Lazio, da una pallonata in testa nacque il mito della Rondinella

Per i 120 anni della Lazio, riproponiamo un’inchiesta dedicata al calcio dei pionieri. Terzo capitolo dedicato al campo che ha segnato i primi storici passi del club e del calcio romano in generale.

di Fabio BELLI

In casa Lazio il mito del campo della Rondinella nacque per… una pallonata. Per la precisione scagliata sulla testadella signora Annaratone, allora moglie del prefetto di Roma che in una giornata del 1912, vicina all’inizio del primo campionato di Prima Categoria, stazionava dalle parti del Parco dei Daini dove i biancocelesti si stavano allenando. Botta poderosa, scagliata da Saraceni, che mandò addirittura la fragile signora in ospedale priva di sensi. In tempi di poca comprensione per chi praticava il football, lo sfratto da parte del Comune arrivò per la Lazio in maniera fulminea e Saraceni e compagni si ritrovarono senza campo proprio alla vigilia dell’esordio del torneo federale più importante, dopo quasi sei anni di partite al Parco dei Daini.

Fu il presidente Fortunato Ballerini a doversi prodigare per trovare di nuovo una soluzione ai guai combinati dai suoi ragazzi scapestrati: arrivò la concessione per alcuni terreni nel quartiere Flaminio e lì nacque il mito della Rondinella. In anni in cui è partita la corsa forsennata agli stadi di proprietà fa specie pensare come, all’inizio del ventesimo secolo, tutte le formazioni romane che partecipavano ad un campionato di Prima Divisione avessero un quartier generale che ne alimentava storia e senso di appartenenza. La Lazio non fece eccezione nel rendere la Rondinella la sua casa: i lavori per costruire il campo nella sua fisionomia finale vennero garantiti dagli investimenti di un socio biancoceleste che aveva fatto fortuna in Sudamerica, per la precisione in Uruguay: Goffredo Magistrelli. Nel frattempo la Lazio già si allenava nella sua nuova casa, giocando però le partite ufficiali al campo della Farnesina, futuro quartier generale della Juventus Romana. Arrivarono però per Roma e i romani le angustie del primo conflitto mondiale: il campo della Rondinella venne trasformato in orto di guerra, un gesto che varrà alla Lazio, combinato all’eroismo dei soci e dei giocatori partiti per il fronte, la proclamazione ad Ente Morale.

La Rondinella tornò ad ospitare calcio dalla ripresa dell’attività, nel 1919, e lo fece in grande stile: Olindo Bitetti aveva supervisionato dei lavori che portarono l’impianto a sfoggiare una lussuosissima, per i tempi, tribuna con poltroncine in vimini e un parterre capace di ospitare fino a 10.000 tifosi. Per i laziali era consuetudine salire sul tram numero 15, il “tram sportivo” come era chiamato all’epoca, a piazza del Popolo e farsi condurre fino alla Rondinella. Il terreno sorgeva nella zona che oggi si trova tra lo stadio Flaminio e il Palasport di viale Tiziano. Divenne ben presto uno dei campi più eleganti e ambiti di tutta Italia: la progettata fusione nell’AS Roma, che doveva riguardare inizialmente anche la Lazio, vedeva come fondamentale l’acquisizione della Rondinella per le sfide della neonata società. I giallorossi ripiegarono sul Motovelodromo Appio prima della costruzione di campo Testaccio: le prime partite della Serie A a girone unico nel 1929 vennero disputate da entrambe le formazioni capitoline alla Rondinella, con la Lazio che ospitò i cugini prima che la loro nuova casa venisse ultimata.

Esistono filmati dell’Istituto Luce (molto interessante in particolare una sfida tra Lazio e Napoli) che rendono bene l’idea dell’ambiente che si respirava nel fortino della Rondinella. Calcio di altri tempi ma incredibilmente affascinante. Anche nel secondo dopoguerra la Lazio continuò ad utilizzare la Rondinella per l’attività delle giovanili, fino allo spaventoso incendio del 1957 che rese l’impianto praticamente inservibile. La Lazio giocava ormai da tempo allo stadio Nazionale, poi divenuto Torino e quindi Flaminio, poi avvenne il trasferimento all’Olimpico e, con le Olimpiadi del ’60, quel che restava della Rondinella fu spazzato via. La memoria del primo, vero e unico nido delle Aquile non è andata persa: sarebbe un sogno vedere un giorno, in qualche modo, questo patrimonio della storia dello sport cittadino riportato in vita.