Gennaro Rambone, l’uomo di mare che ha allenato dalla Promozione alla Serie A

di Fabio BELLI

Non era difficile individuare il personaggio che c’era dietro l’uomo e l’allenatore. Di sicuro, negli ultimi anni, quando ormai lo stress della panchina era (e dici poco!) il ricordo di tutta una vita, erano stati in parecchi a capirlo, tra i quali Gene Gnocchi che l’aveva lanciato in diretta nazionale su Sky. Lui, Gennaro Rambone, l’opinionista era abituato a farlo parlando della cosa che calcisticamente gli stava più a cuore: il Napoli. Basta aprire la pagina a lui dedicata su Wikipedia e leggere una sua frase: “Sono stato l’unico a detenere il record di aver giocato e allenato dalla serie A alla Promozione.” L’unico non si sa, la storia è comunque vera, eccome. Anzi, la documentazione è più ricca riguardo le serie inferiori che le altre.

Classe ’35, la Serie A Rambone l’ha assaggiata a Napoli, sia da calciatore sia da allenatore nel 1983. Erano i tempo in cui, in coppia col “Petisso” Pesaola, subentrò a Massimo Giacomini ereditando una situazione difficile. In quella squadra c’erano il giaguaro Castellini in porta e giocatori di caratura mondiale come Ramon Diaz e Ruud Krol. Nonostante questo “roster” il Napoli si salvò solo all’ultima giornata grazie alla vittoria al “San Paolo” sul Cesena: sufficiente per mantenere due punti di vantaggio sul Cagliari terzultimo. “Anema e core” da una parte, pesce e vino bianco dall’altra: solo dove c’era il mare Rambone sembrava riuscire ad esaltarsi. Anche alle pendici dell’Etna, però, ha saputo ritagliarsi anni ruggenti. Oltre a quelli trascorsi a Napoli, infatti, gli anni più belli ed importanti della sua vita sono legati al Catania ed al rapporto col presidente più vulcanico di tutti i tempi, Angelo Massimino. Colui che non aveva bisogno dirigenti. “Faceva tutto da solo con una valigetta appresso“, raccontava proprio Rambone che spesso si ritrovava licenziato la mattina e riassunto la sera senza neanche il tempo di svuotare l’armadietto al “Cibali”.


Ha svolto anche il ruolo di preparatore atletico all’Olympique Marsiglia stellare di Bernard Tapie, Rambone: un po’ perché gli ricordava Napoli, un po’ per ritagliarsi meritata pausa dagli anni in trincea su panchine bollenti. Solo per citarne alcune: Matera, Sorrento, Paganese ed Ischia che diventerà poi il suo buen ritiro. Ad Agnano però non mancava mai, i cavalli erano la sua altra grande passione oltre a quel Napoli che, come detto, continuava a seguire spendendo i suoi giudizi “bartaliani” sia negli anni difficili della Serie C sia al momento della ripresa con De Laurentiis e Donadoni in panchina, che non esitò a definire “un disastro”.

Colpa del retaggio dei tempi da calciatore in cui svolse il ruolo di centravanti generoso nel ruvido calcio italiano degli anni ’60. Abituato ad essere una voce fuori dal coro chiamava “bandito” tutti coloro che pensavano prima al denaro e poi agli interessi della società. Inutile dire come nel calcio di oggi i banditi si fossero inesorabilmente moltiplicati ai suoi occhi. Con i giornalisti aveva basi di dialogo più solide: “Gente che di calcio non capisce nulla“, diceva. Fissato questo punto era più facile ragionare con lui. Scomparso nel 2010, in un Catania-Napoli del 14 Ottobre di quello stesso anno è stato ricordato soprattutto dalla gente, l’unica parte del calcio alla quale continuava a sentirsi legato.