2014: Germania-Argentina 1-0 dts. Il lampo della perfezione tedesca

di Alessandro IACOBELLI

Un lampo all’improvviso. Un guizzo che, al momento giusto, rende il calcio ad un pallone poesia a rima baciata.

Al minuto 113 dei tempi supplementari il cilindro di Mario Gotze estrae il colpo dello strike. La Germania torna sul tetto dell’universo al termine di un digiuno durato ben 14 anni. Il Mondiale in salsa brasiliana del 2014 mette a confronto nell’ultimo appuntamento il contingente teutonico e la speranzosa Argentina.

La perfezione tedesca è frutto di una generazione costruita ad arte, come naturale successione delle cocenti delusioni patite nel 2006 (in casa) e negli Europei del 2008. A Berlino riconoscono l’empasse del movimento e disegnano il progetto di rinascita. Si parte dalle fondamenta dei vivai. Strutture all’avanguardia con istruttori qualificati pongono solide basi. Bastano pochi attimi per veder fiorire talenti limpidi. Già nella spedizione sudafricana del 2010 la lista dei 23 del ct Loew annovera piccoli gioielli da curare e proteggere. In porta il monumentale Neuer. L’armadio Jerome Boateng copre la retroguardia. Le principali novità in zona nevralgica con Kroos, Muller, Khedira e Ozil. Il disegno completo vedrà la luce due anni più tardi con Reus e proprio Gotze chiamati per l’Europeo in Polonia e Svizzera. Su questi solidi mattoni floride ecco pure qualche navigata chioccia come Lahm, Schweinsteiger, Podolski e Klose.


La storia Albiceleste è diversa e particolare. Dal giubilo messicano del 1986, con un Maradona fuori dalla normalità per tecnica e forma atletica, le glorie sono andate in archivio con la parabola discendente dello stesso Pibe de oro. Eccezione che conferma la regola il paradiso solo sfiorato nel 1998 nei quarti di finale con le risate dell’Olanda di Berkamp e Davids. Opache le prestazioni nelle seguenti tre edizioni. Nel 2010 la versione aziendalista di Maradona, come Commissario Tecnico, non riconsegna Diego nella sua versione irripetibile. Passano quattro anni e l’Argentina si affida a mister Alejandro Sabella, onesto trainer chiamato dopo l’interregno fallimentare di Batista. Le convocazioni non lasciano spazio a sorprese o esclusioni da prima pagina. La grazia calcistica pullula nel reparto offensivo. C’è tutto il meglio desiderabile nel pieno della maturità. Messi, Aguero, Higuain, Lavezzi e Di Maria. Il resto dello scacchiere esterna lacune croniche che si manifestano come tasse obbligatorie.

Il 13 luglio 2014 il Maracanà è una pentola bollente. 80000 spettatori gridano, piangono, sognano e gioiscono. L’attesa svanisce. Si parte agli ordini di Rizzoli. Nel primo tempo la Germania è distratta e indolente. Il Pipita avrebbe due ghiotte occasioni ma non riesce a scartare i regali emozionandosi dinanzi a Neuer. Alla mezzora però la rete si gonfia con Gonzalo che già esulta. La terna arbitrale non è d’accordo e annulla per fuorigioco. Da quel momento in poi la compagnia tedesca sobbalza dal letto. Howedes fa tremare il palo. Kroos non dona potenza al suo destro su invito a nozze di Ozil. Messi c’è? Sì ed invia qualche squillo, ma lo stomaco sale sulle montagne russe. Lionel accusa nausea e vomito a ripetizione.

Il pareggio dura e resiste fino al novantesimo. Si va ai supplementari. Entra Palacio e si complica la vita provando un pallonetto sul portiere avversario. Un’altra chance sprecata dai sudamericani. Ci vuole concretezza, senza sconti. Scocca il 22’ della prima frazione supplementare e i tedeschi trovano il codice per aprire la cassaforte. Servizio di Schurrle per Gozte. L’asso del Borussia Dortmund addomestica la sfera con il petto e, con un sinistro al volo, cambia la sua vita ed il Mondiale. Romero è impotente e sconsolato.

La celebre massima di Gary Lineker non mente mai: “In campo 22 giocatori rincorrono un pallone e alla fine a vincere è la Germania”. Nella notte di Roma come a Rio de Janeiro. Sempre di misura, sempre contro l’Argentina. Il destino dello sport più bello è una sentenza. La birra può tornare a scorrere lungo le vie di Berlino.