros. Il Milan, alla prima partecipazione, esce agli ottavi, l’Inter ai quarti, ma in semifinale ci sono due italiane. La Juventus cade ancora in semifinale, un vero tabù, contro il Ferencvaros, il Genoa crolla a Praga (0-4) contro lo Slavia, dopo che il 4-2 dell’andata aveva fatto soffiare vento di finale per i rossoblu.

La finale dell’anno successivo, tutta ungherese tra Ujpest e Ferencvaros, non si disputerà: il settembre del 1939 significa guerra per la storia dell’Europa. La Coppa va in soffitta, tornerà in varie salse come Mitropa Cup, ma senza il seguito dell’epoca: negli anni ’80 la declassazione a coppa europea dei campioni di Serie B ne segnerà il declino, fino allo stop definitivo all’alba degli anni 90. Ma i ricordi degli anni ’30 restano indelebile, per quella che è stata l’unica vera vetrina internazionale per i campioni dell’epoca.

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Andrea Rapino Le Finali Mondiali

1934: Italia-Cecoslovacchia 2-1 dts. Il record ineguagliabile di Luisito Monti

di Andrea Rapino

Lothar Matthäus si gustò la sua bella rivincita nella notte magica dell’Olimpico, così come fece Ronaldo a Yokohama nel 2002. L’elenco di giocatori che hanno alzato al cielo la Coppa del Mondo al secondo tentativo è lungo. Nella lista ce n’è però uno solo che può vantare un record singolare.

Nazionale_di_calcio_dell'Italia_-_Mondiali_1934Ovvero, Luis Felipe Monti, centromediano classe 1901, figlio di emigrati romagnoli in Argentina che nel 1930 s’è accontentato del secondo gradino del podio con la casacca dell’Albiceleste, e che nel 1934 si riscatta con la nazionale di Vittorio Pozzo.
Monti nasce a Buenos Aires, e si distingue soprattutto nel San Lorenzo, dove in otto anni gioca oltre 200 partite e porta a casa tre titoli nazionali. A farlo cedere al richiamo delle sirene italiane nel 1931 è la Juventus che sta infilando cinque scudetti consecutivi. Le porte della Penisola per gli stranieri sono chiuse, ma Monti e altri campioni sudamericani entrano dalla finestra grazie all’escamotage dell’italianizzazione sportiva. Nel 1931 disputa la sedicesima partita con la selezione argentina, e già l’anno successivo scende in campo nel primo dei suoi 18 incontri in maglia azzurra.

Non è il solo ad arrivare dall’altra sponda dell’Oceano tra i campioni del ’34. Di quella squadra si ricorda anche Enrique Guaita, attaccante non ancora 24enne da poco approdato alla Roma e subito stella giallorossa, in seguito “stroncato” dalla rocambolesca fuga notturna che nel 1935 lo riporterà in Argentina, spinto dalla paura per la chiamata alle armi per la campagna etiopica. C’è poi Raimundo Bibiani Orsi, che la Juventus ha condotto in Italia già da qualche anno, e che con l’Argentina ha perso la finale di Parigi del 1928, quando l’Olimpiade difatti assegnava la palma di selezione più forte del pianeta.

Luisito Monti in maglia bianconera
Luisito Monti in maglia bianconera

Monti però nei Mondiali italiani ha qualche motivo in più degli altri per essere assetato di rivincita, perché l’appuntamento col tetto del Mondo l’ha saltato due volte: ha perso sia la finale olimpica di Parigi ’28, sia quella del ’30 a Montevideo, dove tra l’altro è stato uno dei calciatori argentini che ha ricevuto minacce di morte alla vigilia della sfida con l’Uruguay. Inoltre si imbarcato per l’Italia bersagliato dalla stampa argentina che lo bolla subito come traditore, e torna a rinfacciargli proprio la scarsa verve nella sfida decisiva al Centenario.

L’italoargentino, che grazie alla prestanza fisica si ritrova il nomignolo “doble ancho“, cioè “armadio a due ante”, non delude il commissario unico che ne ha fatto il perno della mediana azzurra. Pozzo lo schiera in tutte e cinque le partite, compresa quella finale: con lui, nell’allora Stadio Nazionale del Pnf, sono grandi protagonisti gli altri “doppi connazionali”. La Cecoslovacchia fa tremare gli azzurri portandosi in vantaggio a un quarto d’ora dal termine con Puč, ma subito dopo Orsi pareggia sfruttando un assist di Guaita. Ai supplementari è di nuovo Guaita a servire la palla, stavolta girata alle spalle di Plánička da Schiavio, che vale la Coppa Rimet. Per l’Italia è festa. Luisito non lo immagina, ma lui è entrato nella storia anche come unico calciatore ad aver giocato due finali con due Nazionali diverse: un primato che, con le regole attuali, nessuno potrà togliergli.

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Calciatori Fabio Belli

Silvio Piola, alfiere del calcio eroico degli anni ’30, tra Parigi e le imprese nei derby romani

di Fabio Belli

Sul dominio internazionale del calcio italiano negli anni ’30 si è parlato moltissimo, e spesso, soprattutto in relazione alle due vittorie nei Mondiali del 1934 e del 1938 della Nazionale azzurra, si è sottolineato come probabilmente anche presunti aiuti e le ingerenze politiche del regime fascista abbiano contribuito ad issare sul tetto del mondo il movimento calcistico italiano in quel decennio. Una interpretazione alquanto ingenerosa, considerando lo spessore dei calciatori dell’epoca. Una generazione di fenomeni, con Giuseppe Meazza a fare da trait d’union ad una parata di campioni che vide Schiavio, Orsi ed Attilio Ferraris trionfare nel 1934, e Ferrari, Biavati, Colaussi e Silvio Piola nel 1938.

contrastoProprio Colaussi e Piola, allo stadio di Colombes a Parigi, sigleranno una doppietta ciascuno che permetterà all’Italia nella finalissima contro l’Ungheria di confermare il titolo mondiale di quattro anni prima. In particolare Piola, nel 1938, ha venticinque anni ed è al massimo dello splendore della sua carriera. E’ stato portato alla Lazio dopo essere esploso nella Pro Vercelli, grazie agli ambiziosi piani del presidente Eugenio Gualdi, che vuole portare la formazione biancoceleste a sfidare lo strapotere delle grandi del Nord, con lo scudetto che all’epoca mai si è spinto a sud di Bologna. Giunto a Roma per l’allora cifra record di duecentocinquantamila lire, Piola porta la Lazio a vette mai raggiunte dall’avvento della Serie A a girone unico, fino al secondo posto del 1937, con lo scudetto vanamente conteso proprio al Bologna.

La stagione del mondiale consacra Piola tra i più grandi fuoriclasse in assoluto del calcio mondiale. Prima sfiora con la Lazio la conquista dell’allora unico trofeo internazionale per club, la Coppa dell’Europa Centrale. Un’antesignana della Champions per squadre italiane, austriache, svizzere, ungheresi, cecoslovacche, romene e jugoslave. Il top del calcio europeo di allora, testimoniato dal fatto che Italia, Austria, Cecoslovacchia, Ungheria e Jugoslavia arrivarono tra il 1930 ed il 1938 una o più volte tra le prime quattro del Mondiale. In una infuocata finale di ritorno all’allora stadio Nazionale (poi divenuto Flaminio), la Lazio manca l’alloro europeo al cospetto del Ferencvaros, nonostante tre gol di Piola tra andata e ritorno. Il titolo sempre sfuggito con la maglia biancoceleste, però, arriva come detto ai Mondiali parigini, che Piola chiude con cinque reti all’attivo, vicecapocannoniere alle spalle dell’asso brasiliano Leonidas.

Il rapporto con la Lazio va avanti, tanto che Piola resta ancora oggi il miglior marcatore della storia biancoceleste, con 142 reti in 227 incontri di campionato. Ma con le dimissioni di Gualdi dalla presidenza, la squadra biancoceleste non riesce più ad insidiare le grandi per il titolo, fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Ma al di là dei numeri Piola è entrato nel cuore dei tifosi della Lazio in due occasioni:  il 15 gennaio 1939, quando per la prima volta la Roma subisce l’onta della sconfitta in un derby giocato al campo Testaccio, con Piola nell’inedita veste di regista offensivo, ed il 16 marzo 1941, quando batterà i rivali cittadini praticamente da solo e gravemente ferito. Per quella sfida l’allenatore Canestri si trova ad affrontare una delicatissima situazione di classifica. Per giunta, al 10′, la ruota sembra girare a favore dei giallorossi quando Piola si scontra molto violentemente con il difensore avversario Acerbi: ferita profondissima alla testa, Piola perde molto sangue e, in un’epoca senza sostituzioni, se lasciasse il campo farebbe restare i suoi in dieci.

Piola resta a bordo campo più di un quarto d’ora, mentre gli assalti della Roma vengono respinti dal portiere Uber Gradella. Quindi, dopo quattro punti di sutura e la testa fasciata da un turbante, il capitano biancoceleste rientra in campo. E segna prima di testa (!), per poi raddoppiare nella ripresa, con i punti che non hanno retto ed il turbante inzuppato di sangue, al termine di una strepitosa azione personale, eludendo la guardia di due difensori. Roma-Lazio 0-2, Piola – Piola, e l’incubo retrocessione per i biancocelesti è scacciato, con il più grande centravanti dell’anteguerra che esce in barella, sfinito ed applaudito anche dai tifosi della Roma presenti allo stadio Nazionale, che rendono omaggio allo straordinario valore. E’ l’ultimo regalo di un leone che, a più di trent’anni, viene giudicato ormai al tramonto e viene lasciato tornare al nord. Ma il carattere dimostrato a campo Testaccio fa parte del DNA di Piola, che giocherà altri dieci anni, fino al 1954, e tra Juventus e Novara inanellerà altri 112 gol in Serie A, ancora oggi miglior marcatore di tutti i tempi del calcio italiano.