Football Mystery 3×05: Kaiser, la grande truffa del football

di Fabio BELLI

Carlos Henrique Raposo nasce in Brasile a Rio Pardo, nello stato del Rio Grande do Sul, il 2 aprile 1963. Come centinaia di migliaia di ragazzi della sua età in Brasile, sogna di diventare un calciatore, ma la sua storia è anomala sin dall’inizio. Carlos infatti sin da giovane età dimostra di avere grande charme, capacità dialettiche e una mente affilata come una lama. Vorrebbe studiare, ma la madre sogna di vederlo calciatore e lo spinge a sostenere mille provini. A 15 anni gioca col Botafogo, ma si vede immediatamente che la stoffa gli manca, non sembra neanche in grado di sostenere un ruolo da titolare nelle giovanili.

Oltre al savoir faire, anche l’aspetto però lo favorisce e gli si appiccica addosso il soprannome di Kaiser, per la somiglianza con Beckenbauer. Nel 1979 riesce a strappare un primo contratto con il Puebla, in Messico: da lì inizierà un incredibile ascesa che fino all’inizio degli anni Novanta lo porterà a girare una quantità enorme di squadre, praticamente senza mai scendere in campo.


Kaiser infatti, sin da giovanissimo allaccia rapporti di amicizia con calciatori del calibro di Renato Portaluppi, Romario, Bebeto, Edmundo e molti altri. Dai campioni brasiliani degli anni Ottanta a quelli della generazione successiva, tutti sono stregati dal fascino di Carlos nelle pubbliche relazioni. E pretendono la sua presenza in squadra, nonostante un particolare non di poco conto: nonostante la trafila nei vivai e la somiglianza col grande Franz, Kaiser a pallone proprio non sa giocarci.

Ma la sua fitta rete di contatti permette la creazione di uno scambio vantaggioso: grazie alle raccomandazioni e alle pressioni di calciatori straordinariamente influenti, Kaiser viene ingaggiato di nuovo dal Botafogo, poi dal Flamengo, infine persino in Europa dall’Ajaccio e poi ancora con la Fluminense e il Vasco da Gama. Questo senza mai giocare una singola partita: ogni volta che rischiava di essere chiamato in causa, finge infortuni impossibili da verificare in un’epoca in cui i club non erano ancora dotati di risonanza magnetica. Quando serviva, un amico dentista gli procurava certificati medici autentici da sventolare in faccia ai medici sociali. E in un’epoca senza Internet, Kaiser approfittava della mancanza di informazioni. Quelle poche che gli servivano lui le confezionava a puntino grazie a qualche amico giornalista: bastavano un paio di articoli che ne parlassero bene e la diceria popolare avrebbe fatto il resto. Un giornale arriverà addirittura a titolare “Il Bangu ha già il suo Re: Carlos Kaiser”

Gli aneddoti si sprecano: proprio al Bangu una volta l’obbligarono a scendere in campo. Raccontò: “Non sapevo cosa fare. Durante il riscaldamento, un gruppo di tifosi m’insultò per i capelli lunghi. Scavalcai e scatenai una rissa: espulso ancora prima di entrare. Ma negli spogliatoi arrivò il presidente furioso. Prima che potesse esplodere, gli dissi: ‘Presidente, Dio mi ha dato due padri: il primo l’ho perso, il secondo è lei. Quando ho sentito i tifosi insultarla, non ho capito più niente. Fra una settimana me ne vado, non si preoccupi’. Mi abbracciò e prolungò il contratto di 6 mesi” All’Ajaccio evitò anche di venire a contatto col pallone durante la presentazione: mandò in delirio i tifosi semplicemente avvolgendosi nella bandiera della Corsica e tirando in tribuna verso il pubblico tutti i palloni disponibili.

La parte dello scambio che spettava a Kaiser era questa: all’interno della rosa era il tuttofare che copriva le magagne del resto dei compagni di squadra, in particolare degli amici più stretti che ne avevano caldeggiato l’ingaggio. Scappatelle all’insaputa delle mogli, serate tra donne e alcol, stravizi da nascondere all’antidoping, certificati e documenti medici da ottenere per simulare infortuni. Kaiser era infaticabile e aveva risorse incredibili, inesauribili. Un talento che gli permise di vivere una carriera di 15 anni da calciatore professionista, scendendo in campo solo per 3 spezzoni di partita in cui cercò di restare il più possibile lontano dal pallone. Per celebrarlo è uscito recentemente un film del regista Louis Myles intitolato eloquentemente: Kaiser, il più grande truffatore della storia del calcio.