Tra Messi e Maradona c’è ancora un pezzo di leggenda da percorrere

di Enrico D’Amelio

Chi è più forte? Maradona o Messi? L’interrogativo del momento andrà avanti chissà per quanti anni ancora, senza capire che il vissuto del presente sarà necessariamente da storicizzare nel tempo. Il Pibe de Oro non può vantare Coppe dei Campioni o record di gol personali, ma, se ragioniamo su quello che ha fatto e su come c’è riuscito, dobbiamo metterlo ancora su un gradino superiore nel piedistallo degli eroi immortali del calcio. Intanto, dalla sua sta il fatto di non essersi fermato in una delle squadre più forti d’Europa come quella blaugrana, ma l’esser andato in una come tante, senza alcuna prospettiva di vittorie certe. Nella seconda metà degli anni ’80, Napoli è diventata il centro del mondo grazie a un genio che da solo ha cambiato volto a una squadra. Due campionati vinti, 1 Coppa Uefa, 1 Coppa Italia e 1 Supercoppa di Lega vanno considerati, come coefficiente di difficoltà, un qualcosa di superiore rispetto all’essere attore protagonista di una macchina perfetta e rodata da anni.

marNon tutti riuscirebbero a fare la differenza, questo è vero, ma avere vicino Xavi, Iniesta, Villa e Pedro rende le cose sicuramente più facili rispetto a girarsi e trovare onesti comprimari come Romano, Bruscolotti, Sola e Ferrario. Il gol alla Juventus al San Paolo da punizione a due in area con la barriera a 4 metri, Tacconi trafitto e uno stadio in delirio, è stato uno dei tanti momenti di estasi partenopea. E poi le sfide al Milan di Sacchi, il gol di testa a Galli segnato da centrocampo, quello al Verona di piede da 50 metri e gli innumerevoli giochi di prestigio nonostante una vita fuori dal campo non proprio da atleta.

Ci sono maglie che calzano addosso a un calciatore meglio di un abito su misura: se Michel Platini, con il suo stile aristocratico e snob non poteva che giocare nella Juventus di Gianni Agnelli, Maradona doveva giocare nel Napoli di Corrado Ferlaino a Fuorigrotta. Rappresentare a livello calcistico il riscatto di una città meravigliosa, ostaggio della malavita e di una politica dissennata, che la domenica trovava la pace dei sensi con le magie di un funambolo con il numero 10 cucito dietro le spalle. E poi il Campionato del Mondo. Messi nel 2010 è stato poco più d’una comparsa, Maradona, nelle quattro edizioni a cui ha partecipato, ha sempre lasciato il segno. Ovviamente nel 1986, quando ha condotto una modesta Argentina sul tetto del pianeta. La gara contro l’Inghilterra, metafora politica legata al calcio, dopo lo schiaffo inglese delle Isole Falkland. Novanta minuti di riscatto, che hanno di gran lunga superato quello che avrebbe potuto raccontare (inventare) solo il cinema. Dopo un primo tempo finito 0-0, l’invenzione del genio. Un gol di rapina, di mano, a irridere il portiere inglese Shilton e tutta una Nazione che aveva oltraggiato la sua terra. I politicamente corretti del calcio, quelli del fair-play a tutti i costi e che non hanno capito perché fosse sacrosanto scipparlo quel gol agli inglesi, sono stati zittiti dopo soli tre minuti, quando in uno stadio messicano potevano assistere al gol più bello della storia del calcio.

La palla presa nella tua metà campo, gli avversari che ti si pongono davanti dribblati come birilli, una Nazione intera del Sud America sulle tue piccole spalle e un altro gol che fa più male del colpo di un fucile. In quel momento, tutte le borgate di Buenos Aires sono ai tuoi piedi, diventi di diritto l’eroe nazionale di tanta gente che sta ancora piangendo i suoi morti. Ti ringrazieranno a vita per aver fottuto due volte in tre minuti la Regina e tutti i suoi sudditi. E poi l’esserti posto sempre dall’altra parte nei confronti di Blatter e del ‘potere’, una squalifica ingiusta nel corso di un altro mondiale, dove a 34 anni stavi (ri)facendo la differenza da solo, fino all’aver sfiorato la morte per colpa della droga. Messi non ha ancora trovato il suo Napoli e non ha ancora condotto la sua Argentina in certe epiche imprese. Questo deve differenziare ancora oggi i due fuoriclasse. Allora, se provassimo a cambiare la domanda iniziale e a dire: ma se Maradona si fosse allenato come un atleta irreprensibile, cosa staremmo a raccontare, adesso? Non avremo mai la controprova. Ma forse è meglio così. Perché i due gol contro l’Inghilterra sono qualcosa che vanno oltre l’immaginario umano. D’altronde, esisterebbe sceneggiatura cinematografica migliore di una realtà in cui un gol ha per mandante Dio, un altro Che Guevara, ma entrambi vantano la stessa, inimitabile, firma d’autore di Diego Armando Maradona?

“Voglio diventare l’idolo dei ragazzi poveri di Napoli, perché loro sono come ero io a Buenos Aires”

“Se mi trovassi a un matrimonio vestito in abito da sera e vedessi arrivare un pallone infangato, non esiterei un momento a stopparlo col petto”

1 commento su “Tra Messi e Maradona c’è ancora un pezzo di leggenda da percorrere”

  1. Ottimo articolo, che sintetizza in modo incisivo le differenze tra i due campioni e ripercorre alcune tra le piú significative gesta di Maradona. Anche per me non ci sono dubbi: Diego è ancora un gradino sopra a tutti gli eroi immortali del calcio!

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