Beniamino Vignola: il furetto di scorta

di Alessandro IACOBELLI

Beniamino Vignola: il nuovo “abatino”. Così Gianni Brera etichettò il furetto in maglia bianconera. Il talento mancino, senza nulla togliere all’immensità dell’irraggiungibile cronista, è stato anche altro.

Correva l’anno 1959. Il 12 giugno Beniamino nasce a Verona. Se fosse venuto alla luce a Rio de Janeiro o Buenos Aires, magari con un nome più afrodisiaco, probabilmente avrebbe conseguito maggior gloria. Mingherlino, debole muscolarmente e poco tosto nei contrasti. Ecco, chissà quante volte il buon Ben ha dovuto ascoltare questa cantilena.

La passione, però, distrugge ogni muro. Lui allora aguzza l’ingegno. Sforna tecnica e fantasia. Il piede sinistro non necessita di potenziamento. I filmati disponibili sul web testimoniano la virtuosità di questo folletto dalle misure non certo colossali. 1,72 cm distribuiti in 64 kg. Un po’ come Maradona per intenderci.

I consumistici anni ’80 sono alle porte ed il giovane Vignola si lascia notare ripetutamente nel settore giovanile del Verona. Nelle due annate con la prima squadra scaligera confeziona oltre 40 gettoni conditi da un paio di reti. Beniamino vuole sfondare nel gotha del pallone italiano. In quel fantasmagorico periodo il calcio dello stivale non ha eguali il tutto il pianeta. Da Nord a Sud si può sognare senza limiti. In Campania, oltre il Napoli, c’è un altro popolo che amoreggia con quella misteriosa sfera. Stiamo parlando della gente irpina. Il frizzante veneto sposa il progetto dell’Avellino. Il Presidente Fausto Maria Sara adora la sua creatura che però, l’anno successivo, passerà nelle mani di Antonio Sibilia. La riapertura delle frontiere spedisce all’ombra del “Partenio” la punta brasiliana Juary. Il balletto intorno alla bandierina, per festeggiare un goal, diventa un vero e proprio cult. Il resto del gruppo è assolutamente rispettabile. I giovani Tacconi, Beruatto e Carnevale viaggiano a mille. Senza dimenticare capitan Di Somma, Pellegrino Valente, Salvatore Campilongo e Guido Ugolotti.

Vignola, in tale complesso, è la ciliegina sulla torta. Segna e fa segnare. Commuove il caloroso pubblico biancoverde domenica dopo domenica. La zona del mister Luis Vinicio è un’orchestra intonatissima. In tre stagioni 88 presenze e 16 marcature. Per l’Avellino si materializza in sequenza un decimo, un ottavo ed un nono posto. Passano in rassegna diversi allenatori. Dal già citato Vinicio a Tobia, passando per Marchioro e Veneranda.

Nel 1983 i tempi sono ormai maturi per sbarcare il lunario. Beniamino non può far altro che accettare le lusinghe della Juventus. Nelle prime due annate con la Vecchia Signora il furetto cresce con ottima costanza alle spalle del genio assoluto chiamato Michel Platini. Di tanto in tanto viene gettato nella mischia, dove risponde con invidiabili prestazioni. Mette a referto 52 apparizioni accompagnate da 6 reti. Numeri più che soddisfacenti, considerando anche le complessità tattiche del calcio d’epoca. Il 16 maggio 1984 a Basilea, nella Finale di Coppa delle Coppe, scrive la sua pagina più emozionante. Un suo splendido diagonale mancino fulmina il guardiano del Porto per il momentaneo vantaggio. Gli avversari pareggiano i conti ma, nel corso della ripresa, di nuovo Vignola lancia al bacio Boniek che insacca per il definitivo raddoppio. Nella medesima primavera contribuisce da assoluto protagonista anche allo scudetto bianconero. Deliziosa pure la successiva annata, con l’accoppiata Coppa Campioni (nella tragica notte dell’Heysel) e Supercoppa europea.

Nel momento in cui la carriera poteva esplodere, paradossalmente, Vignola entra in un limbo senza acuti. Torna al primo amore Verona per una sola corsa sulla giostra gialloblu (19 caps e 2 goal). Tra il 1986 ed il 1988 brilla poco nella seconda esperienza juventina. Appende gli scarpini al chiodo nel 1992, dopo aver rappresentato i colori di Empoli e Mantova (in Serie C2).

Beniamino Vignola: il furetto di scorta. Una favola, in fondo, a lieto fine.