1978: Argentina-Olanda 3-1 dts. Tra la Junta e Quiroga, le mani nella “marmelada”

di Valerio Fabbri

Il mondo del 1978 e’ diviso in due blocchi, e se in Europa occidentale sono stati superati i regimi militari (Grecia, Spagna), nell’altra metà del mondo ci sono ancora diverse giunte al potere. Fra queste l’Argentina, la cui Junta continua a far sparire i dissidenti, ma il colonnello Videla è considerato più presentabile del cileno Pinochet. La FIFA concede al paese sudamericano di ospitare il Mondiale di calcio, e si alzano poche voci critiche. Una di queste arriva dall’Olanda (Freek de Jonge parla di “Hitler argentino”), che ironia della sorte sfiderà i padroni di casa in finale.

Orfani di Cruijff, in forza al Barcellona e rimasto sulla Costa Brava a godersi la popolarità del numero uno al mondo, gli oranje arrivano in finale ai danni dell’Italia. Nel gironcino delle semifinali – l’ultima volta che si disputerà sarà nel 1982 – gli olandesi, guidati da Happel, tradiscono la filosofia del calcio totale con una marcatura asfissiante di Neeskens su Rossi e vincono in rimonta 2-1. E’ una partita dura e nervosa, condizionata da un arbitraggio fin troppo permissivo, che l’Olanda subirà a sua volta nell’ultimo atto.

Argentina, Campione per la prima volta ad ogni costo
Argentina, Campione per la prima volta ad ogni costo

L’Argentina di Menotti conquista la finale dopo un incredibile 6-1 al Perù, passato alla storia del calcio come la “Marmelada Peruana”. Nonostante la Federazione brasiliana avesse chiesto che Brasile-Polonia e Argentina-Perù, ultime partite del gironcino, si disputassero in contemporanea, la nazionale di Claudio Coutinho è costretta a giocare prima dell’Argentina. Vince, ma sarà eliminata dal torneo per differenza reti e senza nemmeno una sconfitta. E’ poi il turno di Argentina-Perù: all’albiceleste serviranno almeno quattro gol di scarto per raggiungere la finale del Monumental. La squadra rivelazione del mondiale resiste meno di venti minuti ai padroni di casa: 4-0 in cassaforte già a fine primo tempo, altri due gol nel secondo per “certificare” la superiorità. Rimane questa una delle partite più chiacchierate dei Mondiali di calcio. Fra versioni ritrattate dei peruviani – del portiere Quiroga, di origini argentine e residente a Rosario, e del difensore Manzo – e voci di ogni genere, la malleabilità peruviana garantì un’enorme quantità di grano gratuito e diversi milioni di dollari nelle casse della banca centrale, secondo due ex militari argentini. Solo un tassello nella più ampia operazione d’immagine messa in piedi dalla Junta, che con il Mondiale mirava a conquistare la coppa, unica delle big sudamericane ancora a secco, ma soprattutto a lanciare un messaggio di paese pacifico, florido, e di successo. Un’operazione simile a quella compiuta dall’Italia di Mussolini nel 1934.

Rensenbrink, il palo che poteva cambiare la storia
Rensenbrink, il palo che poteva cambiare la storia

Al Monumental di Buenos Aires arbitra l’italiano Sergio Gonella, preferito al gia’ designato israeliano Abraham Klein, “reo” di una direzione di gara (Italia-Argentina 1-0, Bettega) imparziale ed equilibrata nei confronti dei padroni di casa, sottolineata dalla stampa internazionale. Inevitabile che il direttore di banca torinese risenta dell’atmosfera del Monumental: ammonizioni in sequenza agli olandesi, nemmeno un richiamo a Passarella che picchia a più non posso, facendo saltare due denti a Neeskens e infischiandosene anche in quell’occasione del juego limpio, il fair-play sbandierato e invocato senza pudore dalla Junta. Il capitano dell’albiceleste e’ l’emblema, il volto, il simbolo dell’Argentina che trionfa per la prima volta in un Mondiale, ma anche una trasposizione in campo del generale Videla e degli altri militari. Dopo il vantaggio di Mario Kempes, unico argentino in rosa che gioca al di fuori dei confini (Valencia), Nanninga porta la partita ai supplementari, a allo scadere Rob Rensenbrink coglie uno dei più clamorosi pali della storia, che poteva stravolgere tutti i piani della junta come un fulmine a ciel sereno. Si va invece all’extra time dove non c’è più storia. Prima Kempes e poi Bertoni stendono al tappeto gli oranje ormai scarichi, scoraggiati anche dai fischi di Gonella. Videla ottiene quello che aveva preparato e desiderato, “¡Argentina campeon!”. La squadra celebra il titolo con i generali prima ancora che con la gente, ad eccezione di Kempes, unico calciatore che ignora la Junta e rimane a festeggiare con i tifosi. Incoscienza, coraggio, (in)consapevolezza: quello di Kempes rimane un gesto storico.