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Calciatori Fabio Belli Nazionali

Jurgen Sparwasser: 45 anni fa il gol che abbatté il Muro per una notte

di Fabio BELLI

In Germania Est, in pieni anni ’70, lo sport era sfoggio atletico di olimpismo. I calciatori erano prevalentemente scarti di altri sport, non molto considerati dall’opinione pubblica ma soprattutto dai vertici della DDR, interessati a propagandare la forza della Germania Orientale tramite l’atletica, la ginnastica, il nuoto. Quando le due Germanie il 22 giugno 1974 si trovarono così di fronte nella gara che assegnava la vetta nella prima fase a gironi dei Mondiali del ’74, la partita assumeva contorni socio-politici storici, ma dal punto di vista sportivo nessuno si aspettava grandi cose dalla formazione dell’Est che peraltro aveva già fatto la storia nelle due precedenti partite entrando tra le prime otto del mondo per la prima volta nella propria storia.

La corsa al primo posto sembrava di esclusivo appannaggio della Germania Occidentale: piena zeppa di campioni, passando da Beckenbauer a Gerd Muller e arrivando fino al dualismo tra Overath e Netzer, non poteva farsi sfuggire il primato del girone per regalarlo ai cugini dell’Est. Giocando in casa poi! La partita si svolgeva al Volksparkstadion di Amburgo, e la tensione cominciò a montare giorni prima del faccia a faccia. Vennero concessi 8.500 biglietti per i tifosi provenienti dall’Est, i quali solo per il giorno della partita, e strettamente per il tempo necessario al viaggio, poterono usufruire di un visto turistico per oltrepassare il muro di Berlino, marcati stretti e schedati dai VoPos che controllavano l’afflusso in entrata e in uscita. Si diceva addirittura che la Banda Baader-Meinhof, il più temuto gruppo terroristico tedesco in assoluto, fosse pronta ad imbottire lo stadio di tritolo per approfittare dell’enorme visibilità che l’evento avrebbe avuto a livello mondiale.

Fortunatamente nulla di tutto questo accadde ed anzi la partita risultò essere una delle più interessanti del Mondiale. Ci furono occasioni da gol da una parte e dall’altra, Kreische per la Germania Est e Grabowski per la Germania Ovest fallirono nel primo tempo comodissime opportunità. Gli occidentali di Helmut Schoen, col peso del pronostico, non solo in merito alla partita ma con l’intero Mondiale ed il ruolo di padroni di casa sulle spalle, non riuscirono ad esprimere al meglio il loro potenziale. Si arrivò a 13′ dalla fine col punteggio ancora in parità e la sensazione che un eventuale 0-0 finale avrebbe salvato capra e cavoli, permettendo alla RFT di chiudere in testa e alla DDR di fare bella figura smorzando così ogni tipo di eventuale tensione.

Arrivò però il minuto 78, quando dalle retrovie Kurbjuweit fece partire un lungo lancio sul quale la difesa della Germania Ovest si trovò impreparata: il centravanti Jurgen Sparwasser, stella del Magdeburgo vincitore di una Coppa delle Coppe ai danni del Milan, addomesticò la sfera di testa e, dopo averla lasciata rimbalzare, si liberò di Vogts scagliando il pallone alle spalle di un impietrito Maier. La Germania Est si prese così partita e primo posto, e per la prima volta il regime della DDR celebrò l’impresa con toni trionfalistici. Si parlò di premi grandiosi per gli eroi di Amburgo guidati dal CT Georg Buschner, che in realtà ricevettero una gratifica di soli 2500 marchi, già pattuita alla vigilia del Mondiale in caso di passaggio del turno. E se la Germania Ovest si consolò della prima sconfitta nell’unico vero derby mai disputato in un Mondiale proprio con la conquista del titolo iridato, gli alti papaveri della DDR, circa un decennio dopo, incassarono la beffa della fuga di Sparwasser verso l’Ovest: proprio lui, l’eroe di una generazione che anticipò ancora una volta i tempi, prima che il muro si sbriciolasse per sempre.

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Calciatori Fabio Belli

Luciano Re Cecconi, un centrocampista del futuro incatenato nel passato

di Fabio Belli

Il 18 gennaio del 1977 Luciano Re Cecconi, una delle anime dello scudetto laziale del 1974, restava ucciso al culmine di un tragico scherzo. I racconti di quel tardo pomeriggio romano nella gioielleria Tabocchini si sono susseguiti senza che emergessero mai aspetti in grado di chiudere una volta per tutte la vicenda. La versione ufficiale parlano di uno scherzo al gioielliere sicuramente inopportuno visto che ci si trovava all’apice degli anni di piombo, ma assolutamente innocente nella sua dinamica. Una rapina simulata con due dita che facevano sporgere il bavero della giacca, come i bambini. E un solo colpo di pistola, fatale, dalla mira incredibilmente precisa per un gioielliere che già aveva subito altre (vere) rapine, ma non aveva certo l’attitudine di un giustiziere della notte.

Re Cecconi con Giorgio Chinaglia
Re Cecconi con Giorgio Chinaglia

Destino. E per quanto Re Cecconi era benvoluto non solo dai suoi cari, ma da tutto l’ambiente biancoceleste e del calcio nazionale, la perdita umana risulta ancora incalcolabile. Ma la vicenda anche dal punto calcistico nasconde una morale amarissima: il nome di Re Cecconi viene indissolubilmente, inevitabilmente legato alla grottesca vicenda della sua morte, quando il giocatore in sé avrebbe meritato ben altra considerazione nell’immaginario collettivo. Re Cecconi rappresentava infatti il prototipo del centrocampista moderno, una delle creature più belle della macchina costruita da Tommaso Maestrelli, scomparso per ironia macabra di quel destino cinico e beffardo che ha avvolto quella squadra, poco più di un mese prima dell’angelo biondo.

All’epoca, la Lazio del 1974 visse il suo massimo splendore di pari passo con l’apogeo dell’esplosione del calcio atletico olandese e tedesco. La finale di Monaco ’74 assunse agli occhi di tutti i contorni di una svolta epocale, nel passaggio tecnico-tattico da quelli che erano stati i contenuti del Mondiale messicano di quattro anni prima. In molti trovarono analogie tra la Lazio e quell’Olanda, ma il modello vincente che si impose in quel periodo, proprio per le vittorie conseguite sul campo, fu quello teutonico. Il Bayern Monaco tre volte campione d’Europa si contrapponeva all’altra grande del periodo, il Borussia Monchengladbach. Che a centrocampo schierava una sorta di fotocopia di Re Cecconi, Gunter Netzer: stessi capelli biondi, stessa fisionomia, stesse movenze.

Gunter Netzer
Gunter Netzer

O meglio, quasi: il dinamismo di Re Cecconi, Netzer non lo ha mai avuto. Piedi più “nobili” sì, e questo ne compensava alcune carenze nella corsa. Tanto che il tedesco, pur soffrendo in Nazionale la rivalità con i colossi del Bayern, arrivò alla maglia del Real Madrid. In Italia “Cecconetzer”, come fu ribatezzato da alcuni, restava il fulcro di una Lazio che si giovava delle sue particolarità, uomo ovunque del centrocampo capace di siglare anche gol eroici come quello contro il Milan che fece esplodere l’Olimpico all’ultimo minuto, negli anni d’oro dell’epoea di Maestrelli. In quell’inizio di 1977 la Nazionale azzurra era in piena rifondazione, pronta a vivere una rinascita che dai Mondiali argentini sarebbe culminata nel titolo del 1982. Nonostante essere fuori dal circuito delle grandi squadre del Nord avesse sempre penalizzato Re Cecconi, difficile pensare che nella rifondazione di Bearzot non ci sarebbe stato spazio per “Cecconetzer”. L’orologio della sorte si fermò però per sempre su quel maledetto 18 gennaio del 1977, e l’immagine di Re Cecconi finì incatenata a quell’assurdo, tragico scherzo, mettendo in secondo piano le straordinarie qualità del calciatore, addirittura epocali a livello tattico.

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Club Fabio Belli

Lazio-Bayern Monaco del 1974: Chinaglia contro Muller in una Coppa dei Campioni mai disputata

di Fabio Belli

Pulici, Petrelli, Martini, Wilson, Oddi, Nanni, Garlaschelli, Re Cecconi, Chinaglia, Frustalupi e D’Amico da una parte. Maier, Hanser, Rohr, Schwarzenbeck, Beckenbauer, Kappelmann, Hadewicz, Durnberger, Muller, Hoeness e Wunder dall’altra. La prima è una formazione ben conosciuta dai tifosi della Lazio, quella dello storico primo scudetto del ’74. Il secondo è un gruppo entrato a pieno diritto nella leggenda del calcio, quello che ha sdoganato il calcio tedesco di club ai massimi livelli a livello internazionale. Ovvero, il Bayern Monaco per tre volte Campione d’Europa tra il ’74 ed il ’76. Si tratta solo di un’amichevole, giocata all’Olimpico di fronte ad oltre 50.000 spettatori, ma il match assumerà una valenza simbolica importantissima, perché sarà l’unica passerella europea di un certo spessore da parte della “Banda del ’74”.

Wilson e Beckenbauer ad inizio partita (fonte LazioWiki - Vincenzo Cerracchio)
Wilson e Beckenbauer ad inizio partita (fonte LazioWiki – Vincenzo Cerracchio)

La partita si disputa di martedì il 17 settembre del 1974, una data scelta non a caso, perché il giorno dopo la Lazio, fresca del trionfo in campionato del 12 maggio, avrebbe dovuto esordire nella massima competizione continentale. Per giocare la prima sfida in Coppa dei Campioni la Lazio dovrà invece attendere altri 25 anni, quando il torneo si è già trasformato in Champions League, nella sua prima sfavillante edizione a 32 squadre. Questo perché i biancocelesti pagarono salatissimi gli incidenti dell’anno prima in Coppa UEFA, nel match di ritorno dei sedicesimi di finale contro l’Ipswich Town. Una situazione che portò alla squalifica dalle Coppe Europee la Lazio, che contava però sull’intercessione di Artemio Franchi, all’epoca potentissimo dirigente calcistico italiano e soprattutto presidente dell’UEFA, per vedersi rivolto un atto di clemenza, e poter essere presente all’appuntamento con la storia.

Probabilmente è stata però proprio la politica a chiudere l’ultimo portone tra la Lazio e l’Europa: la squadra di Maestrelli era vista come una magnifica meteora, e al momento degli incidenti contro l’Ipswich, nell’autunno del 1973, in pochi in Italia pensavano che l’exploit della stagione precedente, con lo scudetto perduto per il gol di Damiani a Napoli a 2 minuti dalla fine del campionato, avrebbe potuto essere ripetuto. L’assenza di una formazione italiana nella Coppa dei Campioni 1974/75 era vista come un danno di immagine anche dai vertici federali, che non si adoperarono da subito sul caso Lazio-Ipswich, proprio perché pensavano che al massimo i biancocelesti sarebbero stati assenti dalla Coppa UEFA dell’anno successivo.

E invece, verso l’aprile del 1974 fu chiaro che il miracolo sfiorato l’anno precedente, si sarebbe compiuto: un’ingerenza pesante di Franchi a quel punto sarebbe stata vista come ad uso e consumo della federazione italiana, e il tempo giocò semplicemente a sfavore di Chinaglia e compagni. Quell’amichevole del settembre ’74 fu dunque solo un flash di quello che poteva essere e non è stato. All’epoca la leggenda del Bayern era appena iniziata, con la conquista della prima Coppa dei Campioni dei bavaresi nell’incredibile finale di Bruxelles contro l’Atletico Madrid, e con il titolo Mondiale nella finale, disputata proprio a Monaco, contro l’Olanda di Crujyff. Proprio il modello al quale era accostata la Lazio di Maestrelli, capace di portare in Italia dinamismo, squadra corta, diagonali degli esterni difensivi e particolarità fino a quel momento sconosciute alla tattica della Serie A.

Quella squadra, ansiosa di confrontarsi contro formazioni come il Leeds di Bremner e Lorimer (poi finalista in quell’edizione proprio contro il Bayern), il Barcellona di Crujyff, il Borussia Monchengladbach di Gunter Netzer e con lo stesso Bayern, dovette accontentarsi di quella passerella con Franz Beckenbauer e Gerd Muller. Schwarzenbeck, l’uomo che aveva strappato con il suo gol nel recupero dei supplementari la Coppa all’Atletico Madrid garantendo la ripetizione del match al Bayern, portò in vantaggio i tedeschi, ma la Lazio rispose nel finale con Franzoni, attaccante di riserva ricordato soprattutto per un suo gol nel derby d’andata nella stagione dello scudetto. Rimase un flash, un rimpianto, forse la conferma della consapevolezza di potersi giocare qualcosa di importante al gran ballo delle Grandi d’Europa: ma l’invito, alla fine, non arrivò mai per quella squadra pazza e meravigliosa.