L’Avvocato Agnelli, dalla miniera di aneddoti all’amore per Platini

di Fabio Belli

Dire Juventus e dire Agnelli è la stessa cosa, quasi tutti lo sanno. Da Giovanni all’Avvocato Gianni, da Umberto fino ad arrivare ai giorni nostri, ad Andrea e alla possibile apertura dell’ennesimo ciclo vincente bianconero, che si rigenera dalle ceneri di Calciopoli come l’Araba Fenice. Dire Juventus è dire Agnelli, ma si può essere d’accordo che tra tutti i protagonisti della storia bianconera, l’Avvocato sia stato quello più carismatico, più ricco di stile e di aneddoti raffinati.

url-1Volerli riassumere in un solo articolo è follia, citarne qualcuno invece è un esercizio di stile che fa bene al cuore degli appassionati, oltre che allo spirito di chi vuole disintossicarsi dal calcio saturo di polemiche dei giorni nostri. Da quanti sterili protagonisti l’Avvocato sarebbe stato annoiato, se fosse ancora qui. Lui che amava i personaggi sopra le righe, originali, ed oltre ad essere stato, nella sua quarantennale esperienza da padre nobile della Juventus, una miniera di aneddoti, era anche uno che amava raccontare le storie del passato, quelle della Juventus cinque volte Campione d’Italia negli anni ’30, la squadra della sua prima giovinezza, ma anche quella dell’immediato dopoguerra, simbolo della rinascita dell’Italia dalle macerie.


Nella grandeur juventina degli anni ’80, all’Avvocato piaceva tormentare Platini, suo figlio calcistico preferito e per questo stuzzicato, come lo furono anche Baggio e Del Piero negli anni novanta. Una volta al campo di allenamento l’Avvocato si presentò in macchina, direttamente dentro il rettangolo verde, e cominciò ad intrattenersi con i calciatori. Propose una scommessa: fece piazzare tanti palloni sulla linea di centrocampo, e chiese a tutti di cimentarsi per provare a colpire volontariamente la traversa. In molti mancavano il bersaglio, qualcuno riusciva, lui osservava sornione finché notò Platini in disparte, che faceva stretching col massaggiatore. “Platini, la annoia il nostro gioco?” “Sinceramente , Avvocato.” rispose l’asso francese. “Allora perchè non prova a divertirci lei?” Senza battere ciglio Platini sussurrò qualcosa al massaggiatore, che lentamente si avviò verso la parte opposta del campo, e con l’aiuto di una panca salì a posizionare, in bilico sulla traversa, una lattina vuota. Da dove si trovava, Platini scalciò l’aria un paio di volte per sgranchirsi, quindi prese la mira e fece saltare, da una parte all’altra del campo, la lattina al primo colpo. “Molto bene,” si limitò a sorridere l’avvocato, e se ne andò.

Per parlare di Platini l’Avvocato, che era stato sempre un mattiniero, amava iniziare le sue settimane con telefonate a Boniperti, il suo uomo di fiducia alla Juventus che abbandonava gli spalti per scaramanzia alla fine di ogni primo tempo, e soprattutto al tecnico dell’epoca, Trapattoni, che alle sei del mattino si svegliava, comunque fosse andata la partita del giorno prima, per fare il punto con l’Avvocato. Che pungeva sempre: “Però quel Maradona lì mi sembra più bravo…” in un confronto che gli permetteva di rimproverare a Boniperti di aver lasciato cadere nel vuoto la sua segnalazione del Pibe de Oro, ai tempi dell’Argentinos Juniors. Amava tenere sulla corda i suoi uomini, l’Avvocato, ma lo faceva perché ne era orgoglioso. Ed era ottimista: quando in una assolata giornata di fine aprile del 1986 la Juventus piegò il Milan conquistando di fatto il suo ventiduesimo scudetto, a causa dell’incredibile crollo della Roma contro il Lecce, un giornalista gli chiese se si aspettava una giornata così. E lui rispose col suo solito tono ironico e disincantato: “Io mi aspetto sempre di tutto dalle giornate.” Stile inconfondibile, allora lo chiamavano stile Juventus.