di Alessandro IACOBELLI
Il giudice delle punizioni. Disegnava traiettorie artistiche con la toga sulle spalle e quel piede mancino baciato dalla grazia.
José Guimares Dirceu ha incorniciato la tela del calcio romantico a cavallo tra gli anni ’70 e ’80. Nato il 15 giugno 1952 a Curitiba in Brasile, condivide con il padre la passione per il futebol. La bella madre Diva Delfina pretende dal piccolo funambolo dedizione anche per gli studi. La famiglia Guimaraes si trasforma presto in una simpatica filastrocca. Dirceu infatti accoglie le sorelle Dirce e Dirci con il fratello Darci. Nel periodo adolescenziale il talento della casa prende l’indirizzo della scuola di ragioneria ed aiuta la madre nel bar appena aperto.
Dai tornei di quartiere alle giovanili del Curitiba il salto è brevissimo, il tempo di sorseggiare un caffè. All’alba degli anni settanta entra a far parte del reggimento di fanteria dell’Esercito. Le Olimpiadi di Monaco del 1972 sono un degno palcoscenico e Dirceu riesce ad onorarlo con quattro acuti. L’anno successivo il Botafogo è la società più lesta nel compiere l’affare. Nel 1975 è tra gli artefici dell’affermazione nel campionato nazionale insieme all’amico Jairzinho. Intanto Dirceu diventa una stella dell’armata verdeoro sfoderando prestazioni e reti da urlo. Le due stagioni che seguono sanciscono l’inizio del tour per una carriera internazionale. Con le casacche del Fluminense e del Vasco De Gama colleziona altri due titoli brasiliani.
Nel 1978, in concomitanza con il Mondiale in Argentina, lo ‘zingaro del calcio’ si trasferisce in Messico alla corte dell’America di Città del Messico. Firma un contratto faraonico per l’epoca in un sodalizio finanziato dalla nota emittente Televisa. Un anno prima aveva sposato Vania, la donna della sua vita.
La platea dell’Europa lo aspetta e lo sbarco si materializza in Spagna. L’Atletico Madrid si innamora di lui per tre lunghe stagioni.
Nel 1980 lo stivale riapre le frontiere del calcio. L’asso brasiliano vuole fortemente approdare in quello che dai più viene elevato come il miglior campionato nel vecchio continente. Nell’estate del post Mondiale iberico firma un contratto con il Verona di Osvaldo Bagnoli, appena promosso dalla B. Due perle in ventotto gettoni. Poi la pizza ed il lungomare di Via Caracciolo a Napoli chiamano e lui risponde. Gli azzurri si salvano per il rotto della cuffia ma Dirceu incanta spesso la platea del San Paolo.
I Nomadi cantano “Io vagabondo” e lui riempie la valigia per altre avventure. Nel suo destino ci sono ancora Ascoli, Como e Avellino. In totale 75 presenze e 13 gol. Le punizioni sono sassate che gonfiano la rete come i fulmini squarciano il cielo.
L’itinerario della carriera di Dirceu non ammette soste. Nel 1987 torna per un attimo in patria alla corte del Vasco Da Gama. Le sirene a stelle e strisce sono assordanti. Con la compagine del Miami Sharks si diverte.
La letteratura pallonara narra vicende a dir poco pittoresche. Quello dell’approdo di Dirceu alla formazione dell’Ebolitana in Serie D nel 1989 è un episodio affascinante che neanche Carlo Levi avrebbe mai potuto immaginare. Il sud e la Campania camminano a braccetto con il brasiliano. Ennesima tappa in quel di Benevento. La gita infinita culmina in Messico con l’Atletico Yucatan.
Un maledetto incidente stradale strappa Dirceu alla vita terrena il 15 settembre 1995. Il ragioniere con il mancino fatato.