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Calciatori Fabio Belli

Parigi 1998, Ronaldo vs Nesta: quando eravamo Re

di Fabio BELLI

“Quando eravamo re” è uno splendido documentario che racconta l’epopea del mitico scontro per il titolo dei pesi massimi di pugilato che avvenne a Kinshasha, nell’allora Zaire, tra Muhammad Alì e George Foreman. E chi ebbe la fortuna di assistere a quell’incontro, il 30 ottobre del 1974, sicuramente sapeva di ammirare due giganti della boxe ma non credeva certo di andare incontro ad un declino inarrestabile e di stare toccando un picco massimo.

Lo stesso è avvenuto nel calcio: nel 1998 a Parigi la finale di Coppa UEFA tra Inter e Lazio sembrava solo l’ennesimo capitolo di un dominio incontrastato a livello internazionale del calcio italiano. Dopo il 1990 (Juventus-Fiorentina), il 1991 (Inter-Roma) e il 1995 (Juventus-Parma), per la quarta volta in nove anni la finale della competizione era tutta italiana. In un decennio avevano raggiunto la finalissima di Coppa UEFA anche il Napoli (1989), il Torino (1992), la Juventus (1993) e ancora l’Inter (1994, 1997). Solo nella stagione 1995-96 (Bayern Monaco-Bordeaux) non ci furono italiane in finale in quel decennio. E in Coppa dei Campioni (che proprio in quegli anni diventava Champions League) la tendenza era la stessa, senza dimenticare la Coppa delle Coppe che si chiuse nel 1999 proprio con un successo della Lazio.

RonaldoNesta1A pensarci oggi, con le italiane che non arrivano in finale di Coppa UEFA (ora divenuta Europa League) da vent’anni, non ci si può credere. Quella sera i flash di Parigi, inconsapevoli di trovarsi di fronte al picco massimo di cui sopra, immortalarono un duello tra due campioni straordinari. Una partita nella partita: quella che vide il Fenomeno, Luis Nazario da Lima detto Ronaldo, sovrastare il miglior difensore della sua generazione, non solo a livello italiano, bensì mondiale, Alessandro Nesta. Entrambi inconsapevoli del futuro: nei mesi successivi sia il brasiliano sia l’azzurro andarono incontro a terrificanti incidenti che forse (nel caso di Ronaldo siamo alla certezza) ne compromisero le potenzialità future, ma non sbarrarono la strada ad un futuro pieno di straordinari successi.

Una sfida strana perché in realtà Nesta aveva vinto un primo round. In campionato, con entrambe le squadre impegnate nella rincorsa scudetto alla Juventus, la Lazio sovrastò l’Inter con un perentorio tre a zero. Ronaldo fu annullato, Nesta un gigante. Le due squadre erano in momenti di forma diametralmente opposti rispetto a quella notte di Parigi, ma l’accorgimento di Eriksson fu quello di affidare il controllo diretto del Fenomeno a Paolo Negro, che da terzino destro in quella stagione si trasformò in centrale di formidabile efficacia. Nesta, con movimenti da quello che in un calcio antico e affascinante sarebbe stato definito un “libero”, chiuse tutte le vie di fuga alternative al brasiliano, che fu così disinnescato.

Gigi Simoni, tecnico di quell’Inter straordinaria anche se poco vincente, non si lasciò scappare, da vecchia volpe qual era, l’accorgimento. E chiese aiuto a Ivan Zamorano, bomber velenoso e capace di far saltare qualsiasi raddoppio di marcatura. Fu lui a scardinare la difesa laziale dopo pochissimi minuti. Con la Lazio subito costretta ad inseguire, Ronaldo fu libero di affrontare un faccia a faccia con Nesta dal quale risultò trionfatore, grazie agli spazi moltiplicatisi di fronte a sé. Il centrale romano non rinunciò a battersi come un leone, ma l’ultimo gol, quello del definitivo tre a zero, siglato dal Fenomeno fu il sigillo alla serata che ebbe un solo vincitore, così come nella boxe.

La notte di Parigi si tinse di nerazzurro: Nesta aspettò un anno per consolarsi e diventare il primo capitano laziale ad alzare un trofeo europeo (anzi, due nel giro di quattro mesi con Coppa delle Coppe e Supercoppa Europea messe in bacheca a stretto giro di tempo). Quella rimase l’esibizione più bella di un Ronaldo che nei successivi tre anni fu massacrato dai problemi fisici, fino alla resurrezione del 2002 e alla Coppa del Mondo alzata da protagonista col Brasile, da capocannoniere e con doppietta in finale contro la Germania. La storia con l’Inter invece era già finita poche settimane prima, nel paradossale pomeriggio del 5 maggio. Ma quella, è proprio il caso di dirlo, è un’altra storia, di quando la fotografia dei re cominciava già a sbiadirsi.

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#Contromondiali Fabio Belli

#Contromondiale 20: #Olanda, #Brasile, #Cillessen, #Germania, #Argentina, #Messi, #Götze, #Klose, #Rihanna, #Maradona, #GER

di Fabio Belli

Brasile – Olanda 0-3

La "tensione" di Cillessen per gli attacchi del Brasile
La “tensione” di Cillessen per gli attacchi del Brasile

128. La “finalina” per il terzo posto dei Mondiali è una strana bestia: in nessuna altra competizione sportiva il ko in semifinale lascia tanto amaro in bocca, e infatti alla vigilia nessuno sembra voglia giocare quella che appare come un’inutile passerella. Poi invece, in campo la sfida si riaccende, e almeno quella medaglia di bronzo si vuol provare ad afferrarla. Solitamente, chi arriva più scarico perde: accadde in tempi recenti a Bulgaria, Corea del Sud e Portogallo, già paghe della semifinale, è successo anche stavolta al Brasile, ma per motivi opposti. Dopo la più grande umiliazione di sempre per la Selecao, è arrivato un nuovo disastro di fronte agli orange alleggeriti dalla tensione della semifinale, e di nuovo micidiali in contropiede. L’immagine del portiere Cillessen seduto in stile giardini pubblici col supporto del palo, è indice di quel poco che è riuscito a creare il Brasile nelle due partite decisive, quelle che dovevano portarlo sulla strada dell’Hexa.

Trovate Waldo ancora una volta
Trovate Waldo ancora una volta

129. Non è stato “Maracanazo”, ma un’umiliazione ben diversa, che paradossalmente ha solleticato l’orgoglio della torcida, che per il senso del dramma tipicamente sudamericano, digerirà sempre meglio una profonda umiliazione che una sconfitta stile 1950, quando le mani erano già sulla coppa. E così al Maracanà, nonostante i tedeschi avessero inflitto loro la peggior sconfitta della storia, non ci sono stati dubbi. Il “nemico” era e restava l’Argentina, come testimoniato dal tifoso che non ha avuto paura di scatenarsi in mezzo agli “hinchas” dell’albiceleste.

Olanda di nuovo sul podio
Olanda di nuovo sul podio

130. L’Olanda ha piazzato un primato, facendo giocare tutti e 23 i convocati, prima squadra a mettere in atto una soluzione simile ai Mondiali. La squadra di Van Gaal partiva a fari spenti, l’impressione è che forse il bersaglio grosso si poteva afferrare più questa volta che 4 anni fa, quando la Spagna dava una sensazione di superiorità generale difficile da smentire. Ma un secondo e un terzo posto tra 2010 e 2014 dimostrano come la scuola dei Paesi Bassi sia sempre all’avanguardia. Da 40 anni il sogno è però sempre uno, e continua a sfuggire come una saponetta bagnata. Vedremo se dove non sono arrivati Cruijff, Van Basten e Robben, riusciranno finalmente ad arrivare i giovani fenomeni del futuro.

Germania – Argentina 1-0 dts

Deutschland Weltmeister
Deutschland Weltmeister

131. Come avviene ormai da Francia 1998, dire “ha vinto la squadra migliore” è consuetudine della finale. Dopo un secondo e due terzi posti, la Germania conquista il quarto titolo Mondiale, raggiungendo l’Italia e dando finalmente un senso a dodici anni di straordinaria continuità nella competizione. I tedeschi arrivavano in Brasile tra le favoritissime, ma hanno giocato un Mondiale un po’ col freno a mano tirato. Due strepitose prestazioni, contro il Portogallo (favorita però da un arbitraggio oltremodo severo con i lusitani) e soprattutto Brasile, la Partita della Storia di questo Mondiale, e un’eccellente prova contro la Francia. Ma il balbettare già visto contro Ghana ed Algeria si è ripetuto al cospetto degli argentini, in tre diverse occasioni capaci di graziare Neuer a tu per tu. Ha vinto quella che nell’ultimo decennio si è imposta come una scuola capace di arrivare sempre tra le prime quattro tra Mondiali ed Europei, dal 2006 in poi. Mancava la vittoria, ed è arrivata. Facendo cadere anche l’ultimo tabù: mai un’europea aveva vinto nel continente americano.

L'ha decisa Mario Gotze
L’ha decisa Mario Gotze

132. A decidere la partita, Mario Gotze, classe ’92, talento della new wave tedesca quest’anno passato dal Borussia Dortmund al Bayern Monaco, un po’ discontinuo, ma l’unico forse in grado di spezzare l’equilibrio che gli argentini avevano imposto al match. Ha deciso la partita su un assist di Schurrle, anche lui subentrato dalla panchina: segno che chi ha le alternative e le fa valere, spesso mette le mani sul piatto.

Klose ora è a tutti gli effetti una Leggenda
Klose ora è a tutti gli effetti una Leggenda

133. Dopo una stagione opaca nella Lazio, in molti pensavano che Miroslav Klose sarebbe stato un’alternativa di lusso per la Germania del “falso nueve” Muller. Invece il centravanti di origini polacche si è imposto da titolare, con la sua presenza come riferimento in avanti capace di far girare tutta la squadra. E’ arrivato anche il record di gol nei Mondiali, una storia fantastica se ci si pensa. Nel 2002, l’ultima finale giocata e persa dalla Germania, Klose era in campo. Quella partita fu vinta dal Brasile con doppietta di Ronaldo, lanciato a sua volta verso il sorpasso a Gerd Muller. Nel 2014, Klose si prende il primato come marcatore di tutti i tempi del Mondiale segnando il gol del sorpasso in semifinale al Brasile sotto gli occhi di Ronaldo… e in finale, conquista anche la Coppa, chiudendo un cerchio lungo dodici anni.

Messi ha visto sfilare via il treno della storia
Messi ha visto sfilare via il treno della storia

134. Non ci siamo dimenticati naturalmente di uno dei leit-motiv di questa rassegna iridata. Messi vs Maradona, un cavallo di battaglia che è venuto spontaneo cavalcare dopo l’eccellente girone eliminatorio disputato dalla “pulga”. Mai il quattro volte Pallone d’Oro aveva avuto un tale approccio ai Mondiali, e si era pensato che la prospettiva di riportare l’Argentina sul tetto del mondo nella tana del Brasile fosse troppo ghiotta per non sfruttarla. E invece, dopo la giocata ammazza-Svizzera nei supplementari degli ottavi, l’asso del Barcellona si è eclissato, sprecando il match-ball col Belgio, facendosi imbrigliare dalla gabbia di Van Gaal in semifinale, ed infine senza prendere per mano la squadra nell’appuntamento decisivo, con tanto di clamorosa occasione fallita a tu per tu con Neuer. L’occasione irripetibile è perduta: in Russia Messi potrà provare di nuovo, con ogni probabilità, a diventare campione del Mondo, ma difficilmente le porte dell’Olimpo, quello vero, dove solo cinque-sei calciatori sono stati finora ammessi, si apriranno per lui.

I media brasiliani possono vendicarsi
I media brasiliani possono vendicarsi

135. All’Argentina lo “scherzetto” di festeggiare al Maracanà non è riuscito davvero d’un soffio. Le occasioni mancate da Higuain, Messi e soprattutto Palacio agiteranno a lungo i sogni dei tifosi dell’albiceleste. Che si erano presentati dall’inizio dei Mondiali con questo irriverente coro verso i rivali di sempre: «Brasil, decime qué se siente; tener en casa a tu papá. Te juro que aunque pasen los años; nunca nos vamos a olvidar… Que el Diego te gambeteó, que Canni te vacunó; que estás llorando desde Italia hasta hoy. A Messi lo vas a ver, la Copa nos va a traer; Maradona es más grande que Pelé» (traduzione “Brasile, dimmi cosa senti ad avere in casa tuo papà / Ti giuro che anche se passano gli anni, non ci dimenticheremo mai / Che Diego ti ha dribblato, che Canni (Caniggia, ndr) ti ha infilzato, che stai piangendo da Italia ’90 / Ora vedrai Messi, la Coppa ci porterà, Maradona è più grande di Pelè“). Un tormentone che i giornali argentini hanno utilizzato anche dopo l’1-7 in semifinale: ovvio che dopo il gol di Gotze, sia arrivata la vendetta…

A Rihanna piace vincere facile
A Rihanna piace vincere facile

136. A proposito di tifo, cosa avrà mai fatto l’Argentina a Rihanna? In semifinale avevamo segnalato come la popstar si fosse schierata in favore degli olandesi, con un esperimento di photoshop riuscito solo in parte. I colori della bella cantante sono cambiati per la finale: presente al Maracanà, Rihanna ha tifato in maniera sfrenata per la Germania, con tanto di festeggiamenti finali con i giocatori. Difficile capire il perché, sono le stranezze della febbre-Mondiale.

"22 men chase a ball for 90 minutes and at the end, the Germans always win.".
“22 men chase a ball for 90 minutes and at the end, the Germans always win.”.

137. Alla fine comunque, ha vinto questo signore qua. Grazie a tutti voi che avete seguito il “Contromondiale” di Storie Fuorigioco! Appuntamento in Russia, dai che tra 1419 giorni ci risiamo!

 

 

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#Contromondiali Fabio Belli

#Contromondiale 18: #Maraca-Nazi, #Mineirazo, #Brasile, #Germania, #Klose, #BrasileGermania, #BRAGER, #Scolari, #Maracanà

di Fabio Belli

Brasile – Germania 1-7

Scene mai viste sulle tribune del Mineirao
Scene mai viste sulle tribune del Mineirao

117. Tanta carne al fuoco, e non potrebbe essere altrimenti. Peggiore sconfitta nella storia del calcio brasiliano, maggiore scarto nel punteggio tra due semifinaliste (superato il record del 1930, quando entrambe le semifinali terminarono 1-6), record individuale di gol nella storia dei Mondiali. Soprattutto, l’incubo di una nuova umiliazione casalinga che si avvera a 64 anni di distanza dal Maracanazo. Evocato, temuto, un’ossessione per i brasiliani nonostante dopo quella tragedia sportiva siano arrivati cinque titoli mondiali. Tanto che il Brasile esce di scena da un Mondiale in casa atteso ben più di mezzo secolo senza averci mai giocato, al Maracanà: una scelta di calendario impensabile, e forse sarebbe stato meglio togliersi il dente subito, invece di aspettare una vendetta in finale, un eccesso di ottimismo considerando lo spessore tecnico della Selecao di quest’anno. E invece quel Brasile-Uruguay resterà l’ultima partita giocata dai verdeoro in un Mondiale nel tempio del calcio di Rio de Janeiro, e per chissà quanto tempo.

"Noi tedeschi non siamo tutti grandi sorrisi e allegria"
“Noi tedeschi non siamo tutti grandi sorrisi e allegria”

118. Le ironie in rete si sono sprecate, e qualcuno ha sfoderato un irriverente, splendido “Maraca-Nazi”. I tedeschi, sonnacchiosi seppur sempre efficaci per tutto il Mondiale, dopo due pareggi contro Ghana e Algeria e due vittorie di misura contro Stati Uniti e Francia, hanno sprigionato tutta la loro potenza. L’impressione è che dopo il 2-0 di Klose, gli avversari abbiano avuto un tracollo psicologico senza eguali nella storia del calcio, e dunque in vista della finale andranno soppesati gli eccessi d’entusiasmo. Ma i tedeschi sono in finale per l’ottava volta nella loro storia, e la quarta stella potrebbe far cadere un tabù: quella della prima squadra Europea vincente nel continente americano. Se l’avversario sarà l’Olanda sarà storia in ogni caso, altrimenti l’Argentina potrebbe mantenere in piedi un tabù considerato eterno.

Il miglior marcatore di tutti i tempi nella storia dei Mondiali
Il miglior marcatore di tutti i tempi nella storia dei Mondiali

119. Già, parliamo di Miroslav Klose. In questo Mondiale, di fatto, si è visto all’opera il più grande cannoniere di sempre della storia della Coppa del Mondo. Meglio di Pelé, meglio di Gerd Muller, soprattutto meglio di quel Ronaldo quasi in lacrime come commentatore sulla tribuna del Mineirao di Belo Horizonte, non certo per il record passato di mano, ma per la storica umiliazione della Selecao. Un primato del genere che viene tramandato tra le due Nazionali dei due protagonisti, uno sotto gli occhi dell’altro: basterebbe questo per rendere eterna la serata del “Mineirazo”. Ma c’è incredibilmente di più, perché in questo incredibile 1-7 è andato a segno anche colui che potrebbe venire nella linea di successione del record dopo Ronaldo e Klose: Thomas Muller, 24 anni e già dieci gol in Coppa del Mondo: salvo sorprese, difficile pensare che il record prima o poi non finirà nelle sue mani.

Scolari invita Bernard a guardare in faccia la realtà
Scolari invita Bernard a guardare in faccia la realtà

120. Analizzare le cifre tedesche è sicuramente più facile rispetto a quelle brasiliane. Mai la Selecao aveva perso con tale scarto, neanche in amichevole. Averlo fatto in una semifinale in casa è una macchia che accompagnerà i componenti di questa squadra a vita, come avvenne per gli sfortunati protagonisti del 1950. Scolari, finora considerato uno degli attuali “grandi vecchi” degli allenatori nel mondo, si è visto ridicolizzato dagli avversari con azione stile calcetto, che ad un Mondiale non si vedevano dai tempi di Polonia-Haiti 7-0, Jugoslavia-Zaire 9-0 e il record assoluto, Ungheria-El Salvador 10-1. Appunto, Haiti, Zaire, El Salvador: il fatto che a questa allegra combriccola si sia aggiunto il nome della squadra con più titoli mondiali, è al limite del paradosso.

Come i tedeschi hanno preso casa nell'area brasiliana per tutto il primo tempo
Come i tedeschi hanno preso casa nell’area brasiliana per tutto il primo tempo

121. L’assenza di Thiago Silva, il vero fuoriclasse di una difesa nella quale il grintoso David Luiz è stato forse sopravvalutato (oppure è stato lui a giocare un paio di partite al di sopra delle sue possibilità), la scelta di sostituire Neymar con l’idolo di Belo Horizonte Bernard, acerbo e poco propenso alla copertura, sono fattori tecnici che sicuramente pesano. Ma come detto all’inizio, la peggior disfatta del calcio brasiliano e forse mondiale è figlia di un fattore psicologico troppo contrario: arrivati in semifinale, sembrava impossibile ai brasiliani che si materializzassero i fantasmi di 64 anni fa, a meno di perdere la finale all’ultimo minuto contro l’Argentina. Mai stuzzicare gli dèi del calcio, sempre pronti a lasciare senza parole i poveri mortali che pensano di sapere ormai già tutto.

 

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#Contromondiali Fabio Belli

#Contromondiale 16: #Germania, #Hummels, #DavidLuiz, #Zuniga, #BRAvsCOL, #JamesRodriguez, #Locusta, #Neymar

di Fabio Belli

Francia – Germania 0-1

Moderato entusiasmo teutonico
Moderato entusiasmo teutonico

102. Germania, parliamone: per la quarta volta consecutiva tra le prime quattro dei Mondiali, è dal 1954 che i tedeschi figurano ininterrottamente tra le prime otto del mondo. Esatto, da sessanta anni la Germania arriva immancabilmente ai quarti di finale (1962, 1978, 1994, 1998), in semifinale (1958, 1970, 2006, 2010), in finale (1966, 1982, 1986, 2002), oppure si laurea campione (1954, 1974, 1990). Restando alla striscia attuale, è anche vero che dopo un secondo e due terzi posti, a Berlino sognano di tornare ad alzare un trofeo, eventualità che manca paradossalmente da diciotto anni (Euro 1996) e da ventiquattro in Coppa del Mondo. Ma la scuola tedesca, anche più di quella brasiliana, è quella che ha mostrato maggiore continuità in assoluto all’appuntamento Mondiale. E’ affascinante che le porte del Maracanà si spalancheranno dopo un epico scontro diretto.

Ronaldo vs. Klose: come nel 2002, sarà Brasile-Germania. Miro ci sarà, il Fenomeno ha smesso da tempo
Ronaldo vs. Klose: come nel 2002, sarà Brasile-Germania. Miro ci sarà, il Fenomeno ha smesso da tempo

103. Brasile e Germania nella storia dei Mondiali si sono affrontate solo una volta, incredibile se si pensa che si tratta assieme all’Italia delle nazionali più presenti in assoluto nella competizione. Era la finale del 2002 a Yokohama, e di fronte c’erano Ronaldo e Miro Klose: un incrocio mitico, se si pensa che si sono scontrati i due migliori marcatori della storia dei Mondiali. Per Klose l’occasione del sorpasso, dopo l’aggancio avvenuto nel match contro il Ghana, si presenta proprio contro la Selecao. Ma allora i brasiliani vinsero imponendo un tasso tecnico superiore: di sicuro si scontreranno il meglio della scuola europea, tattica ed organizzata fino all’estremo, e quella sudamericana, avvolgente e un po’ incosciente nella ricerca del risultato. Lo si è visto in questi due quarti di finale: una partita a scacchi l’europea Francia-Germania, una carnevale di ripartenze, errori e giocate esotiche Brasile-Colombia.

Hummels, un gol vittoria da manuale del calcio
Hummels, un gol vittoria da manuale del calcio

104. Un pensiero in realtà se lo meriterebbero anche i francesi, che in questo Mondiale alla fine hanno fatto niente di più e niente di meno di ciò che ci si attendeva. Le figuracce del passato sono un ricordo, e la freschezza di Valbuena, Griezmann e la potenza di Benzema restano tra le note positive di questo Mondiale. Ma l’esame di maturità è stato fallito, visto che la squadra di Deschamps è uscita di scena, dopo aver sfruttato un calendario favorevole, al primo avversario di vero, grande spessore. L’eroe dei quarti è stato Mats Hummels: difensore del Borussia Dortmund, può entrare nella lista della spesa solo ed esclusivamente dei top club. Il suo stacco di testa è stato un pezzo di alta scuola, ma meglio ancora è stata la sua prestazione da manuale in difesa. E’ grazie a giocatori così, che spesso lavorano nell’ombra, che si vincono i Mondiali.

Brasile – Colombia 2-1

La locusta in gol con James Rodriguez: primo insetto della storia a segno in un Mondiale
La locusta in gol con James Rodriguez: primo insetto della storia a segno in un Mondiale

105. La squadra più bella di questo Mondiale, con la rivelazione più gustosa, esce di scena di fronte a un Brasile che ha dimostrato di meritare un posto tra le prime quattro come mai aveva fatto nelle partite precedenti. Chi ama il calcio avrebbe voluto che Brasile-Colombia non finisse mai, tanta è stata l’intensità del match, soprattutto nel primo tempo. E quando la cannonata di David Luiz sembrava aver chiuso i conti, il rigore di “Ames” ha tenuto tutti col fiato sospeso fino alla fine. Tanto che in molti hanno avuto una strana sensazione: cos’era quella roba sulla spalla del fenomeno colombiano, dopo il penalty trasformato. I fermo immagine, passata la trance agonistica, ha risolto un mistero: una locusta grande più o meno come un barboncino, il primo insetto ad andare in gol in un Mondiale. Da mettere agli atti.

David Luiz lo dice a tutti: è "Ames" il fenomeno
David Luiz lo dice a tutti: è “Ames” il fenomeno

106. Tornando all’aspetto tecnico, l’eredità lasciata dalla Colombia alla competizione è molto interessante. Pekerman ha messo in campo una squadra rapida, travolgente nei cambi di fronte, tradita solo da una difesa non all’altezza e, probabilmente, dall’assenza di Falcao, con Teofilo Gutierrez volenteroso, ma non all’altezza dell’asso del Monaco. Non è servito neppure avere quello che, Messi permettendo, è stato finora il miglior giocatore del Mondiale. “Ames” Rodriguez a fine partita si è sciolto in lacrime, abbracciato e consolato dal killer della Colombia, David Luiz, che lo ha indicato a tutto lo stadio di Fortaleza, traboccante d’entusiasmo, ricordando a tutti: “Ok, abbiamo vinto, ma questo qui… è un fenomeno.”

Le repliche in scala di Thiago Silva e David Luiz festeggiano gol e vittoria contro la Colombia
Le repliche in scala di Thiago Silva e David Luiz festeggiano gol e vittoria contro la Colombia

107. Solo nel 1994 si era visto un Brasile simile, più forte dalla cintola in giù, che in attacco. Allora le star si chiamavano Aldair, Cafu, Dunga, Branco. Stavolta, la “zaga” composta da Marcelo, David Luiz, Thiago Silva si è completata alla perfezione con l’esperto Maicon, più concreto rispetto alla svagato Dani Alves degli ultimi tempi. Le vere stelle in questo caso sono comunque i due centrali, ed è simbolico che i gol siano arrivati da loro. Su Thiago Silva si è detto tutto, e da tempo. La sua assenza per squalifica peserà come un macigno in semifinale. David Luiz ha forse meno classe nelle chiusure, ma si propone in maniera micidiale palla al piede, e la sua grinta l’ha reso un idolo assoluto della Torcida. La sua punizione del 2-1 è una gemma, ed i cinquanta milioni di euro pagati dal Paris Saint Germain al Chelsea per averlo, sembrano sempre più giustificati. Nel 1994, tanta solidità veniva bilanciata da Romario in attacco. Stavolta, c’era Neymar. C’era, perché…

Il momento incriminato: Zuniga interviene su Neymar
Il momento incriminato: Zuniga interviene su Neymar

108. … perché i corsi e ricorsi della storia spesso sono crudeli. Alla vigilia di Francia-Germania è tornato d’attualità il fallo-killer di Schumacher su Battiston nel 1982, neanche sanzionato dall’arbitro nella semifinale di quell’edizione. Rischia di costare altrettanto caro alla Selecao, e sempre in favore dei tedeschi, la ginocchiata che ha rotto una vertebra (!) a Neymar da parte del colombiano Zuniga. Il Mondiale perde un protagonista, con Neymar che a dispetto della giovane età era riuscito a prendere per mano una squadra come detto sopra equilibrata come non mai, ma senza quel pizzico di “magia” in avanti tipico della Selecao. E l’incubo che il Brasile si porta dietro dall’inizio della competizione, si trasferisce ora al Minerao di Belo Horizonte, martedì prossimo.

Di fronte all'ospedale a Fortaleza, la gente aspetta per Neymar. Non arriveranno buone notizie
Di fronte all’ospedale a Fortaleza, la gente aspetta per Neymar. Non arriveranno buone notizie

109. Eh sì, perché dal 2002 il Brasile non si piazzava tra le prime quattro del mondo, e come detto contro la Colombia la squadra di Scolari ha meritato solo applausi, giocando con classe e personalità, e non con la paura vista in precedenza di chi si sente “condannato” a vincere perché gioca in casa. Ma per il Brasile, la delusione del 1950 è un fantasma che si può quasi sentire e toccare per le strade. E non per niente, l’enorme passione popolare con cui la gente sta seguendo la squadra in questa avventura, trasuda sofferenza di stampo del tutto europeo. Della folle ed entusiastica, spesso un po’ troppo spaccona, atmosfera con cui di solito vengono vissuti i Mondiali in Brasile, è rimasta giusto qualche traccia. La gente “vuole” vincere non tanto per centrare l’Hexha, che prima o poi arriverà: ma l’occasione di vincere in casa e cancellare “quella” partita, il Maracanazo che nessuno neanche più neanche nomina mentre l’obiettivo si avvicina, è irripetibile. La folla radunatasi di fronte all’ospedale che ha sancito il ko definitivo di Neymar, è in questo senso emblematica. Un’ansia che i tifosi della Selecao sperano si trasformi in energia pura, come è già avvenuto negli stadi di tutto il paese nelle precedenti partite, anche nella semifinale contro la Germania da affrontare senza l’asso dell’attacco e Thiago Silva.

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#Contromondiali Fabio Belli

#Contromondiale 13: #Müller, #Germania, #Algeria, #Vendetta, #Capello, #CR7, #Fellaini, #Ghana, #USA, #Obama

di Fabio Belli

Stati Uniti – Germania 0-1

Thomas Müller, già recordman dei Mondiali
Thomas Müller, già recordman dei Mondiali

79. E’ forse meno appariscente degli altri, ma Thomas Müller come protagonista dei Mondiali calza alla perfezione. Archetipo del falso nueve, calciatore dalle grandi doti di duttilità, stella del Bayern Monaco, è già arrivato in giovane età a quote nove reti in nove partite disputate nella competizione iridata, segno che se tutto andrà come deve andare, il record Ronaldo-Klose forse non durerà a lungo. La Germania in Brasile vuole coronare un percorso che dal 2006 ad oggi, tra Mondiali ed Europei, l’ha sempre vista tra le prime quattro: terza nel 2006, seconda nel 2008, terza nel 2010, in semifinale nel 2012. E’ il simbolo di una generazione tedesca che dopo la doppia eurofiguraccia 2000-2004 (che fu comunque intervallata, tanto per gradire, da una finale Mondiale), vuole riassaporare cosa significhi vincere: perché avrà ragione Gary Lineker che tanto nel calcio “alla fine vincono i tedeschi”, ma è anche vero che è da Oliver Bierhoff e dal 1996 che una coppa non viene alzata da mani teutoniche.

Obama organizzatissimo per Brasile 2014
Obama organizzatissimo per Brasile 2014

80. A Barack Obama il calcio piace: gli Stati Uniti contro il Belgio affronteranno negli ottavi di finale un esame di maturità importante, ma questa Nazionale yankee è stata forse la più seguita della storia, anche di quella che nel 2002, piazzandosi tra le prime otto per la prima volta nell’era moderna, insegnò che si poteva sognare anche col soccer. Quando nel 2009 gli USA persero la finale di Confederations Cup contro il Brasile, rimontati da 2-0 a 3-2, Obama si scatenò con un derby a distanza col presidente brasiliano Lula, con tanto di scambio di maglie finale. Alla squadra di Klinsmann manca forse l’uomo in grado di fare la differenza, ma l’appoggio dei piani alti è senz’altro un’iniezione di popolarità supplementare ed utilissima per la Nazionale.

Will Ferrell, un vero capo-ultras
Will Ferrell, un vero capo-ultras

81. Abbiamo già parlato di volti noti del cinema e della televisione che hanno manifestato il loro appoggio alla Nazionale USA. Will Ferrell, “pizzicato” ad arringare i tifosi in un bar, si aggiunge ad una lista già molto lunga. Già, ma passata l’iniziale curiosità, che in un bar del Kentucky o in una steakhouse nell’Iowa può assomigliare a quella di un italiano per il curling in tempo di Olimpiadi, come si approcciano gli americani al soccer? L’analisi dei flussi della rete aiuta a capire meglio il tutto. Da una parte, Google ha registrato che durante il match contro il Ghana, la domanda più cercata sul celebre motore di ricerca è stata “How long is a soccer game?”, indicativa di un certo disorientamento. Su Twitter però, al momento del gol di Muller, i tweet con la parola “Nazi” o “Nazis” hanno avuto un’impennata vertiginosa. Segno evidente che il tipico campanilismo del tifo calcistico si sta affermando anche nella sua versione a stelle e strisce.

Portogallo – Ghana 2-1

Game Over per CR7
Game Over per CR7

82. Il Mondiale ha perso il Pallone d’Oro: verdetto prevedibile dopo la mancata vittoria portoghese contro gli Stati Uniti, ma difficile da digerire per una Nazionale storicamente ricchissima di talenti, ma che non riesce a risolvere il problema del centravanti dall’alba dei tempi, annoverando tra i miti di ogni epoca onesti ma modesti bomber come Nuno Gomes e Pauleta. La presenza di Helder Postiga è stata in questo senso indicativa. Cristiano Ronaldo è arrivato in Brasile con la pancia piena del suddetto Pallone d’Oro e della “Decima” conquistata con il Real Madrid. Le sue ultime due prestazioni, dopo quella incolore contro la Germania, sono state in crescendo, ma un uomo solo non fa la squadra. A meno che non si tratti di Messi, e questa probabilmente è la grande preoccupazione di CR7 da qui alla fine di Brasile 2014.

Distribuzione dei premi partita poco ortodossa per il Ghana
Distribuzione dei premi partita poco ortodossa per il Ghana

83. Il Mondiale ha detto che al calcio africano manca la necessaria maturità. Il caso del Ghana è stato eclatante. La furibonda lite tra Muntari e Kevin Prince Boateng, entrambi esclusi alla vigilia della decisiva partita contro i lusitani, e dei premi pretesi, consegnati e distribuiti in contanti, è la prova lampante di una polveriera presente in una squadra che contro Stati Uniti e Germania aveva dimostrato di essere competitiva nei piedi, ma non con la testa.

Corea del Sud – Belgio 0-1

Impazza la Fellaini mania
Impazza la Fellaini mania

84. L’esplosione della Fellaini-mania sugli spalti dimostra come il pubblico creda nel grande exploit dei Diavoli Rossi. Che mai avevano chiuso il girone eliminatorio ai Mondiali a punteggio pieno, e che anche contro i coreani sono rimasti fedeli alla cosiddetta zona-Belgio, con tutti i gol fin qui realizzati negli ultimi venti minuti.

Algeria – Russia 1-1

Capello non le manda a dire agli arbitri
Capello non le manda a dire agli arbitri

85. La storia dell’ex URSS ai Mondiali è affascinante, ricca di soprusi arbitrali (1962, 1970, 1986) e di grandi occasioni mancate (1966, 1982). Dallo scioglimento dell’impero sovietico, però, il fascino ha lasciato spazio all’approssimazione, e la sola scuola russa non è parsa in grado, nonostante l’abbondanza di mezzi economici (Fabio Capello si è presentato in Brasile come CT più pagato dei Mondiali) di mostrare qualcosa di significativo sul campo, l’unico luogo dove la storia si possa tramandare nel calcio. Il CT italiano ha recriminato molto per questa nuova eliminazione, ma restano impresse nella mente più le papere del portiere Akinfeev, ed una incapacità cronica nel fare gioco, che si è ripercossa nei due soli punti conquistati, al di là degli sprazzi dimostrati contro il Belgio.

In Algeria sognano la vendetta sui tedeschi a 32 anni di distanza
In Algeria sognano la vendetta sui tedeschi a 32 anni di distanza

86. La storia dell’Algeria invece si ritrova di fronte alla possibilità di un nodo gordiano, a 32 anni di distanza. Alla soddisfazione per la prima qualificazione tra le prime sedici del mondo nella storia, si aggiunge la formidabile possibilità di vendetta, quando nel 1982 la squadra di Madjer, dopo aver battuto la Germania Ovest, si ritrovò fuori a causa di una clamorosa “pastetta” tra i tedeschi e gli austriaci, che giocarono una partita col freno a mano tirato per approdare a braccetto alla seconda fase. Fantasiosa e veloce in attacco, forse un po’ approssimativa nelle chiusure difensive, la squadra algerina sogna la più clamorosa delle vendette: anche se sarà dura, contro una delle favorite del Mondiale, ma la vendetta, fredda così come deve essere, non è mai stata un piatto facile da cucinare.

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#Contromondiali Fabio Belli

#Contromondiale 09: #Klose, #Record, #Ronaldo, #Argentina, #Messi, #Maradona, #Genio, #Nigeria, #Africa, #Bosnia, #Zico

di Fabio Belli

Argentina – Iran 1-0

Quello che per gli altri è impossibile, per Messi è...
Quello che per gli altri è impossibile, per Messi è…

53. Una montagna va scalata un passo alla volta, e Leo Messi stavolta sembra fare davvero sul serio. Già il gol contro la Bosnia aveva fatto pensare a un approccio diverso della “pulga” all’unica competizione che davvero può dargli l’immortalità calcistica, cioè il Mondiale. Contro l’Iran, la sua magia è stata per giunta risolutrice, in un match che l’albiceleste ha rischiato a più riprese di perdere. Di sicuro, la preoccupazione per quanto espresso dalla squadra c’è, l’Argentina sembra troppo sbilanciata in avanti, tanta qualità in alcuni reparti, ma poca in altri. ci sono però anche tante analogie con Messico ’86 e con Maradona, soprattutto relativamente al fatto che un solo giocatore, quello considerato il più forte al mondo, possa cambiare le sorti di tutta la squadra. E risolvendo facilmente situazioni apparentemente impossibili.

Germania – Ghana 2-2

Klose nella storia dei Mondiali e del calcio
Klose nella storia dei Mondiali e del calcio

 

I quattro Mondiali del Mito
I quattro Mondiali del Mito

54. La storia del giorno, e non può essere altrimenti, è quella relativa a Miroslav Klose, a segno e capace di salvare i tedeschi da una inaspettata sconfitta, contro un Ghana sovrastante atleticamente, ma troppo ingenuo in difesa. 15 gol in quattro diversi Mondiali, che gli valgono per ora la palma, a braccetto con Ronaldo, di miglior marcatore della storia dei Campionati del Mondo. Per il centravanti della Lazio, più che un onore si tratta di un logico epilogo in una carriere in ci il feeling con i Mondiali è sempre stato massimo. A partire da Giappone-Corea 2002, quando si rivelò al mondo a suon di gol, trascinando una Germania rinnovata dopo il fiasco di Euro 2000 alla finalissima. Con un secondo e due terzi posti, ed una carriera da 303 reti tra club e Nazionale, il ragazzino partito da Opole, in Polonia, è diventato una leggenda per la Germania, per la quale resta il miglior marcatore di tutti i tempi, dopo il sorpasso a sua volta storico su Gerd Muller. Tra i miti del Mondiale, ora è nell’Olimpo.

Nigeria – Bosnia 1-0

Nigeria, speranza africana
Nigeria, speranza africana

55. La prima volta può essere indimenticabile, ma in altri casi tradisce. A dispetto di una squadra ricca di talenti ed individualità (Dzeko, Lulic, Pjanic, Ibisevic) ed il grande cammino nelle qualificazioni, la Bosnia saluta anticipatamente la compagnia. Può sperare nella qualificazione, con grandi aspettative a questo punto, una Nigeria che negli ultimi due anni viene sistematicamente snobbata dagli addetti ai lavori, ma che dalla vittoria in Coppa d’Africa, difficilmente ha sbagliato colpi. Concreta, quadrata e soprattutto difensivamente organizzata, la squadra di Keshi ora deve capitalizzare contro l’Argentina quanto seminato nelle prime due partite. Il calcio africano aspetta ancora la squadra capace di piazzare un vero exploit: i quarti di finale raggiunti dal Camerun nel 1990, dal Senegal nel 2002 e dal Ghana nel 2010 non rappresentano più un risultato in linea con l’enorme popolarità del football nel continente nero.

Rimasugli di Svizzera – Francia 2-5

56. Sul gol annullato a fil di sirena di Benzema: una situazione più simile alla pallanuoto e al basket che al calcio, ma che proprio ai Mondiali trova un illustre precedente. Nel 1978, Brasile-Svezia 1-1, Zico segna all’ultimo secondo il gol della vittoria per la Selecao, ma l’arbitro fischia mentre viene battuto il calcio d’angolo.  E senza concedere il recupero: al contrario del gol francese però, quello avrebbe regalato la vittoria ai verdeoro: una beffa mica male…

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Fabio Belli Le Finali Mondiali

2002: Brasile-Germania 2-0. La finale delle finali e il ritorno del Fenomeno

di Fabio Belli

Il Guerin Sportivo, “bibbia” italiana dello sport per eccellenza, li chiamò in una memorabile copertina “gli immondiali“. L’edizione asiatica, la prima di tutti i tempi fuori dal circuito Europa-America, riportò in effetti la rassegna iridata indietro di circa quarant’anni. Ovvero, a Cile 1962, quando arbitri, fattore campo e polemiche sull’organizzazione finirono con lo svilire lo spettacolo. A Giappone e Corea del Sud non si poterono certo imputare lacune organizzative, anche se la logistica, con i lunghi spostamenti tra i due paesi, risultò particolarmente faticosa per tutte le partecipanti. Ma i coreani furono sospinti da arbitraggi sin troppo consenzienti, che li trascinarono fino ad un inimmaginabile, alla vigilia, quarto posto finale.

Brasile "pentacampeao" nel 2002
Brasile “pentacampeao” nel 2002

Si arrivò all’atto conclusivo soprattutto nel segno di Moreno e Ghandour: due arbitri, un ecuadoregno ed un egiziano, che fecero insorgere Italia e Spagna nelle gare degli ottavi e dei quarti, con due direzioni di gara che non si vedevano appunto dai tempi dell’inglese Aston, che fece prendere a pugni in faccia David e Maschio dal cileno Jorge Toro e dai suoi compagni esaltati da tanta impunità. Ma anche gli Stati Uniti, rivelazione del torneo, si videro pesantemente penalizzati nei quarti di finale contro la Germania, e le emozioni finirono con lo scarseggiare. L’impresa del Senegal nella partita inaugurale contro una Francia svuotata dal doppio titolo Mondiale ed Europeo, ed il quarto di finale tra Brasile ed Inghilterra furono alcuni tra i pochi momenti memorabili dell’edizione nippocoreana del 2002.

In tutto questo, Brasile e Germania andarono avanti nel segno delle loro caratteristiche peculiari: allegria e spensieratezza per la Selecao, solido pragmatismo per i teutonici, che dopo la delusione di Euro 2000, aprirono un nuovo ciclo segnato dai gol di Miroslav Klose, la fantasia di Bernd Schneider e le parte di Oliver Kahn, autore di grandi prodezze nel cammino verso Yokohama e la finalissima. Nella squadra allenata da Felipe Scolari, gli elementi decisivi che si combinarono assieme furono quattro. La formidabile spinta sulle fasce di Cafu e Roberto Carlos, l'”addomesticamento” di Denilson, da genio incompreso a playmaker di lusso, anche se ancora un po’ intermittente, il duo Rivaldo-Ronaldinho, genialità allo stato pure, e soprattutto il ritorno del Fenomeno. A un anno dal terribile incidente nella finale di Coppa Italia tra Inter e Lazio, Ronaldo ha trascinato a un passo dallo scudetto i nerazzurri, prima dello psicodramma del 5 Maggio 2002 di nuovo contro i biancocelesti, stavolta fortunatamente solo sportivo.

Ronaldo, tornato assoluto protagonista nei Mondiali del 2002
Ronaldo, tornato assoluto protagonista nei Mondiali del 2002

Ma ai Mondiali Ronaldo spazzò via tutti i dubbi sulla sua tenuta fisica tornando a fare quello che gli riesce meglio: i gol. Si arrivò a Yokohama con Brasile e Germania di fronte. Dopo tante polemiche e delusioni, l’epilogo fu affascinante per due motivi. Si trovavano faccia a faccia le due squadre con più Mondiali in bacheca assieme all’Italia, e nonostante si trattasse di due Nazionali assiduamente presenti nella competizione (i brasiliani addirittura non ne hanno mai saltata una), era il primo confronto iridato in assoluto fra tedeschi e verdeoro, che mai si erano scontrate in nessuna delle edizioni fino ad allora disputate.

Una finale inedita e di assoluto prestigio, quando per il terzo e quarto posto si erano trovate di fronte la Corea del Sud, come detto sospinta da arbitraggi che definire “casalinghi” è riduttivo, e l’incredibile Turchia di Hakan Sukur, poi medaglia di bronzo. E le analogie rispetto al 1962 continuarono fino alla fine, poiché come allora fu il Brasile a salvare il prestigio della competizione, laureandosi Campione del Mondo a suon di magie (da Garrincha & Amarildo a Rivaldo & Ronaldinho), e sfruttando come allora gli errori in finale di quello che era stato il miglior portiere della competizione. Quarant’anni dopo Schrojf, toccò a Oliver Kahn cadere sotto i colpi di Ronaldo, autore di una doppietta che ne segnò la rinascita come l’Araba Fenice. Ma dopo tante prodezze, stavolta ai meriti del Fenomeno si sommarono i demeriti del portiere tedesco, che aveva preso anche le noccioline tirate dagli spalti contro americani e coreani, per poi incappare nella più classica delle papere al momento decisivo. Corsi e ricorsi della storia: di uniche restano le stranezze del Mondiale asiatico, e le prodezze di un Brasile da record, divenuto nella notte di Yokohama “Pentacampeao“.

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Fabio Belli Le Finali Mondiali

1998: Francia-Brasile 3-0. Le “sliding doors” di Ronaldo e Zinedine Zidane

di Fabio Belli

A sedici anni di distanza da quello che è stato l’ultimo Mondiale vinto da chi giocava in casa, si può dire che quello della Francia nel 1998 è stato davvero il delitto perfetto. E’ vero, il Brasile ha ottime chance per riprovarci nell’edizione ormai prossima, e la globalizzazione del calcio negli ultimi 28 anni ha portato il Mondiale in nazioni (Messico, Stati Uniti, Corea del Sud, Giappone, Sudafrica) senza squadre in grado di capitalizzare il fattore campo. Ma restando ai tempi moderni, tedeschi e italiani possono guardare con invidia a quanto costruito attorno ai “bleus” dai francesi in quell’estate di fine anni novanta.

L'Equipe de France per la prima volta Campione del Mondo
L’Equipe de France per la prima volta Campione del Mondo

E’ stato il delitto perfetto perché prima di loro c’erano riusciti anche inglesi ed argentini, ma facendo leva molto di più sul fattore ambientale. L’albiceleste del ’78 andò ai limiti del regolamento ed oltre, se ricordiamo la “marmelada peruana“, senza scomodare le pressioni del regime di Videla. L’Equipe de France ’98 si avvalse di una macchina organizzativa d’efficienza al pari solo di quella teutonica di Monaco ’74, quando tutto andò come doveva andare senza scomodare arbitri o strane manovre, fatta eccezione per una robusta inzuppata nel campo nella partita che di fatto valeva come una semifinale, contro la Polonia. La Francia fu impeccabile: squadra sempre protetta dal tifo incessante dello stadio nuovo di zecca, lo “Stade de France” di Saint Denis, buon sorteggio sfruttato al meglio col primo posto nel girone, nessuna nevrotica deviazione da Parigi, alla stregua dell’Italia nel ’90.

Certo, sportivamente parlando, un paio di sbandate ci furono. Innanzitutto Zinedine Zidane, chiamato ad arrivare dove neppure Le Roi Michel Platini era riuscito ad arrampicarsi, che si fa cacciare per un fallo di reazione contro l’Arabia Saudita, non esattamente una partita in grado di produrre chissà quali pressioni. Quindi, le sofferenze negli ottavi contro il Paraguay del monumento Chilavert, vittoria al golden goal, e contro l’Italia nei quarti, quando gli azzurri giocarono troppo tardi la carta Roberto Baggio, e dopo un assedio lungo un’ora e mezza e dei supplementari coraggiosi, videro infrangersi i loro sogni sulla traversa di Gigi Di Biagio. Ancora i rigori condannarono gli azzurri, per la terza volta consecutiva: passato lo “spaghetto”, i francesi ribaltarono una semifinale pazza contro la Croazia. Pazza perché Suker e compagni si fecero beffe della pressione di Saint Denis passando in vantaggio, ma si ritrovarono battuti da una doppietta di Lilian Thuram, uno che col gol, di mestiere, confidenza non doveva proprio averne.

Così, quando a Saint Denis si deve giocare la finalissima, qualcuno nell’Equipe de France comincia ad avere un po’ paura. Il super-Brasile di Ronaldo, Denilson, Cafu, Edmundo, Bebeto (ma non Romario), ha giocato solo un ottavo di finale degno della sua fama. Il Fenomeno viene da una stagione in cui l’Inter ne ha potuto toccare con mano la forza d’urto, accontentandosi però solo di una Coppa UEFA. Stellare la prova di Ronaldo contro la Lazio, ma i rimpianti per la sfida con la Juventus per lo scudetto restano, e riguardano soprattutto gli arbitri. Alla vigilia della finale però, una certezza sembra farsi strada: Ronaldo e Zidane devono riscattare in finale un Mondiale fino a quel momento non all’altezza.

Zidane in cima al mondo il 12 luglio del 1998
Zidane in cima al mondo il 12 luglio del 1998

Un film molto in voga di quegli anni era “Sliding Doors“: Gwyneth Paltrow si ritrova in una storia improntata sui bivi infiniti del destino. E come quella sera le vite di quei due straordinari campioni divergano nettamente, è sbalorditivo. Tanto si apre una stagione di successi, vittorie e prodezze per Zidane, tanto una di amarezze, dolore, infortuni e obiettivi mancati per Ronaldo. In quella che è la stranissima, ancestrale simbologia dei Mondiali, la storia cambierà quattro anni dopo, quando dopo la Champions League vinta con lo storico gol al Leverkusen da Zidane con la maglia del Real Madrid, il francese sarà costretto a una mesta passerella da infortunato in Asia, mentre Ronaldo, dopo quattro stagioni amarissime, passate quasi tutte in infermeria, tornerà il Fenomeno.

Ma a Saint Denis il 12 luglio del 1998 le “sliding doors” del destino sono tutte per Zizou. Ronaldo, lo si saprà poi in uno scandalo di proporzioni planetarie, sta in piedi per miracolo. Vuoi lo stress, vuoi le infiltrazioni per le fragilissime ginocchia, prima della partita è stato colto da convulsioni violentissime in albergo: qualche compagno di squadra pensava fosse morto. Schierarlo in campo in quelle condizioni, di fronte agli occhi del mondo intero, resta un’offesa eterna a quello che è stato il suo straordinario talento. Zidane invece arriva nelle migliori condizioni psicofisiche possibili: la squalifica paradossalmente lo ha fatto arrivare fresco e riposato alle partite chiave, e arrivati all’intervallo ha già bucato due volte di testa un incredulo Taffarel. E’ il delitto perfetto, nemmeno l’assenza in difesa di Blanc, che ha baciato nel suo rituale immancabile la “pelata” del portiere Barthez in borghese perché squalificato, intacca le sicurezze transalpine. La cavalcata finale di Emmanuel Petit per il gol del 3-0 è quella di una Nazione intera verso una gloria rincorsa vanamente per 68 anni. Zidane finisce in cima al mondo, Ronaldo in fondo alla scaletta di un aereo: per rialzarsi, al Fenomeno serviranno i quattro anni più lunghi della sua vita.

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Andrea Rapino Le Finali Mondiali

1934: Italia-Cecoslovacchia 2-1 dts. Il record ineguagliabile di Luisito Monti

di Andrea Rapino

Lothar Matthäus si gustò la sua bella rivincita nella notte magica dell’Olimpico, così come fece Ronaldo a Yokohama nel 2002. L’elenco di giocatori che hanno alzato al cielo la Coppa del Mondo al secondo tentativo è lungo. Nella lista ce n’è però uno solo che può vantare un record singolare.

Nazionale_di_calcio_dell'Italia_-_Mondiali_1934Ovvero, Luis Felipe Monti, centromediano classe 1901, figlio di emigrati romagnoli in Argentina che nel 1930 s’è accontentato del secondo gradino del podio con la casacca dell’Albiceleste, e che nel 1934 si riscatta con la nazionale di Vittorio Pozzo.
Monti nasce a Buenos Aires, e si distingue soprattutto nel San Lorenzo, dove in otto anni gioca oltre 200 partite e porta a casa tre titoli nazionali. A farlo cedere al richiamo delle sirene italiane nel 1931 è la Juventus che sta infilando cinque scudetti consecutivi. Le porte della Penisola per gli stranieri sono chiuse, ma Monti e altri campioni sudamericani entrano dalla finestra grazie all’escamotage dell’italianizzazione sportiva. Nel 1931 disputa la sedicesima partita con la selezione argentina, e già l’anno successivo scende in campo nel primo dei suoi 18 incontri in maglia azzurra.

Non è il solo ad arrivare dall’altra sponda dell’Oceano tra i campioni del ’34. Di quella squadra si ricorda anche Enrique Guaita, attaccante non ancora 24enne da poco approdato alla Roma e subito stella giallorossa, in seguito “stroncato” dalla rocambolesca fuga notturna che nel 1935 lo riporterà in Argentina, spinto dalla paura per la chiamata alle armi per la campagna etiopica. C’è poi Raimundo Bibiani Orsi, che la Juventus ha condotto in Italia già da qualche anno, e che con l’Argentina ha perso la finale di Parigi del 1928, quando l’Olimpiade difatti assegnava la palma di selezione più forte del pianeta.

Luisito Monti in maglia bianconera
Luisito Monti in maglia bianconera

Monti però nei Mondiali italiani ha qualche motivo in più degli altri per essere assetato di rivincita, perché l’appuntamento col tetto del Mondo l’ha saltato due volte: ha perso sia la finale olimpica di Parigi ’28, sia quella del ’30 a Montevideo, dove tra l’altro è stato uno dei calciatori argentini che ha ricevuto minacce di morte alla vigilia della sfida con l’Uruguay. Inoltre si imbarcato per l’Italia bersagliato dalla stampa argentina che lo bolla subito come traditore, e torna a rinfacciargli proprio la scarsa verve nella sfida decisiva al Centenario.

L’italoargentino, che grazie alla prestanza fisica si ritrova il nomignolo “doble ancho“, cioè “armadio a due ante”, non delude il commissario unico che ne ha fatto il perno della mediana azzurra. Pozzo lo schiera in tutte e cinque le partite, compresa quella finale: con lui, nell’allora Stadio Nazionale del Pnf, sono grandi protagonisti gli altri “doppi connazionali”. La Cecoslovacchia fa tremare gli azzurri portandosi in vantaggio a un quarto d’ora dal termine con Puč, ma subito dopo Orsi pareggia sfruttando un assist di Guaita. Ai supplementari è di nuovo Guaita a servire la palla, stavolta girata alle spalle di Plánička da Schiavio, che vale la Coppa Rimet. Per l’Italia è festa. Luisito non lo immagina, ma lui è entrato nella storia anche come unico calciatore ad aver giocato due finali con due Nazionali diverse: un primato che, con le regole attuali, nessuno potrà togliergli.

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Calciatori Fabio Belli

Roberto Mancini e il colpo di tacco che fece la storia al “Tardini”

di Fabio Belli

“Ma che hai fatto? Che hai fatto???” L’entusiasmo di Bobo Vieri, quasi fanciullesco, faceva forse parte del carattere di un personaggio che, tra gli spigoli della sua indole, ha sempre mostrato di divertirsi, giocando a pallone. Ma quella sera, correndo incontro la compagno di squadra che aveva appena siglato il gol del vantaggio, non aveva fatto altro che esternare il pensiero di milioni di persone che, quel gol, l’avevano visto in diretta televisiva.

“Il gol più bello della storia”, fu il titolo dell’editoriale dell’allora direttore del Corriere dello Sport, Mario Sconcerti, il lunedì successivo alla partita. Forse iperbolico, ma senza mettersi a questionare sullo slalom di Diego Armando Maradona a Messico ’86 contro l’Inghilterra, sulla rovesciata del cigno di Marco Van Basten nella finalissima di Euro ’88, o sulle prodezze di Roberto Baggio, Pelè, Ronaldo, Messi o chi per loro, va detto che il colpo di tacco con il quale Roberto Mancini, con indosso la maglia della Lazio, ammutolì il “Tardini” di Parma in una sfida-scudetto del 1999, fu l’apoteosi del gesto tecnico in questione. Cross da calcio d’angolo ed impatto perfetto con il pallone, spalle alla porta, con sfera piazzata all‘incrocio dei pali, dove Gianluigi Buffon, allora estremo difensore degli emiliani e già della Nazionale, proprio non poteva arrivare.

In quegli anni Buffon aveva un conto aperto con la Lazio: neanche un anno dopo dal colpo di tacco di Mancini, subì un clamoroso gol da quasi 40 metri dal mediano biancoceleste Almeyda, una prodezza al volo irripetibile per l’interditore argentino, polmoni poderosi ma piedi poco nobili, ma forse per chiunque. Ma quel colpo di tacco fu una magia improvvisa, in una partita fino a quel momento equilibrata tra due squadre che si stavano giocando il primo posto. Una nuova scala del calcio, composta in quella stagione anche dalla Fiorentina allenata da Trapattoni, che si fece beffare sul filo di lana dal Milan di Zaccheroni, forse il più sparagnino della storia, ma trascinato da una forza irresistibile, quella della sorte, verso il suo sedicesimo scudetto.

La Lazio si riprenderà dalla delusione l’anno successivo, quello della pioggia di Perugia. Ma se si parla con la maggioranza dei tifosi biancocelesti, quasi tutti diranno che era quella squadra, quella che vinse a Parma con il colpo folle di Mancini, la più forte in assoluto della pur munifica gestione Cragnotti. In quella stagione e all’alba di quella successiva arrivarono due trofei europei a stretto giro di tempo, ma non lo scudetto, anche se la notte del “Tardini” sembrava spalancare a quella formazione qualunque possibilità. Mancini segnò il secondo gol laziale, ma quella partita finì tre a uno: il tris lo firmò proprio Vieri, conclusione di collo pieno, potentissima, alle spalle di Buffon nel finale di partita. Dopo quel gol, Bobo prese il pallone e se lo portò via, come per dire: dopo quello che vi abbiamo fatto vedere, questo ce lo portiamo a casa noi. E se non fu il più bello della storia, poco ci mancò…