Giuliano Taccola: una morte senza spiegazioni

di Fabio BELLI

La vicenda si svolge a metà degli anni Sessanta, con premesse apparentemente comuni a molte altre storie calcistiche. Nel 1966 Giuliano Taccola è un attaccante di 23 anni, classe 1943, possente nel fisico per gli standard dell’epoca ma soprattutto velocissimo. Corre i cento metri in 11 secondi netti e nel campionato di Serie C 1965/66 ha realizzato 13 gol con la maglia del Savona, che in quegli anni lancerà giocatori come Giuseppe Furino e Pierino Prati. Taccola è il primo a fare le valige: l’occhio lungo di Fulvio Bernardini lo porta in quota Roma, e l’attaccante nativo della provincia di Pisa veste la maglia giallorossa dopo un altro anno di svezzamento al Genoa.

Il 24 settembre del 1967 Taccola fa il suo esordio in Serie A nella partita che permetterà alla Roma di strappare un buon pari in casa dell’Inter. 10 gol nella prima stagione, buon bottino per gli attaccanti dell’epoca, poi altri 7 nella stagione 1968/69, quando il rendimento di Taccola ha un crollo verticale. Febbre, malesseri vari, improvvisamente il giocatore sembra non reggersi più in piedi, ma il tecnico della Roma, Helenio Herrera, non ne vuole sapere: ha bisogno di Taccola e continua a schierarlo, ma ogni allenamento sembra infliggergli un colpo in più.

Si sospetta un’infezione batterica e, a febbraio del 1969 Taccola viene operato per la rimozione delle tonsille. Un intervento di routine anche alla fine degli anni Sessanta, ma è a questo punto che il mistero sulla salute dell’attaccante si infittisce, visto che durante l’operazione il calciatore subirà numerose emorragie. Sembra che i vasi sanguigni non funzionino al meglio, l’operazione riesce ma Taccola ha perso molto sangue, ha bisogno di riposo assoluto.

E invece viene convinto a forzare, per rientrare in campo il prima possibile. Ad ogni allenamento corrisponde una perdita di peso e la febbre a fine giornata. Gli antibiotici che deve assumere dopo la tonsillectomia peggiorano considerevolmente la situazione: per riprendere forma, viene schierato tra le riserve della Roma in un match del campionato De Martino e sviene in campo: una settimana dopo però è in campo a Genova contro la Sampdoria, ma la sorte non gli dà tregua e si infortuna al malleolo.

Per 10 giorni Taccola si ferma, e il 15 marzo del 1969, prima della partita col Cagliari, Taccola sviene di nuovo nella rifinitura. A questo punto la Roma lo esclude dalla partita: dopo un nuovo attacco febbrile, il giorno dopo Taccola è in tribuna allo stadio Amsicora di Cagliari, e dopo la vittoria scende a festeggiare coi compagni negli spogliatoi. Poi inizia a tremare, sviene. I medici della Roma e della società sarda provano a rianimarlo, ormai privo di sensi sdraiato su un lettino, ma da quello spogliatoio Taccola uscirà solo da morto.

Da quel momento in poi, attorno alla vicenda calerà un gran silenzio, a partire da quello di Herrera che non voleva clamore attorno alla vicenda, anche molti giocatori seppero solo dopo, in aeroporto, quanto accaduto. In questi 50 anni di ipotesi sulla morte di Taccola ne sono state fatte molte: l’autopsia indicherà un arresto cardio-circolatorio, senza ulteriori particolari. La ricostruzione più plausibile, per quanto ufficiosa e mai confermata, parlerà di un’endocardite, una rara infezione batterica al cuore, aggravata dall’operazione subita e dai continui tentativi di recupero, che in molti temevano fossero alimentati da strane iniezioni. La morte di Taccola è stata spesso accostata a quella di altri calciatori, come Bruno Beatrice, Carlo Tagnin, Mauro Bicicli e Ferdinando Miniussi, scomparsi prematuramente e accostati a pratiche legate al doping che pare fossero molto diffuse nel calcio di decenni fa. Voci sinistre mai confermate ma insistenti nel corso degli anni.

Tre le testimonianze chiave riguardo i tragici fatti dell’Amsicora. Marzia Nannipieri, rimasta vedova di Taccola a 24 anni con due figli piccoli, da 50 anni prova a far luce sulla vicenda. E raccontò: La società fece di tutto per recuperarlo più in fretta possibile, anche perché stava valutando un’offerta della Fiorentina. A Giuliano quelle voci che lo volevano a Firenze non piacevano, lui stava bene a Roma. Dopo l’operazione alle tonsille ci dissero che prima andava ripulita l’infezione. Perciò continuava ad avere disturbi e la temperatura saliva subito come metteva piede in campo. Non ho mai smesso di pensare, di arrovellarmi su quanto accadde quella domenica, a tutta quella robaccia che gli davano per farlo giocare”

Augusto Frongia, medico sociale del Cagliari che si ritrovò di fronte Taccola praticamente già privo di vita nello spogliatoio, testimoniò: “Il problema non furono le cure fatte, ma quelle non fatte. Certo, anch’io ho sentito dire che lo dopavano per farlo giocare. Anche se così fosse non ci sarebbe un nesso con la sua morte. Posso confermare che la mattina della partita Herrera portò anche Taccola sulla spiaggia del Poetto per la rifinitura pre partita. A fine allenamento il Mago si rese conto che il calciatore non ce la faceva più e accettò di mandarlo in tribuna. Secondo testimonianze affidabili, il ragazzo avrebbe seguito tutta la partita tremando come una foglia. Continuava a ripetere: ‘Non mi credono, ma io sto morendo. Sto morendo e non mi credono.”

Infine Francesco “Ciccio” Cordova, calciatore della Roma che seguì da vicino la vicenda del suo compagno di squadra: “Taccola non stava bene ma il mister lo voleva in campo a tutti i costi, gli serviva. Così adottò il ricatto: la divisione dei premi partita secondo chi giocava. Taccola aveva fatto grossi investimenti in quel periodo, aveva bisogno di denaro e Herrera lo sapeva bene: ‘Niente partita? Niente dinero’ gli diceva sempre. Il medico della Roma lottò fino all’ultimo per tenere Taccola a riposo. Ma nemmeno l’intervento del presidente Marchini cambiò le cose, quando al povero Giuliano saliva la febbre, gli faceva fare certe punture e lo risbatteva in campo.”

Durante Spal-Roma di poche settimane fa, i tifosi giallorossi hanno ricordato Giuliano Taccola a 50 anni dalla sua scomparsa: è tornata anche a farsi sentire sui giornali la voce della moglie Marzia, che ha atteso mezzo secolo senza avere mai il conforto della verità.