Sora 2001: un’impresa di Provincia che ha fermato il tempo

di Alessandro IACOBELLI

17 giugno 2001: il tempo si è fermato. Avevo 6 anni. Ricordo solo a sprazzi i caroselli e la gioia irrefrenabile di un popolo. La favola bianconera scritta con inchiostro e calamaio. Quando il calcio in riva al Liri era un vanto. Il canto del cigno nel paradiso che, qualche anno dopo, avrebbe conosciuto l’onta del fallimento.

Ero ancora piccolo appunto. All’alba del nuovo millennio mio padre decide di battezzarmi allo stadio. Le domeniche al “Tomei” erano tipiche e consuete. La comitiva si completava con zii, cugini e nonno. Sì proprio lui, che aveva i colori bianconeri nelle vene, ed ora osserva tutti dal cielo. Si va rigorosamente in curva “ferrovia”, lato sinistro, con sciarpe e bandiere al seguito. Ricordo l’odore irrespirabile dei fumogeni al momento dell’ingresso in campo delle squadre. Puzza che toglie il respiro, ma che carica il contesto del tifo di un fascino stupendo.

In estate, a dire il vero, lo scetticismo regnava sovrano. Si giungeva da una stagione a dir poco tribolata con la salvezza acciuffata a tempo ormai scaduto in quel di Tempio Pausania con la rete di Campanile. Tante, troppe le difficoltà palesate da una squadra che appare inadeguata e scadente per la C2. Ci danno per spacciati a destra e a manca. Il “maestro” Claudio Di Pucchio non si scompone. Rimane sempre concentrato, languido e tranquillo. Lui ed il patron Lillo Annunziata hanno creato una favolosa creatura che mai più si ripeterà. Ogni cittadino volsco dovrebbe perciò inchinarsi e baciare i piedi al Cavaliere.

Sul mercato, con il direttore sportivo Frasca, ci si muove con sagacia e senza eccessi. Il mister disegna un 3-5-2, mutabile all’occorrenza in un 3-4-3. I nuovi donano linfa e qualità. Ulisse Di Pietro è un vero artista del pallone. Testa alta e classe pura al servizio dei compagni. Sulle fasce arrivano due treni ad alta velocità come Cunti e Di Fiordo. In mediana ecco la grinta di Mortari che formerà con Battisti una linea coriacea e tecnica all’unisono. L’innesto che risulterà decisivo è quello di Erbini. Una punta considerata erroneamente di scorta, ma che sarà uno dei protagonisti dell’apoteosi. Il resto dell’orchestra lo conosciamo già come una filastrocca. In porta c’è Pantaleo Roca. Pugliese, un po’ pazzo, ma capace di prodezze da uomo ragno. Conoscete i tre amici della difesa? Tre ragazzacci simpatici e disponibili. Stiamo parlando ovviamente di Terra, Ferretti e Cavola. Mancano all’appello le firme in attacco. “Ce l’abbiamo solo noi, Campanile gooool… Campanile gooool”. Luca Campanile e il suo sinistro. Magia e chirurgica precisione. C’era a Tempio e c’era pure a Catanzaro. Lui con Lucchini e Semplici. Cianfarani, Cirelli, Tomei e Pistolesi sono giovani promesse che faranno strada.

Il girone C è un vortice infernale con corazzate temibili e prestigiose. Taranto, Campobasso e Catanzaro su tutte. Senza dimenticare Gela, Igea Virtus, Foggia e Juve Stabia. Partiamo il 3 settembre con la vittoria di misura sul S. Anastasia. I due successi consecutivi contro Gela e Foggia ci donano una consapevolezza bella e strana al tempo stesso. Pieghiamo anche il Catanzaro per 2-1 e tutto sembra un’effimera illusione. Nel girone di andata cadiamo solo con Gugliano, Campobasso e Taranto. Il ritorno è nel complesso positivo. Archiviamo la regular season al quinto posto con 52 punti all’attivo, quattro lunghezze di vantaggio sull’Igea Virtus.

Gonfi di orgoglio ed un pizzico di incredulità ci prepariamo per le sfide play-off. In semifinale c’è il fortissimo Campobasso (secondo a quota 61). Il 27 maggio, giorno di Santa Restituta, il “Tomei” è un mix pazzesco di colori tra bianconero e rossoblu. I molisani giungono alla contesa privi di tre pezzi da novanta: Corona, Righi e Piccioni. Le squadre si studiano ma non mordono. Termina 0-0 e per noi la situazione diventa quasi impossibile. Passa una settimana e siamo pronti per il ritorno. Il “Nuovo Romagnoli” sembra già in festa. Noi, zitti zitti, pizzichiamo con un rigore di Campanile. 1-0 a domicilio e la finalissima è nostra. All’orizzonte c’è il Catanzaro (terzo del girone con 54 punti). La gara di andata ricopia esattamente la semifinale. I nostri sprecano tanto tra le mura amiche. Un altro pareggio a reti bianche che pare condannarci senza appello.

Domenica 17 giugno 2001. Stadio “Ceravolo” gremito e convinto di bere un semplice bicchier d’acqua. Loro gongolano e passano in vantaggio con Di Corcia su penalty al tramonto del primo tempo. I caroselli giallorossi sono pronti ad impazzare. Nella ripresa però loro decidono di suicidarsi sportivamente. Il dodicesimo Agostino Di Dio si trova catapultato tra i pali ignaro della tragedia che accadrà poco dopo. Al minuto 39 della seconda frazione va in scena un’azione confusa. La difesa calabrese è un colabrodo. Ne approfitta Erbini che di testa anticipa il guardiano avversario ed insacca. Ai supplementari accadono cose grottesche e magnifiche per noi. Quel folletto colmo di furbizia di nome Luca Campanile raddoppia con una punizione beffarda che stimola le imprecazioni del pubblico locale per la papera del povero tizio con i guantoni. Lo stesso Campanile ci manda al manicomio al quarto d’ora del secondo tempo supplementare. Di Dio gli frana addosso e l’arbitro indica il dischetto. Il numero 11 cala il tris definitivo.

E pensare che al 30’st avevo chiuso la radio per disperazione. Sulle frequenze di Nuova Rete quei pochi sorani rimasti a casa ascoltavano ormai rassegnati le voci di Tonino Bernardelli in studio e Maurizio Simonelli inviato nel profondo Sud. Ricordo i festeggiamenti irrefrenabili in città. Quel 17 giugno il corso principale di Sora era decorato dalle infiorate. La solennità del Corpus Domini, Dio ci perdoni, fu surclassata dall’oceanica sfilata in salsa bianconera. L’ultima immensa gioia prima dell’inferno calcistico.

Avevo 6 anni e sognavo. Avevo 6 anni e ed ero felice. Oggi, nel pieno delle 25 primavere, mi mancano tutte le cose di quell’epoca. Sì perché, quel 17 giugno 2001, il tempo si è fermato.