Roberto Baggio e quei due gesti valsi più di mille parole

di Enrico D’Amelio

A volte le storie d’amore finiscono nel modo più triste. Distacchi che come pietra tombale mettono la parole fine a una simbiosi durata nel tempo, costellata di colpi di genio, gol, prodezze e assist a mandare in estasi una città intera. Per Firenze, nella seconda metà degli anni ’80, Roberto Baggio era l’enfant prodige. L’esile ragazzino venuto da Vicenza, coccolato tra le colline di Fiesole, che domenica dopo domenica sbocciava come uno dei fiori più belli dell’intera Serie A. Viola la maglia, 10 il suo numero, come tutti i predestinati che sembrano nati per incantare le folle di uno stadio.

Roberto Baggio con la sciarpa raccolta dopo il rigore fallito in Fiorentina-Juventus (90/91)
Roberto Baggio con la sciarpa raccolta dopo il rigore fallito in Fiorentina-Juventus (90/91)

Succedeva che a San Siro partiva dalla sua metà campo, per poi mettere in ginocchio quella difesa che ognuno di noi ricorda come la migliore della storia del calcio, che a Napoli prendesse la scena al cospetto di un certo Diego Armando Maradona, con un altro gol da antologia, o che facesse diventare memorabile una banale partita di qualificazione di Coppa Italia ad agosto. Cinque anni con la casacca della Fiorentina, dal 1985 al 1990, e una crescita costante di pari passo col club, che lo portano a giocarsi la finale di Coppa Uefa contro la Juventus di Dino Zoff, pochi mesi prima dei Mondiali delle “notti magiche”. Il trofeo andrà ai bianconeri, e proprio lì si consumerà il tradimento. L’Avvocato Agnelli si innamora del ‘Divin Codino’, ne tratta l’acquisto con il patron viola Pontello, che, di lì a poco, anche per le violente contestazioni suscitate in città, cederà la quota di maggioranza societaria ai Cecchi Gori. Roberto non solo si toglie per sempre la maglia gigliata, ma indossa quella della Juventus. Un colpo imperdonabile per chi l’aveva adottato e coccolato come il figlio prediletto, e che si vede tradire con la rivale più odiata. Due schiaffi in un colpo solo, fino alla resa dei conti, con la partita da giocare a Firenze nella stagione 1990/91.

Come sempre succede in situazioni di questo tipo, il tifo organizzato si spacca in due. Una parte, la predominante, vorrebbe dimostrare l’amore ferito di un tempo con fischi e insulti all’amato che fu; un’altra, non meno sentimentale, vorrebbe immaginarlo come quello che correva per il prato verde del ‘Franchi’, e applaudirlo ancora una volta, senza soffermarsi su quale maglia porti adesso. C’è però da sostenere la Fiorentina, principalmente, e la cornice della ‘Fiesole’ è da brividi, con una coreografia spettacolare che ritrae la città di Firenze incorniciata con tutte le sue bellezze. I ragazzi allenati da Sebastiao Lazaroni lottano su ogni pallone, e si portano in vantaggio con una magistrale punizione di Diego Fuser, che, per un giorno, si traveste da Baggio. Il 10 della Juve non sembra lui. Vaga per il campo, è svogliato, non ha spunti degni della sua classe. Viene marcato a uomo da Salvatori, che in una partita come questa sembra essere Beckenbauer. Nonostante tutto, però, Roberto riesce a procurarsi un calcio di rigore, per una trattenuta di un difensore viola. E qui, per un momento, come nei film sentimentali a lieto fine, succede l’imprevedibile. Il rigorista della Juventus è Baggio, ma di trafiggere la ‘Sua’ Fiorentina proprio non se la sente. Julio Cesar prova a convincerlo, ma lui, che a 23 anni ha tirato e segnato un calcio di rigore in Semifinale di Coppa del Mondo contro l’Argentina, declina l’invito. Lascia l’incarico a De Agostini, che, ironia della sorte, si fa ipnotizzare da Mareggini, rendendo ancora più evidente la rinuncia del ‘Codino’.

Maifredi, allora tecnico juventino, a questo punto, decide di sostituire il numero 10, che, mentre abbandona il campo passando sotto la tribuna principale, viene accompagnato da un boato di fischi. Finché un tifoso non decide di lanciargli una sciarpa della Fiorentina, che cade a pochi centimetri dai suoi piedi. Potrebbe far finta di non vederla, andare oltre, invece il richiamo dell’amante tradita è troppo forte. La raccoglie, la nasconde sotto la giacca della Juventus, e fa un timido saluto accompagnato da un sorriso. Tornano alla mente come immagini indelebili i fotogrammi di cinque anni d’amore, di una città che come nessuna l’aveva adottato, e che lui, nonostante tutto, continua ad amare in un angolo di cuore. In quel momento, il match clou che si stava giocando in campo, per i tifosi di Firenze quasi non esiste più. Un ragazzo di 23 anni ha fatto fermare il tempo e messo sullo sfondo l’evento principale, con lo stadio intero che d’impeto esplode in un altro boato, ma questa volta d’amore, per il vecchio fuoriclasse. Come nei film sentimentali dal finale amaro, dove c’è un ultimo e passionale slancio tra due vecchi amanti arrivati all’inevitabile passo d’addio. Si sono amati, si sono traditi, feriti, ma quel che è stato rimarrà per sempre. D’altra parte che importa aver tanto sofferto, se si può dire d’aver vissuto un momento così immortale?

Parafrasando un capolavoro della cinematografia: “Siamo due vecchi, Roby: l’unica cosa che ci resta è qualche ricordo; e se domenica calcerai quel rigore, neanche quelli ti rimarranno.”

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