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Calciatori Fabio Belli

Branco: tre punizioni nella storia

di Fabio BELLI

Claudio Ibrahim Vaz Leal: un nome che i ragazzini appassionati di calcio leggono per la prima volta all’interno dell’album delle figurine Panini dedicato alla stagione 1986/87. Scritto in piccolo, ad indicare la vera identità di un nuovo talento brasiliano importato da una provinciale, il Brescia, che mancherà in quell’annata la salvezza in Serie A nonostante i gol di un bomber generoso, Tullio Gritti. E, come per molti talenti brasiliani, il nome “d’arte” di quel calciatore è breve e d’impatto: Branco. Quando arriva a Brescia, Branco ha ventidue anni ed è ancora acerbo per una ribalta come quella italiana che, in quegli anni, si afferma come la più rilevante a livello mondiale. Resta in Lombardia due anni, compreso uno in Serie B, poi viene ingaggiato dal Porto dove esplode il suo talento.

brancoSchierato inizialmente come interno di centrocampo, Branco in realtà eccelle come terzino sinistro, sfruttando un buon dinamismo e, soprattutto, un piede capace di calibrare lanci e cross perfetti. Soprattutto ai tempi del Porto emerge un suo particolare talento: quello sui calci di punizione. Branco è infatti in possesso di un tiro micidiale, potentissimo, forse il più violento della sua generazione. A questa potenza si abbina negli anni un affinarsi della tecnica: Branco colpisce il pallone sulla valvola applicando un effetto particolarissimo. La maggior parte degli specialisti imprime l’effetto a rientrare per aggirare la barriera e centrare l’incrocio dei pali, Branco tira staffilate centrali che si allargano verso l’estremità della porta, ed il portiere avversario vede sfuggire il pallone verso il quale è proteso in tuffo.

Questo talento si rivela nel Porto e nella nazionale brasiliana: ai Mondiali del 1990 in Italia, nel girone eliminatorio Murdo MacLeod, centrocampista della Scozia e del Borussia Dortmund, finisce in ospedale con un trauma cranico dopo essere stato colpito da una pallonata scagliata da Branco su punizione. Il malcapitato MacLeod era in barriera. L’Italia è però un conto aperto per Branco, considerando che i Mondiali finiscono nel peggiore dei modi per il Brasile, eliminato negli ottavi di finale dall’Argentina. Alla fine della competizione iridata si concretizza il trasferimento in un Genoa ambizioso, ricco di giocatori di qualità. Sono gli anni d’oro del calcio genovese, nella stagione del ritorno di Branco in Italia la Sampdoria vincerà lo scudetto ed il Genoa, quarto, si qualificherà per la prima volta nella sua storia in Coppa UEFA. Gioiello nella stagione dei grifoni, la micidiale punizione con la quale Branco regala il derby d’andata ai rossoblu contro i cugini futuri Campioni d’Italia. Una vittoria che sarà celebrata dai tifosi della Gradinata Nord con l’invio di una cartolina di Natale che raffigura la prodezza del centrale brasiliano.

La cavalcata in Coppa UEFA dell’anno successivo si rivelerà memorabile per il Genoa che sarà la prima squadra italiana capace di vincere ad Anfield, nella tana del Liverpool. Prima dell’impresa, i rossoblu avevano già ipotecato la qualificazione in semifinale nella gara d’andata. Il gol del fondamentale due a zero è a firma di Branco: una punizione da distanza incredibile, un capolavoro di potenza col pallone che disegna l’effetto sopra citato, caratteristico dei suoi calci piazzati. Marassi piange di gioia di fronte ad una delle più gloriose pagine della storia del Genoa.

Nel 1993 Branco torna in Brasile, tra Gremio e Corinthians, per preparare al meglio il Mondiale americano del 1994. E dopo la delusione del 1990, per il Brasile arriverà un titolo atteso 24 anni, dai tempi di Pelè. Tappa decisiva per la conquista del Mondiale, la vittoria nei quarti di finale contro l’Olanda: i tulipani rimontano due gol alla squadra di Romario e Bebeto, ma devono arrendersi al gol del 3-2. Firmato, neanche a dirlo, da una bomba di Branco che manda in delirio il Paese. Degna consacrazione per un campione abituato a chiudere in attivo i conti in sospeso.

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Calciatori Club Fabio Belli

La Democracia Corinthiana, l’unico caso al mondo di una squadra autogestita dai calciatori

di Fabio BELLI

L’aria degli spogliatoi dello stadio Pacaembu di San Paolo del Brasile ristagna come quella di un magazzino. L’arredamento, in linea con lo stile un po’ spartano del calcio fine anni ’70, lascia ampi spazi vuoti che fanno risuonare echi di parole e passi, come quelli segnati dal ritmo dei tacchetti dei calciatori che entrano nello stanzone. Uno dopo l’altro sfilano i profili di Wladimir, di Socrates, di Casagrande: leggende dell’epoca per il Corinthians prima, del futbòl paulista poi e di tutto il calcio brasiliano in generale. Si siedono sulle panche e discutono di argomenti della massima importanza per il club, strategie per le partite future, programma degli allenamenti, attorno a loro anche cicche di sigarette e qualche birra. Ma neanche l’ombra di un allenatore.

Quello che sta andando in scena è in realtà un esperimento destinato a restare unico nella storia del calcio mondiale: ovvero il primo caso di autogestione di una squadra con i giocatori che tengono salde le redini del comando. E’ quella che passerà alla storia come la “Democracia Corinthiana“, uno dei segni distintivi del Timao (il soprannome storico del club), assieme al Flamengo la squadra più amata di tutto il Brasile. Non sembra un caso che a cavallo della scomparsa di Socrates siano arrivati i maggiori successi della storia del club, con il “Brasileirao” e la Coppa Libertadores, dopo una rincorsa durata tutta una vita. L’apice della fama internazionale del Coritnthians prima di questo periodo era identificabile proprio nel periodo distintosi per gli interpreti della “Democracia”.

Riguardo Socrates, Pelè affermava che fosse il calciatore “più intelligente di tutti i tempi”, riferendosi sia al suo impegno politico-culturale, sia alla sua sapiente regia palla al piede. Walter Casagrande fu un bomber che raccolse consistenti successi anche nella nostra Serie A con le maglie di Ascoli e Torino. Wladimir Rodrigues dos Santos un terzino infaticabile, capace di far parte della selezione dei migliori giocatori di tutti i tempi del campionato Paulista. Erano i leader carismatici di un gruppo che funzionava come una perfetta democrazia autogestita. Le decisioni venivano prese in gruppo e l’allenatore, Mauro Travaglini, serviva solo come supporto “tecnico” per la preparazione atletica, comunque stabilita in proprio dai calciatori.

L’esperienza durò di fatto un triennio, dal 1982 al 1984, rivelandosi peraltro un autentico successo innanzitutto per le casse del club, che dall’autogestione del gruppo riuscì a ricavare una riduzione drastica delle spese. Quindi dal punto di vista sportivo: non arrivò il successo nel campionato brasiliano, ma due titoli Paulisti (1982 e 1983) comunque molto rilevanti considerando la grande importanza dei campionati statali in Brasile. L’ambiente del calcio verdeoro era d’altronde ideale per questo tipo di iniziativa, con i calciatori che avevano un fortissimo peso anche ideologico, che andava al di là della questione sportiva in sé. Oltre a gestire il club con pari diritto di voto e di opinione rispetto alla dirigenza, i calciatori potevano usare la maglia del Corinthians per fini propagandistici. Socrates stesso promise che avrebbe fatto saltare il suo trasferimento in Italia in caso di passaggio di una riforma costituzionale in Brasile: ma la storia fece il suo corso, la Democracia Corinthiana vide i suoi protagonisti sparpagliarsi ai quattro angoli del mondo e l’esperimento non fu più ripetuto.