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Club Fabio Belli

Rayo Vallecano, i Matagigantes

di Fabio BELLI

Madrid è una città nella quale si respira calcio ventiquattro ore al giorno. Tanti sono i fattori concomitanti che portano a questa passione, di sicuro nella capitale spagnola la storia del football è stata scritta dalla leggenda del Real Madrid ma, alle spalle delle merengues, il cammino dell’Atletico parla di una squadra capace spesso di stravincere in patria ed anche in Europa. Tanto che Madrid è l’unica capitale europea a vantare la presenza di due squadre Campioni del Mondo per Club. In questo scenario fatto di decine e decine di titoli nazionali e internazionali conquistati dalle due formazioni, fa impressione pensare all’esistenza di un piccolo club, in uno stadio ancor più minuscolo che ricorda i catini sudamericani di provincia degli anni ‘70, che è riuscito a ritagliarsi il suo spazio nel calcio dei grandi.

Schermata 03-2456374 alle 19.08.39Il Rayo Vallecano è la terza squadra di Madrid per risultati, ma probabilmente la prima per determinazione e forza di volontà. Il soprannome dei giocatori del Rayo da sempre è “Matagigantes“, ammazzagrandi, coniato nell’anno della prima promozione nella Liga, stagione 1977/78. I giganti del calcio spagnolo cominciarono infatti a fare i conti con quella squadra che, con una maglia che si dice sia un omaggio a quella del River Plate ed il segno distintivo di un’ape disegnata sul petto (a volte anche grandissima, come negli anni ’80), con un budget mostruosamente inferiore a quello delle big, riusciva spesso ad ottenere risultati sbalorditivi. Come negli anni ’90, quando la squadra che vantava gioielli come Toni Polster e Hugo Sanchez, ex leggenda del Santiago Bernabeu, si divertiva ad impallinare Barcellona e Real Madrid. Storiche sono le vittorie casalinghe contro il Real, 2-0 nel 1992/93 e di misura il 19 febbraio del 1997, 1-0, fino al successo nell’ultimo scontro finora disputato in campionato contro le merengues, sempre per 1-0 nel 2019. Ancor di più lo fu però la prima vittoria di sempre al Bernabeu, stagione 1995/96, 2-1 per il Rayo, con gol decisivo rimasto nella storia del brasiliano Guilherme. Il Camp Nou venne invece espugnato per la prima ed ultima volta alla terzultima giornata del campionato 1999/00, il migliore della storia del Rayo con la qualificazione in Coppa UEFA, 2-0 e blaugrana ammutoliti.

Fuochi di gloria in una storia ricca anche di sofferenze, fino alla caduta in terza divisione dalla quale il Rayo si è poi risollevato tornando a giocare nella Liga, per poi retrocedere di nuovo in “Segunda” nella scorsa stagione. Sofferenze che vanno di pari passo con l’anima proletaria della squadra: l’ape sulla maglia del Rayo non è regina ma operaia, così come popolati da operai sono gli alveari di Vallecas, il quartiere dormitorio col reddito medio più basso di Madrid, dove sorge lo stadio Teresa Rivero, il catino di cui sopra intitolato alla madrepadrona del Rayo, tredici figli, trentasei nipoti ed un marito curiosamente esponente dell’ultradestra, in un ambiente assolutamente legato, dalla tifoseria in primis, all’estrema sinistra. Il “Teresa Rivero” nel 2001 ha visto i quarti di finale di Coppa UEFA, ma anche partite di terza divisione, retrocessioni e dure sconfitte contro le ricchissime formazioni rivali, così come il quartiere di Vallecas è fatto di orgoglio operaio, grandissima dignità ma anche povertà e disagio. Il fatto però che una realtà come il Rayo resista anche nel moderno calcio ultramiliardario, e che campioni come Cristiano Ronaldo e Messi siano stati costretti nella loro carriera farsi piccoli, ed entrare nei portoncini stile campetto di periferia del “Teresa Rivero” per strappare i loro faraonici ingaggi, resta uno degli aspetti più belli non solo del football, ma di tutto lo sport moderno.

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Calciatori Valerio Fabbri

Alfredo Di Stefano: la “saeta rubia” non andò alla Roma per un autista di troppo

di Valerio Fabbri

Alfredo Di Stefano, scomparso di recente e ricordato come una vera e propria icona del calcio mondiale, agli inizi degli anni ’50 fu ad un passo dal vestire la maglia giallorossa e, con ogni probabilità, quella azzurra. Un retroscena poco noto eppure assai accattivante, ma è un dato di fatto che la saeta rubia, nata a Buenos Aires e naturalizzata spagnola, segnò la storia del Real Madrid e del calcio europeo dopo essere stato vicino firmare con la Roma di Renato Sacerdoti, il Banchiere di Testaccio che, dopo aver fiutato l’affare, fece marcia indietro fra mille timori.

E’ una storia gloriosa quella di Di Stefano. Cresce calcisticamente nel River Plate, dove fa il suo esordio giovanissimo in un gruppo dove la stella è el maestro Adolfo Pedernera. Quella squadra raccoglie successi a ripetizione e forma anche l’ossatura dell’Albiceleste che conquista la Copa America del 1947. Tuttavia, in seguito a problemi interni alla federazione argentina, Pedernera tenta l’avventura in Colombia con i Millonarios, la cui proprietà strapaga i calciatori e solleva diversi dubbi sulla liceità dei suoi contratti dorati, peraltro anticipando di oltre mezzo secolo sceicchi ed oligarchi. La Lega colombiana (DIMAYOR) asseconda l’ascesa dei Millonarios e si libera le mani abbandonando la Federazione colombiana. Riceve anche una squalifica dalla FIFA, ma continua per la sua strada: accogliere giocatori stranieri promettendo lauti guadagni.

Pedernera non è solo un fenomeno con i piedi, ma anche un vero e proprio leader. Ai Millonarios porta, tra gli altri, Di Stefano e Nestor Rossi: inizia il periodo del cosidetto El Dorado del calcio colombiano, meta prediletta anche di calciatori europei (ungheresi, cecoslovacchi, qualche italiano), che primeggerà per diversi anni in America latina e non solo. A Bogotà 5000 tifosi accolgono gli ex del River, la stampa è in delirio, un intero paese si esalta. Per i Millonarios la concorrenza è modesta. A sentire Di Stefano giocano con la tattica del “5 con balletto”: una volta inflitte 5 reti all’avversario, si inizia a “danzare” con la palla per evitare umiliazioni. Ciò non toglie che segnerà 267 gol in 292 partite.

Di Stefano diventa per la stampa colombiana el alemano, per il fisico fuori dall’ordinario e i capelli chiari, caratteristiche non indifferenti alle donne colombiane. Mette in bacheca titoli a ripetizione, di squadra e individuali, ma il Patto di Lima (ottobre 1951) obbliga la DIMAYOR a rientrare nei ranghi Lega e FIFA, e a favorire il deflusso dei calciatori stranieri con contratti irregolari. Un esodo inverso che segna non solo la fine dell’El Dorado, ma anche il ritorno dei campioni alle squadre d’origine. Di Stefano però non ha voglia di rientrare a Buenos Aires, e durante una tournée europea con Los Millonarios fa sapere alla Roma che la città gli piace e giocherebbe volentieri con i giallorossi. Chiede 70 mila dollari all’anno e un autista personale, condizioni alla portata di Sacerdoti, che però teme di ritrovarsi un giocatore sul viale del tramonto, pronto a svernare nella città della Dolce Vita.

Le voci infondate di vincoli contrattuali e ritorsioni della Lega colombiana scoraggiano la Roma, che acquista Ghiggia dal Penarol. Los Millonarios vanno poi in Spagna per altre amichevoli e la storia cambia. Il Barcellona e’ pronto a chiudere l’affare, ma Santiago Bernabeu non ci sta e riceve addirittura il supporto indiretto del governo: eventuali fortune calcistiche dei blaugrana con Di Stefano potrebbero incoraggiare spinte autonomistiche dei catalani, meglio Madrid. Con la promessa di un’alternanza di maglia – una stagione a Madrid e una a Barcellona – il tormentone trova la sua fine. Di Stefano firma alle stesse condizioni proposte alla Roma, incluso l’autista. Ovviamente non si muovera’ dal Real, anzi ne diventera’ un simbolo, antesignano dei “galacticos”, e ne segnera’ la storia firmando in tutte le vittoriose finali di Coppa Campioni tra il 1956 e il 1960.

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#Contromondiali Fabio Belli

#Contromondiale 02: #Cafeteros, #Gallina, #TeoGutierrez, #Uruguay, #Campbell, #Italia, #staystrongfisioterapista

di Fabio Belli

Colombia – Grecia 3-0

La Colombia aveva già interpellato un'esperta per essere sicura di vincere
La Colombia aveva già interpellato un’esperta per essere sicura di vincere

9. Gli emuli del “Polpo Paul”, che nel 2010 si spostava verso la bandiera della squadra vincente nella partita per la quale veniva interpellato, negli anni si sono moltiplicati. La Gallina colombiana è sicuramente partita col piede giusto: considerando come sono iniziati questi Mondiali, la gallinella è già un pezzo avanti rispetto a tanti quotatissimi esperti, che per bucare le previsioni peraltro non si accontentano di un pugno di becchime. Anzi…

Il "caratterino" di Teofilo Gutierrez
Il “caratterino” di Teofilo Gutierrez

10. Teofilo Gutierrez, tra i migliori in campo dei “Cafeteros”, ha una reputazione da Bad Boy che Balotelli al confronto è l’idolo delle orsoline. La rissa è il suo mestiere, e poca differenza fa se di fronte ci sono arbitri o avversari. Uno sputo galeotto verso un direttore di gara ai tempi della sua militanza nel Racing di Avellaneda, gli ha fatto rischiare 30 giornate di squalifica. Ora gioca nel River Plate, ed ha iniziato il Mondiale sostituendo un certo Radamel Falcao. E andando subito a segno.

Uruguay – Costa Rica 1-3

100 pacchetti di figurine, ma di Joel Campbell neanche l'ombra. Ora il Mondo lo conosce meglio...
100 pacchetti di figurine, ma di Joel Campbell neanche l’ombra. Ora il Mondo lo conosce meglio…

11. Si meriterebbe un posto nella lista della spesa, lunghissima e sempre molto ricca, che i club di tutto il mondo si appuntano a fine Mondiale. Ma su Joel Campbell, mattatore della grande sorpresa del match di Fortaleza, autore di un gol e un assist contro l’Uruguay, ha già messo da tempo le mani l’Arsenal. Bravi i Gunners a crederci e a mandarlo già a giocare da due anni all’estero: ora probabilmente farà ritorno all’Emirates, dove già lo conoscono bene, mentre tutto il mondo si chiedeva chi fosse. D’altronde, prima dell’esordio Campbell aveva “twittato” il suo disappunto perché, su cento pacchetti di figurine ufficiali di Brasile 2014, la sua non era uscita fuori neanche una volta.

Anche Homer Simpson sembra voler scherzare su sulla debacle uruguaiana
Anche Homer Simpson sembra voler scherzare su sulla debacle uruguaiana

12. Il disappunto dell’Uruguay non è inferiore a quello della Spagna: in uno dei gironi di ferro del Mondiale, la Costa Rica doveva essere la squadra materasso, e invece orfani di Suàrez, gli “orientales” vedono già a rischio la difesa del quarto posto di quattro anni fa. La partita d’esordio nel Mondiale resta comunque indigesta all’Uruguay, che non vince il suo primo match iridato dall’edizione del 1970, 2-0 contro Israele.

Inghilterra – Italia 1-2

Tifosi all'Arena Amazonas: ma non ditelo alle mogliettine...
Tifosi all’Arena Amazonia: ma non ditelo alle mogliettine…

13. Raggiungere Manaus, nel cuore della foresta amazzonica, è sicuramente una nota di merito per i tifosi, una medaglia che può restare sul petto per tutta la vita. All’Arena Amazonia gli inglesi erano in maggioranza rispetto ai tifosi azzurri, ma il pubblico brasiliano ha preso le parti di Pirlo e compagni. Ma i veri vincitori sono questi supporters che nello striscione hanno specificato: “Non riprendeteci: le nostre mogli credono che siamo nel Galles occidentale a pescare.” Appello disatteso…

Per raggiungere l'Arena AmazoniA bisogna attraversare una modesta barriera di vegetazione
Per raggiungere l’Arena Amazonia bisogna attraversare una modesta barriera di vegetazione

14. Parlando della partita, è evidente come abbia funzionato la “catena” di destra, con Darmian autentica rivelazione e Candreva scatenato, assist-man perfetto per il gol vittoria di Balotelli. Meno ha funzionato la difesa, con Chiellini un po’ spaesato a sinistra e Paletta in difficoltà nel contesto Mondiale. Tanto che su Twitter l’hashtag #Paletta tra primo e secondo tempo è balzato in testa sulla piattaforma di microblogging. Superato però decisamente da #staystrongfisioterapista: Gary Lewin, fisioterapista dell’Arsenal oltre che della Nazionale inglese, per festeggiare il gol di Sturridge è caduto su una bottiglietta d’acqua poggiata in terra, procurandosi una brutta storta alla caviglia. Per lui, Mondiale finito, e per i Tre Leoni ora parte la caccia al fisioterapista… del fisioterapista.

Costa D’Avorio – Giappone 2-1

Drogba & Gervinho, la coppia d'oro della Costa D'Avorio
Drogba & Gervinho, la coppia d’oro della Costa D’Avorio

15. Costa D’Avorio-Giappone ha rappresentato una sfida per i tifosi europei: dall’Arena Pernambuco la partita è iniziata alle due di notte in Inghilterra, alle tre a Roma, alle quattro ad Atene e alle sei del mattino di Mosca. E’ partita una gara di resistenza che ha coinvolto tutti nel Vecchio Continente. In Giappone il match è iniziato alle dieci del mattino, e per i nipponici il risveglio è stato amaro. Squadra di Zaccheroni rimontata, match cambiato dall’ingresso di Didier Drogba che si è dimostrato per l’ennesima volta cavallo di razza: i Campioni, alla fine, sono sempre loro.