2010: Spagna-Olanda 1-0 dts. Con Don Andrés fuori da un tunnel lungo cento anni

di Fabio Belli

Il tempo è un narratore formidabile: col passare degli anni, alcuni aspetti delle varie vicende umane passano attraverso una lente deformante che porta a una vera e propria mitizzazione, spesso anche eccessiva, dei fatti. E’ perfettamente normale dunque che le imprese più recenti, anche nel calcio, abbiano bisogno di tempo per essere metabolizzate, e poi valutate secondo il loro giusto peso. Gli appassionati però sapevano benissimo che l’11 luglio del 2010, a Johannesburg, qualcosa nella storia del football sarebbe cambiato in maniera irreversibile.

Dopo decenni di amarezze, Spagna sul tetto del Mondo
Dopo decenni di amarezze, Spagna sul tetto del Mondo


Di fronte a giocarsi infatti il primo Mondiale africano della storia, c’erano due Nazionali abituate ad essere bollate come “eterne perdenti” nelle grandi competizioni nazionali. L’Olanda, a un passo dalla gloria già per due volte, nonostante sia stata capace a più riprese di fare scuola a livello internazionale, non è mai riuscita ad andare oltre una vittoria europea, quando la squadra di Van Basten, Gullit e Rijkaard era al massimo del suo splendore. Ancor peggiori i precedenti di una Spagna, abituata a dominare il calcio mondiale a livello di club sin dalla fine degli anni cinquanta, ma che rispetto agli olandesi non era mai neppure riuscita ad avvicinarsi al trionfo Mondiale. Il massimo, addirittura, fu il piazzamento tra le prime quattro nel ’50, incredibile per una nazione che, divisa da mille campanilismi, forse non si è mai identificata al 100% nella “Roja“, troppo legata al potere centrale di Madrid, ma che vive da un secolo a pane e calcio, senza aver mai avuto una Nazionale davvero vincente.

Che qualcosa stia cambiando lo si era già capito due anni prima, quando all’alba del ciclo vincente del Grande Barcellona di Pep Guardiola, dopo 44 anni le furie rosse hanno rimesso le mani sul titolo europeo. Ma il Mondiale è un’altra cosa, e la Spagna mai è riuscita ad arrivare in finale. A Johannesburg è la prima volta, passando per delle soffertissime partite contro Paraguay e Germania, e persino una sconfitta all’esordio contro la Svizzera. Più deciso è stato il cammino degli orange, trascinati dalle prodezze di un Robben finalmente al 100% fisicamente, e di uno degli eroi del “triplete” dell’Inter, Wesley Sneijder. La vittoria contro il Brasile ha scatenato l’entusiasmo di una Nazione vendicando la sconfitta in semifinale del 1998, e gli osservatori concordano nel valutare come una squadra forte ma non eccezionale, potrebbe arrivare dove neppure Cruijff nel ’74 ed i tulipani milanisti all’alba degli anni ’90 sono mai riusciti ad arrampicarsi: in cima al mondo intero.

La finale dice però da subito che la cifra tecnica degli spagnoli è nettamente superiore, ma l’Olanda di Bert Van Marwijk ha preparato la partita nei più piccoli particolari. Il palleggio di Xavi, Iniesta, Xabi Alonso e Busquets viene soffocato sul nascere dal gioco duro degli olandesi, con un’entrata di Nigel De Jong su Xabi Alonso a gamba alta particolarmente impressionante. Per replicare il modello – Barcellona anche in Nazionale, a Vicente Del Bosque sull’altra panchina manca un Leo Messi (uno dei protagonisti mancati in Sudafrica, naufragato assieme a tutta l’Argentina allenata da Diego Armando Maradona). Pedro e Villa non riescono ad affondare come ci si aspetterebbe, e il destino della partita resta sul filo del rasoio.

La dedica del match winner Iniesta a Dani Jarque
La dedica del match winner Iniesta a Dani Jarque

Anzi, nel secondo tempo, come era prevedibile, è l’Olanda a trovare il contropiede giusto, con Robben lanciato verso Iker Casillas quasi a colpo sicuro. Il tentativo del fenomeno del Bayern Monaco si infrange però clamorosamente contro il portiere in uscita: è il momento in cui il destino decide di cambiare la storia calcistica della Spagna, e di mantenere immutata quella degli olandesi. Anche se comincia a farsi strada l’ipotesi rigori, visto che il risultato non si sblocca neanche ai tempi supplementari. Nei 10′ finali prima dei tiri dal dischetto, le certezze degli orange crollano: la squadra di Van Marwijk resta in dieci per l’espulsione di Heitinga, e al 116′ incassa la rete di “Don Andrés” Iniesta, uno dei migliori centrocampisti di tutti i tempi, penalizzato a livello “pubblicitario” dal suo carattere schivo. Scoppia una festa che per una volta unisce una Nazione dalla Castiglia alla Catalogna: la dedica finale di Iniesta a Dani Jarque, talento dell’Espanyol stroncato da un malore giovanissimo, è la celebrazione di una generazione che è riuscita a portare la Spagna dove neanche i grandissimi di cento anni di storia (e di sconfitte) l’avevano mai trascinata.