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Calciatori Fabio Belli

Liam Brady: il “calciatore intelligente”

di Fabio BELLI

Il concetto di “calciatore intelligente” è stato sviscerato negli anni spesso in un’unica direzione: ovvero, il giocatore a volte impegnato fuori dal campo, capace di esprimere concetti fuori dal coro, genio e sregolatezza che spesso si riflettevano però sul campo con prestazioni non sempre all’altezza della situazione. Per calciatore intelligente, però, si può anche intendere un termine squisitamente tecnico. Ovvero, il classico faro capace di guidare e leggere il gioco con quell’anticipo indispensabile per prendere in controtempo gli avversari. Tra i più intelligenti di sempre, in questo senso, l’irlandese Liam Brady può ritagliarsi un posto di tutto rispetto.

Aria distinta, forse anche leggermente snob, per tutta la seconda metà degli anni ’70 Brady è stato l’orgoglio dei tifosi dell’Arsenal, proprio per quella qualità superiore, le capacità di tiro e di regia del suo vellutato piede sinistro, che spiccavano in una squadra che, fino all’avvento di Arsene Wenger, era additata come sparagnina ed operaia (il “boring Arsenal nei cori di dileggio dei tifosi avversari). Brady era l’esempio che anche i Gunners potevano avere tra le loro fila un centrocampista raffinato, di dimensione europea, anche se la sua epopea a Londra Nord si esaurì con una FA Cup vinta nel 1979 e la grande delusione della finale di Coppa delle Coppe perduta l’anno successivo contro il Valencia.

Partito capellone, Brady vide la sua fronte perdere progressivamente la chioma nel corso della carriera da calciatore. “Gioca troppo a testa alta e prende troppa aria“, ridacchiavano bonariamente sulle tribune di Highbury i tifosi, in realtà omaggiando la sua grande eleganza palla al piede. Risero meno quando, alla riapertura delle frontiere nel campionato italiano, tra gli stranieri d’importazione il nome di Brady spiccò nella rosa della Juventus che puntò su di lui per garantirsi una solida e raffinata regia a centrocampo, dopo aver perso gli ultimi due assalti allo scudetto. Dopo 235 presenze e 43 gol in sette stagioni nella massima serie inglese, Brady lasciò l’Arsenal fra le lacrime di commozione dei tifosi.

L’ambientamento a Torino fu parecchio complicato, il suo stile per la rocciosa squadra allora allenata da Giovanni Trapattoni era forse troppo compassato per gli aspri ritmi della Serie A. A rimetterlo in riga ci pensò Beppe Furino, il “quattropolmoni” dei bianconeri che non aveva la classe del sinistro di Brady ma che, correndo a centrocampo anche per lui, non aveva problemi riguardo troppi palloni persi e scarso impegno. La musica cambiò già nella seconda metà del campionato 1980/81, conquistato dalla Juventus dopo una lunga sfida a distanza con Roma e Napoli. Il duello più emozionante fu quello dell’anno successivo contro la Fiorentina di Picchio De Sisti in panchina e Giancarlo Antognoni in campo. Le due squadre arrivarono a pari punti all’ultima giornata, in vetta alla classifica: ma mente i viola pareggiarono a Cagliari, la Juventus espugnò il “Ceravolo” di Catanzaro grazie ad un rigore trasformato da Brady con una proverbiale freddezza che i tifosi bianconeri ancora ricordano.

Vinto il secondo scudetto di fila, l’avvocato Agnelli lo sacrificò sull’altare dell’arrivo a Torino di Michel Platini. Brady non fece una piega, passando a dettare i tempi del gioco, sempre a testa alta, a Genova sponda Samp. In Italia si trovò bene, l’Inter lo pagò tre miliardi e mezzo per affidargli le chiavi del centrocampo ma arrivò solo a sfiorare per due anni consecutivi la finale di Coppa UEFA. Quindi, complice qualche acciacco, un passaggio all’Ascoli, allora provinciale di lusso. Nel 1987 decise di tornare in Inghilterra per chiudere la carriera e qualche tifoso dell’Arsenal sperò in un suo ritorno ma la sua scelta cadde sul West Ham: troppo intelligente, Brady, per non capire che le minestre riscaldate difficilmente riescono saporite.

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Club Fabio Belli

La storica eliminazione del 1992: Wrexham-Arsenal e il miracolo al Racecourse Ground

di Fabio Belli

Nick Hornby nel suo celeberrimo “Febbre a Novanta” prende questa sconfitta come metro di paragone per il fatto che nessun momento felice, nel calcio, dura mai abbastanza a lungo. Dopo un’attesa ventennale la vita dello scrittore e dell’Arsenal sembrano prendere la piega desiderata, ma sul più bello, nel pieno della gestione di George Graham che ha riportato i Gunners alla gloria nazionale, arriva la doccia fredda. Nella stagione 1991/92, ambizioni europee frustrate dal Benfica, e quelle interne dal… Wrexham. Quanto accaduto il 4 gennaio del 1992 al Racecourse Ground, nel terzo turno di FA Cup, resta impresso nella memoria di tutti i tifosi inglesi e gallesi, e torna d’attualità con l’altrettanto clamorosa eliminazione, nel primo turno della Coppa di Lega, del Manchester United per mano del Milton Keynes Dons.

Quella però è storia di oggi: sono invece passati ventidue anni dal miracolo del Racecourse Ground, uno dei campi più gloriosi del Galles, casa del Wrexham e spesso anche della Nazionale locale. Uno stadio che il Guinness dei Primati riconosce come il più antico della storia del calcio tra quelli ancora in piedi. A livello di club, il momento più alto al Racecourse fu vissuto senza dubbio in quella fredda giornata di gennaio, con le festività natalizie ancora non del tutto consumate.

Il fascino della FA Cup è noto: si parte dagli scontri tra le più piccole, amatoriali, sconosciute realtà del calcio britannico, e man mano si arriva al fatidico terzo turno, dove le formazioni in grado di azzeccare una buona serie di vittorie nelle fasi preliminari, possono arrivare ad affrontare i giganti del calcio inglese. Così accadde al Wrexham, che nel 1992 si trovava in quarta divisione, in declino dopo un passato di tutto rispetto, che negli anni ’70 aveva portato il club a disputare anche i quarti di finale della stessa FA Cup, e quelli di Coppa delle Coppe contro l’Anderlecht, competizione alla quale i club gallesi che partecipavano ai campionati inglesi potevano comunque accedere, grazie ai successi nella coppa nazionale del Galles.

A Racecourse Ground si presentò un Arsenal capace di centrare due titoli nazionali nel 1989 e nel 1991, e che George Graham aveva trasformato, modernizzando un impianto di gioco che, oltre a costare alla squadra di soprannome di “Boring Arsenal“, era ormai sorpassato ed era costato al club troppi insuccessi. Ma come dicevamo all’inizio, nulla di bello dura mai abbastanza a lungo. La campagna d’Europa nel nuovo Super-Arsenal si era già interrotta prima del tempo, ma nessun tifoso assiduo frequentatore di Highbury poteva immaginare cosa sarebbe accaduto nel Nord del Galles in quel terzo turno di FA Cup.

Di vittorie contro il pronostico la storia del calcio è piena zeppa, ma quella colpì un immaginario collettivo che riteneva impossibile che i campioni d’Inghilterra capitolassero di fronte ai piccoli gallesi, soprattutto quando i 13343 del Racecourse Ground videro Alan Smith piazzare il pallone in fondo al sacco per il vantaggio dei Gunners. Ma a quel punto l’uomo del destino divenne Mickey Thomas, 37 anni, ex nazionale gallese capace di piazzare un calcio di punizione al fulmicotone alle spalle di David Seaman. Il Racecourse, che pure ne aveva viste nella sua già ultracentenaria storia, divenne una bolgia che esplose definitivamente quando il giovane Steve Watkin realizzò l’incredibile sorpasso. 2-1, e come Hornby racconta, i commentatori della BBC ringraziarono il tecnico del Wrexham per aver “deliziato milioni di persone”. Segno che la cattiva fama del “Boring Arsenal” non era stata cancellata da due stagioni di successi. Poi venne Arsene Wenger, ma quella è un’altra storia, esattamente come Milton Keynes-United.