1974: Germania Ovest-Olanda 2-1. Quel traguardo mai oltrepassato

di Enrico D’Amelio

Gli avvenimenti della storia che si possono definire rivoluzionari hanno radici sempre lontane e non accadono mai per caso. Tra il 1915 e il 1925, il 1928 e il 1940, e tra il 1945 e il 1947, un signore inglese di nome Jack Reynolds venne chiamato ad Amsterdam ad allenare l’Ajax. Lì iniziò a mettere in pratica un nuovo sistema di gioco di democrazia tattica applicata al calcio, dove nessun giocatore era ancorato al proprio ruolo, e nel corso della partita chiunque poteva operare indifferentemente come difensore, centrocampista o attaccante. Velocità di pensiero, ricerca continua degli spazi e mai una posizione predefinita erano le prerogative di tale impostazione. Tra gli interpreti di spicco di questo ‘calcio totale’ c’era il futuro commissario tecnico della Nazionale olandese, Rinus Michels, che 27 anni dopo condurrà gli oranje a un passo dal sogno al Mondiale in Germania Ovest del 1974. Nella memoria collettiva, l’Olanda degli anni ’70 viene ricordata come la più bella espressione di romanticismo incompiuto legato allo sport. Una filosofia di vita modernissima, una continua sinfonia in movimento che ha segnato lo spartiacque tra calcio antico e moderno. Il soprannome affibbiato a questo gruppo verrà preso da uno straordinario film di Stanley Kubrick di tre anni prima: ‘Arancia Meccanica’. Nulla di violento, però, potrà mai essere assimilabile ad una delle Nazioni più libertarie e pacifiche dell’Europa di quel tempo, ma solo un accostamento cromatico e una semplificazione dialettica per un atletismo portato all’eccesso.

Il Kaiser Franz alza la Coppa del Mondo al cielo di Monaco
Il Kaiser Franz alza la Coppa del Mondo al cielo di Monaco

Non meno democratica, nonostante la turbolenta situazione storica del periodo, era la Germania ad occidente del Muro di Berlino. Da undici anni era stato istituito il campionato Nazionale (la Bundesliga), e nelle prime sette stagioni avevano trionfato altrettante squadre diverse. Dal 1970, però, iniziava l’egemonia di Bayern Monaco e Borussia Moenchengladbach, che domineranno questo decennio e forniranno gran parte dei loro uomini alla Nazionale in maglia bianca con l’aquila imperiale sul petto. I Bavaresi hanno due giocatori simbolo tra le loro fila: uno è il capitano Franz Beckenbauer, leggendario difensore di gran classe denominato “Kaiser”, per il suo modo di intendere il calcio da leader indiscusso e aristocratico. L’altro è Paul Breitner, un fantastico terzino sinistro che si conquisterà le antipatie di compagni di squadra e allenatori per l’abitudine di girare il Paese con il Libretto Rosso di Mao Tse-Tung. Un intellettuale di sinistra prestato allo sport, dovendo sintetizzare. Emblemi del Borussia erano il capitano Berti Vogts – che a proposito di simpatie politiche avrà da discutere nella gara contro i cileni col centravanti Caszely, passato alla storia come oppositore di Pinochet -, e il bomber Jupp Heynckes, che nel 2013, ironia del destino, porterà il Bayern Monaco alla conquista del triplete (Bundesliga, Champions League e Coppa di Germania) da allenatore.

Cruijff in azione durante il mondiale tedesco
Cruijff in azione durante il mondiale tedesco

I tedeschi, con un sorteggio beffardo, vennero inseriti nel Gruppo Uno, dove figuravano, oltre a Cile e Australia, i cugini più poveri, quelli a oriente del Muro di Berlino. Lì, nella DDR-Oberliga, era la Dinamo Dresda la squadra migliore del momento, anche se nei dieci anni successivi il campionato verrà vinto solo dalla Dinamo Berlino, la società di riferimento della Stasi. Un campionato di regime dilettantistico, data l’incompatibilità della concezione di professionismo sportivo con la vigente ideologia comunista. Nonostante questo, però, saranno i teutonici della DDR a battere quelli della Germania Ovest nella terza e ininfluente gara del girone per 1-0. L’ultimo atto di questo torneo, però, non può che vedere protagoniste Germania Ovest e Olanda. L’immagine di Beckenbauer e Cruijff che si scambiano i gagliardetti a metà campo è la logica conseguenza di un finale già scritto. Il Brasile Campione del Mondo in carica è orfano di Pelé, la partecipazione dell’Italia verrà ricordata solo per la lite tra Ferruccio Valcareggi e Giorgio Chinaglia a causa di una sostituzione contro Haiti, e la Polonia si accontenterà di avere tra le sue fila il capocannoniere del Mondiale, Grzegorz Lato, con sette reti all’attivo.

La storia ci racconta come finì la corsa. Il 7 luglio 1974, all’Olympiastadion di Monaco di Baviera, sono gli olandesi a dare il calcio d’inizio, e per 54 secondi non fanno mai toccare il pallone ai tedeschi. Il loro genio Johan Cruijff decide di accelerare e andare in porta con tutto il pallone, costringendo un difensore tedesco ad atterrarlo. Il calcio di rigore, il primo assegnato nella storia delle finali di una Coppa del Mondo, viene trasformato dal biondo centrocampista Johan Neeskens. La Germania Ovest è sotto in casa propria, senza aver mai avuto il possesso palla. A questo punto i ragazzi di Michels hanno il torto di guardarsi troppo allo specchio e di non chiudere il conto. Così è Breitner a prendere per mano i compagni, procurarsi un altro rigore e rimettere le cose a posto. Il primo tempo sembra incanalato sull’1-1, ma il DNA della squadra di Schoen non contempla l’ipotesi di accontentarsi, tant’è che prima dell’intervallo Vogts e compagni riescono a trovare il 2-1 grazie a un colpo di genio di Gerd Muller. Il risultato non cambierà fino alla fine, e il trofeo calcistico più prestigioso verrà alzato al cielo da Kaiser Franz.

Nonostante questo, nei cicli vittoriosi che nel calcio scandiscono i tempi della storia, l’eccezione che conferma la regola spetta di diritto all’Arancia Meccanica olandese. L’unica a presentarsi con la bacheca vuota al cospetto dell’Italia di Piola, del Brasile di Pelé o dell’Argentina di Maradona. L’unica, altresì, a potersi permettere di sfoggiare quel fascino indiscusso che è proprio solo di chi arriva a un centimetro dal traguardo, senza mai riuscire ad oltrepassarlo. Come in un finale cinematografico onirico e romantico, in cui non si capisce dove finisca la realtà e inizi l’immaginazione.

1 commento su “1974: Germania Ovest-Olanda 2-1. Quel traguardo mai oltrepassato”

I Commenti sono chiusi.