Corrado Viciani: genio in periferia

Umbria matta. Il calcio senza limiti e barriere. Viciani e la Ternana: una storia totale. Guardiola, Zeman, Vinicio, Galeone e Sacchi anche loro rivoluzionari ma in ritardo. La periferia del calcio aveva, già al culmine degli anni sessanta, il suo fautore della controcultura.

Un uomo semplice in fondo. Venuto alla luce nella libica Bengasi, approda nel bel paese insieme ai genitori. Si stabilisce in Toscana e coltiva il frutto del pallone tra i piedi. Sarà un’onesta carriera da calciatore la sua. Un mediano dai sani polmoni tra Fiorentina, Como, Genoa, Tevere Roma e Fermana.

Si parte da Fermo appunto. Il progetto mentale di Viciani è asciutto ed elementare: cose facili, cose nuove, cose belle. Il materiale umano latita tecnicamente? Nessun problema. Ci si muove in uno spazio ristrettissimo con un pressing estenuante sugli avversari ed una ramificata manovra basata su passaggi fitti e mai forzati. Allacciate le cinture, si parte: questo è il gioco corto. Nelle Marche il laboratorio sperimenta le innovazioni con alterne indicazioni da custodire. Il tour procede sulle panchine di Sangiorgiese, Ravenna e Prato. Nel 1967 il confine tra Umbria e Lazio è vuoto. Il Presidente delle “Fere” Creonti intercetta il vento che cambia e chiama alla sua corte il mister. I rossoverdi sbancano al primo colpo. La promozione in Serie B, in un girone infernale con le calde piazze del sud, traccia l’apoteosi. In estate cambia il timone societario con Giovanni Manini al timone. Cardillo e Liguori sono i protagonisti di una salvezza meritata. La vittoria all’Olimpico sulla Lazio eleva il prestigio e Viciani, forse appagato dal sorprendente rendimento del suo contingente, decide di traslocare. Le lusinghe dell’Atalanta sono pressanti, ma il campo non darà lustro al tecnico. Opaca pure la successiva annata in quel di Taranto.

È il 1971 e la storia diventerà ben presto mito. Il timone della Ternana cambia ancora: pieni poteri a Giorgio Taddei. Corrado VIciani torna alla base. Mastropasqua è il libero, circondato da arcigni difensori come Benatti, Agretti e Rosa. Il portiere Alessandrelli si oppone alle minacce avversarie. A centrocampo il moto perpetuo è recitato dagli instancabili Beatrice, Cardillo e Marinai. Davanti c’è il tridente indemoniato: Selvaggi, Traini e Jacolino. 50 punti frutto di 43 reti messe a segno e 28 subite. L’Italia intera guarda con stupore e simpatico interesse l’impresa compiuta dalla matricola umbra. L’entusiasmo del popolo è alle stelle. La Serie A, però, sembra una scalata epica e proibitiva. Il copione dello spettacolo rossoverde non cambia. Il gioco corto del maestro non si discute. Gli apostoli seguono i dettami alla lettera ma il piatto dei risultati piange. Tre illusori successi: Vicenza, Verona e Bologna. La stampa nazionale ammira la manovra avveniristica delle “Fere”, nonostante le cadute a ripetizione. Al triplice fischio del campionato sarà retrocessione diretta all’ultimo posto con soli 16 punti totalizzati.

La Sicilia in cartolina. Mister Viciani intravede nel Palermo un nuovo laboratorio. Il susseguente biennio in rosanero porterà la squadra ad una finale di Coppa Italia (sconfitta ai calci di rigore contro il Bologna) ed un salto in A perso al fotofinish. La lavagna di Corrado girerà ancora, ma non sarà come prima. Tante, troppe stagioni vissute tra retrocessioni e salvezze al cardiopalmo. Cavese, Lanerossi Vicenza, Civitanovese passando per Livorno, Turris e Foggia. Torna al “Liberati” in Serie C per limitare i danni causati spesso da una società allo sbando.

La curva est dello stadio di Terni, a lui intitolata nel 2014, è il giusto ricordo di un profeta provinciale senza macchia e senza paura. Corrado Viciani: il Rinus Michels dei poveri.