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Calciatori Fabio Belli

Luciano Re Cecconi, un centrocampista del futuro incatenato nel passato

di Fabio Belli

Il 18 gennaio del 1977 Luciano Re Cecconi, una delle anime dello scudetto laziale del 1974, restava ucciso al culmine di un tragico scherzo. I racconti di quel tardo pomeriggio romano nella gioielleria Tabocchini si sono susseguiti senza che emergessero mai aspetti in grado di chiudere una volta per tutte la vicenda. La versione ufficiale parlano di uno scherzo al gioielliere sicuramente inopportuno visto che ci si trovava all’apice degli anni di piombo, ma assolutamente innocente nella sua dinamica. Una rapina simulata con due dita che facevano sporgere il bavero della giacca, come i bambini. E un solo colpo di pistola, fatale, dalla mira incredibilmente precisa per un gioielliere che già aveva subito altre (vere) rapine, ma non aveva certo l’attitudine di un giustiziere della notte.

Re Cecconi con Giorgio Chinaglia
Re Cecconi con Giorgio Chinaglia

Destino. E per quanto Re Cecconi era benvoluto non solo dai suoi cari, ma da tutto l’ambiente biancoceleste e del calcio nazionale, la perdita umana risulta ancora incalcolabile. Ma la vicenda anche dal punto calcistico nasconde una morale amarissima: il nome di Re Cecconi viene indissolubilmente, inevitabilmente legato alla grottesca vicenda della sua morte, quando il giocatore in sé avrebbe meritato ben altra considerazione nell’immaginario collettivo. Re Cecconi rappresentava infatti il prototipo del centrocampista moderno, una delle creature più belle della macchina costruita da Tommaso Maestrelli, scomparso per ironia macabra di quel destino cinico e beffardo che ha avvolto quella squadra, poco più di un mese prima dell’angelo biondo.

All’epoca, la Lazio del 1974 visse il suo massimo splendore di pari passo con l’apogeo dell’esplosione del calcio atletico olandese e tedesco. La finale di Monaco ’74 assunse agli occhi di tutti i contorni di una svolta epocale, nel passaggio tecnico-tattico da quelli che erano stati i contenuti del Mondiale messicano di quattro anni prima. In molti trovarono analogie tra la Lazio e quell’Olanda, ma il modello vincente che si impose in quel periodo, proprio per le vittorie conseguite sul campo, fu quello teutonico. Il Bayern Monaco tre volte campione d’Europa si contrapponeva all’altra grande del periodo, il Borussia Monchengladbach. Che a centrocampo schierava una sorta di fotocopia di Re Cecconi, Gunter Netzer: stessi capelli biondi, stessa fisionomia, stesse movenze.

Gunter Netzer
Gunter Netzer

O meglio, quasi: il dinamismo di Re Cecconi, Netzer non lo ha mai avuto. Piedi più “nobili” sì, e questo ne compensava alcune carenze nella corsa. Tanto che il tedesco, pur soffrendo in Nazionale la rivalità con i colossi del Bayern, arrivò alla maglia del Real Madrid. In Italia “Cecconetzer”, come fu ribatezzato da alcuni, restava il fulcro di una Lazio che si giovava delle sue particolarità, uomo ovunque del centrocampo capace di siglare anche gol eroici come quello contro il Milan che fece esplodere l’Olimpico all’ultimo minuto, negli anni d’oro dell’epoea di Maestrelli. In quell’inizio di 1977 la Nazionale azzurra era in piena rifondazione, pronta a vivere una rinascita che dai Mondiali argentini sarebbe culminata nel titolo del 1982. Nonostante essere fuori dal circuito delle grandi squadre del Nord avesse sempre penalizzato Re Cecconi, difficile pensare che nella rifondazione di Bearzot non ci sarebbe stato spazio per “Cecconetzer”. L’orologio della sorte si fermò però per sempre su quel maledetto 18 gennaio del 1977, e l’immagine di Re Cecconi finì incatenata a quell’assurdo, tragico scherzo, mettendo in secondo piano le straordinarie qualità del calciatore, addirittura epocali a livello tattico.

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#Contromondiali Fabio Belli

#Contromondiale 11: #Italia, #Morso, #Rimorso, #Suarez, #Dimissioni, #Grecia, #Samaras, #Mondragon, #Selfie

di Fabio Belli

Italia – Uruguay 0-1

Le nuove frontiere del cibo italiano
Le nuove frontiere del cibo italiano

66. Abbiamo già parlato di quanto i deja vu siano frequenti nei Mondiali. L’Italia si ritrova coinvolta in un’eliminazione tra grandi controversie arbitrali, come già avvenuto nel 1962 e nel 2002, quando un arbitro chiamato Moreno, così come in questo caso, scatenò l’ira dei tifosi azzurri. Il Moreno attuale è messicano e soprannominato Dracula, con il centravanti della squadra avversaria, Suarez, famoso per avere il “vizietto” di mordere gli avversari. Possibile che ci ricaschi con Dracula al fischietto? E soprattutto che Dracula non se ne accorga? Ovviamente sì: e il morso di Suarez a Chiellini rischia di diventare (anzi, forse già lo è) un cult alla pari della testata di Zidane a Materazzi nel 2006. In quel caso Horacio Elizondo non fece finta di non vedere, stavolta Dracula-Moreno sì: e questo è costato a lui le prossime partite del Mondiale, a Suarez una probabile, lunga squalifica, e all’Italia l’eliminazione. In una sorta di circolo inesauribile della storia mondiale azzurra.

Le eliminazioni dell'Italia ai Mondiali nel 1954 e nel 2014, trattate con enfasi differente dalla stampa
Le eliminazioni dell’Italia ai Mondiali nel 1954 e nel 2014, trattate con enfasi differente dalla stampa

 

67. Insomma, ce ne sarà di chi parlare a lungo, ma l’aspetto tecnico del match contro l’Uruguay non è scivolato in secondo piano. Anche e soprattutto perché l’espulsione (ingiustificabile errore, va detto) di Marchisio ha accelerato una deriva del match che, dopo un primo tempo di buon contenimento, aveva portato l’Italia ad arretrare paurosamente il baricentro dopo l’espulsione del nervoso, instabile ma probabilmente indispensabile (sì, qui andiamo controcorrente) Balotelli. Una scelta difensiva implosa quando qualcosa è andato storto, e non è un caso che invece di gridare all’ingiustizia (come avvenne nel 2002), i media italiani si siano scatenati contro il non-gioco espresso dagli azzurri dopo due anni di preparazione ed una finale europea. A parte qualche sprazzo contro l’Inghilterra peggiore dagli anni ’70, contro Costa Rica ed Uruguay i tiri in porta si sono contati sulle dita di una mano. A sessant’anni di distanza, si può comunque ammirare come sia cambiato il modo di reagire da parte dei giornali italiani ad un’eliminazione dell’Italia ai Mondiali.

"Prandelli, stai sereno".
“Prandelli, stai sereno”.

68. E parte la solita sequela del tutti contro tutti: Prandelli attacca la stampa, Abete se la prende col sistema, Marchisio con Suarez, Verratti con l’arbitro e tutti, ma proprio tutti, con Balotelli. Da Bearzot a Vicini a Sacchi, da Zoff a Trapattoni a Lippi, il rito delle dimissioni in Italia fa sempre scalpore, forse perché inusuale. Di sicuro ci troviamo ad un punto che ha riportato il calcio italiano indietro di circa 50 anni: dopo lo scandalo di Cile ’62, arrivò il diluvio Corea del Nord a svegliare un football azzurro addormentato (ma che allora già dominava con le milanesi a livello internazionale di club). Due eliminazioni al primo turno che tornano clamorosamente d’attualità, ora che dopo un’edizione del 2010 giocata colpevolmente (e lo si capisce ora) con la pancia piena e senza stimoli, si torna di nuovo a casa. Via Prandelli, via Abete, la Nazionale ha bisogno però di protagonisti veri anche in campo: perché il sistema-calcio italiano sarà in crisi profonda e non si può negare, ma paesi come la Costa Rica e lo stesso Uruguay, non si può dire che raggiungano risultati superiori ai nostri con investimenti finanziari maggiori e politiche più lungimiranti. Lavorare bene, alla lunga, paga più che lavorare tanto, al di là dei luoghi comuni.

Costa Rica – Inghilterra 0-0

I giornali inglesi i più severi nei confronti di Suarez
I giornali inglesi i più severi nei confronti di Suarez

69. Partita che aveva poco da dire: i “Ticos” hanno dimostrato una volta di più di meritare la qualificazione e il primo posto, gestendo il pari che serviva loro per chiudere in testa. Inghilterra senza stimoli, tanto che i giornali inglesi hanno preferito concentrarsi sul caso-Suarez, stella della Premier League. E in barba agli interessi del Liverpool, la stampa britannica c’è andata giù pesante, con titoli del tipo “squalificate questo mostro”. Con due morsi e una squalifica per razzismo già alle spalle, Suarez (che si era affidato anche a uno psicologo per evitare di cadere di nuovo in questo tipo di comportamenti) potrebbe andare incontro ad una squalifica a tempo che coinvolgerebbe anche i Reds.

Giappone – Colombia 1-4

Faryd (nelle figurine italianizzato in "Fabio") Camilo Mondragòn, recordman dei Mondiali a 43 anni, ai tempi di USA '94
Faryd Camilo Mondragòn, recordman dei Mondiali a 43 anni, ai tempi di USA ’94

70. Se non ci fosse Suarez, la storia del giorno sarebbe sicuramente la sua: Faryd Mondragòn, classe ’71, a fine partita si è piazzato tra i pali della Colombia ed è diventato il giocatore più anziano della storia dei Mondiali. A 43 anni, c’era già ad USA ’94, ed è allla sua terza Coppa del Mondo solo perché la Colombia era assente dalla rassegna dal ’98. Un momento emozionante, in parte rovinato dalla FIFA che non ha permesso al numero uno il giro di campo finale in compagnia dei figlioletti.

Grecia – Costa D’Avorio 2-1

71. Il collegamento tra Grecia ed Epica è sin troppo facile, ma da dieci anni a questa parte la Nazionale ellenica, a fronte di risorse decisamente limitate, sta riuscendo ad ottenere risultati incredibili. E soprattutto a sovvertire situazioni sulla carta irrimediabili. L’impresa di Euro 2004 è agli atti e nella storia, ma anche due anni fa negli Europei in Polonia e in Ucraina, si guadagnarono un quarto di finale contro la Germania quando l’eliminazione sembrava inevitabile. Stesso copione stavolta: dopo il rovescio iniziale contro la Colombia e lo scialbo pari contro i giapponesi, chi si aspettava la coppia Samaris-Samaras (a proposito: con il messicano Ochoa è il secondo svincolato decisivo a Brasile 2014, dov’è l’errore?) agli ottavi? E contro la Costa Rica, poi: comunque vada, tra le prime otto del Mondiale ci sarà una prima volta assoluta ed inaspettata.

Rimasugli di Croazia – Messico 1-3

72. Non ce ne vogliano Bradley Cooper, Ellen DeGeneres e le stelle degli Oscar, ma a nostro avviso il “selfie” dell’anno è questo. Que viva Mexico, Que viva Héctor Herrera!

Hector Herrera re dei "selfie"
Héctor Herrera re dei “selfie”
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Le Finali Mondiali Valerio Fabbri

1982: Italia-Germania Ovest 3-1. La vittoria più “italiana” di sempre

di Valerio Fabbri

Il Mondiale di Spagna 1982 è il Mondiale dell’urlo di Tardelli, del genio di Marazico, come fu soprannominato Bruno Conti per le sue magie sulla fascia, e dell’orgoglio di Bearzot, che riuscì a portare al trionfo gli azzurri creando un gruppo compatto, schermato dalla stampa e reduce dallo scandalo del calcio scommesse che aveva coinvolto tantissimi protagonisti di primo piano del calcio italiano.

Bearzot in trionfo: l'Italia è Campione del Mondo dopo 44 anni
Bearzot in trionfo: l’Italia è Campione del Mondo dopo 44 anni

Paradossalmente, l’Italia gioca peggio che nel 1978, ma porta a casa la Coppa. Qualificata solo per un gol in più rispetto al Camerun, nel gironcino per le finali la nazionale pesca Argentina e Brasile, il meglio che c’è in giro. Un finale che sembra già scritto, ma anziché firmare il proprio epitaffio, Zoff e compagni risorgono. Contro l’albiceleste Tardelli e Cabrini ci regalano la vittoria (2-1, Passarella); la partita rimane memorabile per la marcatura asfissiante di Gentile su Maradona. L’epopea azzurra è appena iniziata. A Barcellona contro il Brasile all’Italia serve una vittoria, mentre ai verdeoro, su cui si concentrano tutti i favori del pronostico, basta un pari. Pagheranno caro la loro ostinata presunzione di voler stravincere e condurre le danze anziché fare calcoli. Paolo Rossi, coinvolto nel calcio scommesse, difeso strenuamente da Bearzot nonostante prestazioni opache e due anni di inattività, come per magia si sblocca. Una sua tripletta vanifica i gol di Socrates e Falcao, Zoff sigilla l’impresa con un salvataggio sulla riga di porta al 90’. E’ delirio a Barcellona, ma anche in Italia, dove la gente si identifica sempre di più con una Nazionale vincente.

La Germania Ovest arriva in finale dopo aver superato ai rigori – è la prima volta in un Mondiale – la Francia di Platini, in vantaggio 3-1 fino ad una manciata di minuti dal termine dei supplementari. L’ingresso dell’infortunato Rummenigge sposta gli equilibri: prima accorcia con una botta da fuori, poi assiste la rovesciata di Fischer che pareggia i conti. Sulla partita pesa l’inervento criminale, è il termine adatto, del portiere tedesco Schumacher su Battiston, che rimane a terra con due denti rotti e due vertebre incrinate. Un’azione che avrebbe meritato rigore ed espulsione, e molto probabilmente indirizzato la partita verso un altro esito. Così non è stato e la Francia saluta. A Madrid ci aspettano i tedeschi.

Il Bernabeu straripa di tricolori: è tanta la gente arrivata dall’Italia per vivere una notte magica, con bandieroni dell’ultima ora. Si riscopre un’appartenenza snobbata dal dopoguerra, rimarcata nel lodevole tentativo di cantare l’inno nel prepartita, però la voce è incerta poiché tale rituale é stato trascurato per quarant’anni. L’euforia nell’ambiente azzurro è contagiosa, eppure nessuno dimentica gli articoli scritti nei giorni caldi di Vigo, e Bearzot conferma il silenzio stampa. Il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, dopo essersi autonominato primo tifoso della nazionale, siede in tribuna insieme ai reali di Spagna. Come scritto da Montanelli, da buon ultimo è lì ad esprimere al meglio il peggio dell’indole nazionale.

Rossi travolto dall'esultanza dei compagni
Rossi travolto dall’esultanza dei compagni

Bearzot sorprende tutti. Un difensore puro, il diciottenne Bergomi, per Antognoni infortunato. E soprattutto tre marcature rigide: Gentile su Littbarski, Collovati su Fischer, e appunto Bergomi su Rummenigge. Centrocampo solido e ripartenze velocissime. I tedeschi commettono lo stesso errore del Brasile. Anziché lasciarci l’iniziativa, pretendono di dettare i ritmi della partita; per gli azzurri è un (altro) invito a nozze. Il primo tempo scorre senza sussulti, se non per il rigore sbagliato da Cabrini. Nella ripresa e’ l’apoteosi. Oriali si regala la più bella partita in carriera recuperando palloni su palloni, Conti, che l’anno successivo conquisterà con la Roma il secondo, storico tricolore, si conferma Marazico, Rossi, Tardelli e Altobelli firmano i tre gol azzurri, mentre quasi nessuno si accorge della rete di Breitner. Nando Martellini, storica voce della Rai, urla tre volte “Campioni del Mondo”, quasi una promessa per il futuro.

E’ l’inizio simbolico dell’età del benessere, dei soldi e delle tangenti facili. E’ una vittoria molto italiana: non premia i più forti in assoluto, ma chi si è meglio saputo adattare alle contingenze. Dopo un decennio di sangue e odio ci sentiamo tutti fratelli, come dimostra la storica immagine della partita a scopone sull’aereo presidenziale – Causio e Bearzot da un lato, Pertini e Zoff dall’altro, con beffa finale per questi ultimi battuti 15-14, e Zoff costretto a prendersi le colpe dell’errore fatale di Pertini per amor patrio. Magnifici rappresentanti dell’Italia fino in fondo: grazie al “passaggio” presidenziale, vengono aggirate le norme sull’importazione di valuta per il premio versato in Spagna dallo sponsor della Nazionale (Le coq sportif).

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Calciatori Fabio Belli

Paolo Rossi: il destino di essere “Hombre del Partido”

di Fabio Belli

Cosa si prova quando al termine di una salita impossibile, sfinente, infinita, il corridore o il ciclista sentono ridursi la resistenza dei pedali, vedono la discesa e capiscono di avercela fatta? E’ un cerchio che si chiude, un destino che si compie, una vittoria che si registra negli annali di una vita. In quel torrido pomeriggio di luglio del 1982, Paolo Rossi non sa ancora di essere diventato “Pablito“. Tutta la Nazionale azzurra è ancora inferocita dalle critiche subite, dopo una prima fase disastrosa: quando però, dopo aver domato la Polonia grazie ad una sua doppietta, Rossi alza gli occhi al cielo, e vede il tabellone luminoso del Camp Nou di Barcellona che lo proclama “El Hombre del Partido“, capisce che il coronamento di una carriera è arrivato prima ancora della finalissima contro la Germania Ovest. Che pure sarà sbloccata da un suo gol, giusto viatico per l’ormai inevitabile trionfo.

1982 World Cup Final. Madrid, Spain. 11th July, 1982. Italy 3 v West Germany 1. Italy's Paolo Rossi celebrates after scoring the opening goal in the World Cup Final.“El Hombre del Partido” Pablito lo è già diventato dopo la pazzesca tripletta a quello che ancora da moltissimi amanti del calcio viene considerato il più forte Brasile di tutti i tempi, senza nulla togliere alle altre cinque squadre che resero i verdeoro pentacampioni. Ma Zico, Falcao, Socrates, Eder, Cerezo, Junior, solo per citare i più celebri, facevano spavento. Eppure si inchinarono di fronte a quello scricciolo che sapeva sempre prima dove sarebbe andato a finire il pallone, e che prima di quel match, nel quale ai brasiliani pure sarebbe bastato un pari per raggiungere la semifinale, non aveva praticamente toccato palla.

Quello che Zico e compagni non sapevano è che Rossi la sua leggenda l’aveva già costruita passando indenne ad un un numero impressionante di disavventure. Non tutti sanno che uno dei migliori opportunisti d’area di ogni tempo del calcio italiano, a diciassette anni era in realtà un prospetto dalla tecnica finissima, pronto a raccogliere alla fine degli anni settanta l’eredità della tradizione delle grandi ali destre italiane, tramandata in quegli anni da Franco Causio e Claudio Sala. Una tecnica sopraffina ed una velocità palla al piede impressionanti, spezzatesi però nel settore giovanile della Juventus a causa di tre operazioni al menisco.

Rossi finisce al Vicenza, in molti sono pronti a scommettere che la sua carriera non decollerà più, ma la svolta arriva dall’intuizione di Giovan Battista Fabbri, l’artefice di quello che sarà conosciuto come il Real Vicenza. Gibì si trova una gatta da pelare quando Sandro Vitali, centravanti biancorosso nel 1977, lascia basiti tutti scappando di notte dal ritiro di Rovereto, ormai a fine carriera e allergico alla disciplina della preparazione estiva. Fabbri sposta Rossi a centro area, a raccogliere tutti i palloni che può, ed il Vicenza domina il campionato di Serie B, con 21 gol di Rossi che si ripete nella stagione 1977/78, capocannoniere in un massimo campionato che vedrà il club veneto ottenere, con il secondo posto finale, il suo miglior piazzamento di sempre.

Per Rossi si spalancano le porte del Mundial argentino del 1978, ma non quelle del ritorno alla Juventus, che sembrava ormai prossimo. Alle buste, il presidente del Vicenza Farina lo riscatta per 2 miliardi, 612 milioni e 510 mila lire, una cifra record per l’epoca che lascia tutti sbalorditi, e che non serve ai biancorossi per evitare la retrocessione dopo il campionato dei miracoli. Rossi passa al Perugia, quindi resta invischiato nello scandalo del calcioscommesse. Assieme a quelli di Giordano e Manfredonia, il suo è il nome più noto, sfumano gli Europei in Italia del 1980, in molti tornano a parlare di carriera finita.

Ma i progetti del destino a volte sono imperscrutabili. Scontata la squalifica, Rossi passa davvero alla Juventus, ma sembra l’ombra di sé stesso. Come Fabbri dopo gli infortuni di gioventù, è un allenatore a credere in lui e nella sua precaria condizione fisica. Enzo Bearzot lo porta comunque in Spagna, insiste su Rossi titolare anche dopo le prime prestazioni sconcertanti, e poi finalmente i gol: 3 al Brasile, 2 alla Polonia, 1 alla Germania, e mani sul Mondiale, 44 anni dopo l’ultimo trionfo azzurro. Ma Rossi, divenuto “Pablito” a furor di popolo, e a Natale del 1982 Pallone d’Oro per acclamazione, questo lo sapeva già a Barcellona, quando la scritta lampeggiante del Camp Nou aveva segnato la fine delle eterne montagne russe della sua carriera.