Categories
Allenatori Club Fabio Belli

Il Real Torino di Emiliano Mondonico

di Fabio Belli

Che notte quella notte! Lo stadio Delle Alpi pieno zeppo lo si vedeva raramente, soprattutto quando era la sponda granata di Torino a giocarci: la scomodità e la scarsa visuale non invogliavano di certo una città che stava già iniziando a perdere, pian piano, quella contrapposizione storica che faceva di Toro-Juve uno dei derby più belli del mondo.

Ma quella notte non c’erano le luci perché non era San Siro, ma i tifosi del Toro ricordano che erano tutti lì: una volta si diceva “torinisti”, quando la voce di Ciotti graffiava ancora fuori dalla radio, oggi basta dire “del Toro” e già la cosa in sé richiama tutta una serie di sventure calcistiche, più che Corride e melodie spagnoleggianti. Per questo ricordare quella notte, che di spagnoleggiante ebbe molto, fa quasi strano per chi del Toro conosce tutto: perchè la leggenda granata in Italia è già consegnata alla storia, ma a livello internazionale la maledizione aleggia più forte che mai. Perchè il “Grande” non fece in tempo a lasciare il Segno della Storia agli albori della Coppa dei Campioni, perchè il Puliciclone si infranse sulle montagne del calcio atletico degli anni ’70, e perchè le altre campagne europee si risolsero nella classica tempesta in un bicchier d’acqua.

Ma quella notte, proprio quella notte, la curva Maratona sapeva che stava accadendo qualcosa di speciale, anche se non immaginava che quelli sarebbero stati gli ultimi, veri, anni ruggenti per il club, almeno per il momento. Ma il 15 Aprile del ’92, un anno prima di alzare l’ultimo trofeo della sua storia, la Coppa Italia 1993 strappata alla Roma, il Torino affrontava il Real Madrid nella semifinale di ritorno di Coppa UEFA. Proprio il Real Madrid, a Torino a giocarsi una finale europea col Toro, nella stagione in cui la Juventus dopo quasi quarant’anni non partecipava alle Coppe.

Un sogno, e ancora oggi a sgranare come un Rosario la formazione di quella sera (Marchegiani, Bruno, Mussi, Fusi, Annoni, Cravero, Scifo, Lentini, Casagrande, Martin Vazquez, Venturin) i tifosi granata hanno la consapevolezza che al di là dei miti di Superga e degli anni ’70, i tempi belli sono esistiti eccome. C’erano Lentini, pieno di talento e di imprevedibilità, Scifo e Martin Vazquez (strappato l’anno prima proprio al Real, a suon di miliardi!) che portavano l’esperienza internazionale, e soprattutto in panchina c’era un allenatore destinato a restare nel cuore della Maratona, per una sedia alzata in cielo per protestare contro l’ennesima grande ingiustizia subita dai granata, nella finalissima contro l’Ajax.

Eh sì, perché quella notte impossibile sembra ancora oggi tale proprio perché ci fu un lieto fine strepitoso, quasi inedito nella tormentatissima storia del Toro: 2-0 in casa alla squadra più prestigiosa del mondo, un’autorete di Rocha e un gol di Fusi spalancarono le porte del Paradiso, la prima finale europea. Ma il Toro, che altrimenti non sarebbe il Toro, quella finale la perse, tra pali colpiti e rigori negati ad Amsterdam che scatenarono l’ira del “Mondo” di cui sopra. Poi le strade si separarono, e per il Torino furono solo dolori almeno fino alla metà degli anni duemiladieci. Nella speranza di tornare presto a giocare una partita così con uno stadio così. Eh già, che notte quella notte, e che bello per un tifoso granata soprattutto pensare che c’è stata davvero.

 

Categories
Club Enrico D'Amelio

La notte della Dea: Atalanta-Malines, dalla Serie B ad un passo dalla gloria europea

di Enrico D’AMELIO

Tutti gli appassionati di calcio italiani sanno che gli anni ’80 sono stati l’epoca d’oro del nostro football. Ogni tifoso, se chiude gli occhi e riavvolge il nastro della memoria, può rivedere di fronte a sé le stesse, gloriose immagini di allora. Il Milan degli olandesi, l’Inter tedesca dei record, il Napoli di Maradona o la Sampdoria di Vialli e Mancini. Squadre che hanno impresso il loro nome sui libri di storia, dopo aver trionfato a turno nelle più prestigiose competizioni europee. Campioni che, si dice, nascano una volta ogni 25 anni e che chissà quando si potranno mai rivedere. Tremerebbero i polsi (e non solo), se ci si dovesse confrontare con uno di questi squadroni e se la tua coppia d’attacco, invece di chiamarsi Van Basten-Gullit, rispondesse ai nomi di Cantarutti-Garlini e se le tue avversarie per un posto in paradiso non fossero gli squadroni sopra citati, ma la Lazio di Eugenio Fascetti o il Catanzaro di Vincenzo Guerini.

Invece, una volta ogni 25 anni, pressappoco, nasce una squadra che ha in sé qualcosa di magico, a prescindere dalla categoria e dal campionato che si trovi ad affrontare. Soltanto magica è l’aggettivo che potremmo affibbiare all’Atalanta della stagione 1987/88 e non potremmo trovarne altri, dal momento che la partecipazione alla Coppa delle Coppe era stata favorita dal Napoli di Ottavio Bianchi. Proprio quello del trio d’attacco Maradona-Giordano-Carnevale (Ma.Gi.Ca.), dopo la finale di Coppa Italia di qualche mese prima. Gli orobici, dopo una stagione deludente con Nedo Sonetti in panchina, sono precipitati nella serie cadetta, ma in città c’è grande entusiasmo per l’avventura europea che sta per iniziare con un allenatore che farà presto la storia di questo club: Emiliano Mondonico. Entusiasmante, ma non semplice, la stagione ormai imminente, visto che è sì affascinante giocare in Europa, ma l’obiettivo principale, per la società con uno dei migliori settori giovanili italiani, è quello del ritorno immediato nella massima serie.

Però, si sa, l’appetito vien mangiando, e dopo le non semplici qualificazioni contro i gallesi del Merthyr Tydfil ai Sedicesimi e i greci dell’Ofi agli ottavi, Stromberg e compagni si trovano tra le prime 8 del torneo a giocarsi un doppio e affascinante confronto contro i portoghesi dello Sporting Lisbona, già affrontato nella medesima competizione 24 anni prima. Parallelamente in campionato le cose vanno bene, anche se Catanzaro, Cremonese, Lecce e Lazio sono avversarie ostiche per il quarto posto utile a tornare in Serie A; fare una scelta tra le due competizioni, però, sarebbe un rischio troppo grande e un tradimento insopportabile per una tifoseria forse unica tra le provinciali.

Così, la terribile banda dei ragazzi di Mondonico, con tanto cuore e uno stadio memorabile, schianta l’avversaria portoghese per 2-0 nella gara d’andata, per poi controllare agevolmente la qualificazione al ritorno con un tranquillo 1-1. Tutto è perfetto. In quegli anni sembra che tutta Europa soffra le squadre italiane, a prescindere dai giocatori e dalle squadre che siano protagoniste. Piotti sembra Zoff, Osti e Pasciullo rappresentano una linea difensiva invalicabile, Bonacina corre per quattro a centrocampo, Daniele Fortunato in regia non ha rivali e Stromberg è il trascinatore svedese di una squadra che inizia a credere che il sogno possa davvero realizzarsi.

Purtroppo, però, non tutto va nel verso giusto, e una partita imperfetta in semifinale contro i belgi del Malines, poi vincitori della Coppa, dopo la finale con l’Ajax, risveglierà i nerazzurri da una splendida magia. La promozione in Serie A renderà comunque memorabile una stagione che a Bergamo ricordano ancora adesso. Con nostalgia mista a rabbia. Perché sarebbe giusto che ogni appassionato di calcio, oltre al Napoli di Maradona, al Milan di Sacchi, all’Inter di Matthaus e alla Sampdoria di Vialli e Mancini, ricordasse anche la magica Atalanta di Stromberg, Cantarutti, Garlini e Mondonico arrivata a un passo dal sogno.